#1maggio Acli Colf: Non perdiamo di vista l’obiettivo!!

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Lavorare per la valorizzazione del lavoro di cura e per la dignita’ e diritti delle lavoratrici e lavoratori del settore

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I lavoratori del settore domestico e della cura in Italia sono oltre 2 milioni, nel mondo 67 milioni di cui il 73% donne.
Nel 2014 le Acli Colf di Milano hanno partecipato alla manifestazione del 1° Maggio indetta dalle Organizzazioni Sindacali, prendendo la parola al pari di altre categorie di lavoratori per dire la loro presenza e il loro impegno “accomunati dal desiderio di contribuire al miglioramento della società in cui vivono e lavorano”, ma soprattutto rivendicando il loro essere “FORZA LAVORO” e chiedere il pieno riconoscimento dei diritti e della dignità come lavoratrici e lavoratori, e come persone.
… grazie a noi INVISIBILI si muove l’economia VISIBILE perché senza di noi non potrebbero andare a lavorare molti dei nostri datori di lavoro che sono politici, docenti, avvocati, medici, autisti.
Questo era uno degli slogan portati alla manifestazione, che trovo di grande attualità, se pensiamo a quanto sia stata preziosa per le nostre famiglie la presenza dei lavoratori della cura durante questa pandemia: lavoratori che hanno saputo “stare al loro posto”, nonostante le grandi difficoltà del momento.
Lo scorso anno, all’inizio della pandemia, le Acli Colf di Milano, unitamente alle Acli Colf Associazione Professionale e ad altre Associazioni che fanno parte della Rete, hanno sottoscritto l’appello lanciato da un gruppo di ricercatrici esperte di lavoro domestico e della cura dal titolo “Verso una democrazia della cura” per chiedere, nel momento della pandemia, la concessione anche ai lavoratori domestici, di alcuni diritti già concessi ad altre categorie, quali: la cassa integrazione, il divieto di licenziamento, il bonus baby-sitter e alte indennità specifiche, trattamento questo che appare discriminatorio rispetto ad altre categorie, nonché l’ampliamento della copertura salariale in caso di malattia, garantita solo per 8, 10 o 15 gg. in base all’anzianità di servizio e pagata direttamente dal datore di lavoro e non dall’INPS, situazione quest’ultima che nel periodo della pandemia ha rivelato tutto il peso della discriminazione contenuta nella norma. Solo le lavoratrici in regola con il versamento del contributo Cassa Colf hanno potuto beneficiare di indennizzi per i periodi di malattia o di quarantena.
Se si è parzialmente ovviato alla mancanza di copertura per malattia considerando il contagio da coronavirus come infortunio sul lavoro coperto dall’Inail, il problema è rimasto però irrisolto nonostante le istanze avanzate congiuntamente anche dalle parti sociali, che hanno chiesto che venga riconosciuto ai lavoratori domestici un trattamento economico di malattia a carico dell’Inps analogo a quello riservato alla generalità dei lavoratori dipendenti”. (Nota diffusa il 25 aprile dallo stesso gruppo di ricercatrici).
Il gruppo di ricercatrici, conclude con una nota di speranza, che facciamo nostra e sulla quale lavoreremo nei prossimi mesi:
“A un anno dall’appello si prospettano dunque all’orizzonte alcune riforme che sembrano andare nella direzione indicata. Tuttavia restano molte criticità: l’inclusione di cui molto si parla nel piano sembra essere ancora parziale. Pertanto non ci si può che augurare che si sviluppi un dibattito pubblico in merito, che ci siano margini per apportare correzioni e superare questi limiti, riorientando il piano stesso e muovendosi più decisamente verso una vera “democrazia della cura”.”