A volte anche i critici letterari sbagliano

A volte anche i critici letterari sbagliano email stampa

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Foto di Lubos Houska da Pixabay

A volte, quando mi ritrovo a leggere recensioni su libri o film penso: “La persona che ha scritto questo articolo non ha centrato il punto, forse non l’ha neanche capito.” Se vi è capitato di leggerne alcuni potrete di certo concordare che sta dilagando sempre di più il: non capire. Ma non è una vicenda dell’ultima ora che i critici sbaglino (e a volte anche il pubblico), è una storia vecchia come le favole per andare a dormire. Tutti sbagliamo, perché loro non dovrebbero? È giusto, succede. In questo articolo però andremo a raccontare la storia di uno scrittore che ha fatto sbagliare tutti apposta, facendo sì che nessuno capisse niente fino alla fine: Romain Gary.

Romain Gary era uno degli scrittori francesi più quotati degli anni Cinquanta. Con il libro “Le radici del cielo” vince nel 1956 il premio Goncourt, il più grande premio letterario di Francia, a cui è concesso vincere per ogni scrittore una sola volta in tutta la carriera. Arriviamo al punto: Romain Gary è sulla cresta dell’onda, pubblica altri romanzi e si afferma come figura letteraria francese per eccellenza. Ora, c’è una frase che tra gli scrittori è diventata un detto, che recita: “per la critica uno scrittore all’inizio è un genio rivoluzionario, poi un ridondante rompiballe, poi un maestro” e, badate bene, è la critica a dettare questi tre tempi, non lo scrittore. A un certo punto Romain Gary, come da routine, agli occhi della critica e del pubblico, passa da essere un genio a un trombone e lo iniziano a credere finito. Escono articoli che ormai danno la sua carriera come terminata e i nuovi libri come delle brutte copie degli antecedenti. Il problema è che lo scrittore in questione non era pronto per questo passaggio fisiologico, avendo ancora tante cose da voler dire e quindi, quasi per proteggere i propri libri da una possibile critica negativa solo perché affiancati dal proprio nome, decide di inventarsi da zero un nuovo scrittore fittizio: un giovanotto alle prime armi chiamato Emile Ajar. Viene pubblicato il primo libro –“Mio caro pitone”- sotto questo pseudonimo e ha subito grande successo. I giornali iniziano a parlare di Ajar e alcuni fanno strane teorie su di lui, essendo che in giro si diceva vivesse in Messico per problemi con la legge francese (ovviamente storia inventata da Gary per aumentare la sapidità al tutto). La paura che la finzione crolli porta Romain a chiedere aiuto a Paul Pavlovitch, suo nipote reale, a cui viene chiesto di interpretare davanti ai media la parte di questo Ajar; così facendo il risultato ottenuto è che Ajar diviene davvero una persona in carne ed ossa, pronta ad essere intervistato. Quando gli chiedono di Gary lui risponde che lo stima molto ma non lo segue, quando a Gary chiedono di Ajar lui risponde che è un giovane di talento che sicuramente si è ispirato a lui; piano piano andranno sempre più divertendosi in piccole gag di scontri fittizi. Gary scrive il secondo libro firmato Emile Ajar: “La vita davanti a sé” e la critica esplode di approvazione verso questo nuovo genio ribelle, iniziando a considerare Emile Ajar come il rappresentante della scrittura francese fine anni Sessanta. La bellezza del libro lo porta a vincere un premio che sicuramente, se fosse stato pubblicato sotto il nome di Romain Gary, non avrebbe vinto: Emile Ajar vince il premio Goncourt come miglior libro. Molti critici scrivono articoli sminuendo Gary e osannando Ajar, ignari della grande furbata che c’è dietro. Il nipote prestanome ritira il premio, saluta e se ne va, Romain Gary pubblica altri due romanzi sotto lo pseudonimo di Emile Ajar rendendolo uno scrittore affermato con una identità propria e addirittura uno “slang” tutto suo. Poi un giorno, in realtà senza stupire molto chi lo conoscesse, Romain Gary esce di casa, compra una vestaglia rossa, la indossa, risale in casa e si spara in testa. Siamo nel 1979. Alcuni mesi prima di uccidersi porta al suo editore un libro: “Vita e morte di Emile Ajar”. In questo libro rivela tutto ciò che ha fatto, quando uscirà, nel 1980, scatenerà un gran putiferio all’interno della Francia letteraria di quegli anni. Nessuno ci riusciva a credere. Nonostante fosse stato scritto nero su bianco era impossibile per alcuni credere che quello scrittore ormai reputato da tutti finito e incolpato di ridondanza, potesse essere lo stesso Emile Ajar, lo stesso autore di “La vita davanti a sé”. Eppure, è stato così. Immaginatevi le facce di quei tali critici che avevano avuto il coraggio di titolare “Gary non vale mezzo Ajar”! Immaginatevi anche i gestori del premio Goncourt, che si sono ritrovato a dover fare i conti con un problema tecnico enorme: uno scrittore aveva vinto due volte! Hanno trovato subito una semplice sistemazione: Romain Gary è l’unico scrittore nella storia ad aver vinto due volte, fine. Non hanno modificato le carte. Nel libro “Vita e morte di Emile Ajar” troviamo scritto: “Ho lasciato indizi da tutte le parti. Secondo me, nessuno di voi legge.” E il libro si conclude con questa frase: “Mi sono divertito. Arrivederci e grazie.” Come se ci stesse anticipando un suicidio che avverrà a distanza di pochi mesi. Ma perché ha fatto tutto questo, arrivando anche a suicidarsi alla fine? Non lo so. Posso solo dire ciò che ho letto di lui, non ciò che pensava davvero. Se c’è un insegnamento in questa storia è che avere pregiudizi, pensare di capire cosa sta pensando qualcuno e reputare banale qualcun altro… altro non è che la più grande forma di egocentrismo e di prepotenza che si possa commettere.