Nel discorso alla Città del 6 dicembre 2018 l’Arcivescovo di Milano ha invitato i rappresentati delle istituzioni comunali a prendere “l’abitudine di aprire ogni consiglio comunale con la lettura e il commento di qualche articolo della prima parte della Costituzione”.
Il presupposto di questo invito sta nel riconoscimento dell’alto valore espresso da questa parte della carta costituzionale “che non può essere ridotta a un documento da commemorare, ma deve continuare, né a un evento tanto ideale quanto irripetibile, ma deve continuare a svolgere il compito di riconoscere e garantire” i diritti inviolabili dell’uomo e la sua promozione.
Per l’Arcivescovo la conoscenza della Costituzione “è punto di partenza che può ispirare una visione di società comune a tutti gli abitanti del nostro territorio.”
La Costituzione è dunque valore in sé per i suoi principi, espressione dei diritti fondamentali della persona, ma anche programma da attuare con modalità e forme adeguate al tempo.
La prima parte della Costituzione si muove su due livelli.
Quello del riconoscimento dei diritti fondamentali della persona, che prescinde dallo status giuridico della cittadinanza. A questa categoria appartengono tutte le libertà individuali, dalla personale, alla religiosa, al pensiero, e le libertà sociali: diritto all’educazione, tutela della salute, all’assistenza quando è in pericolo un bene essenziale della vita, diritto al lavoro, non al posto di lavoro; diritto al lavoro significa creare e favorire le condizioni che realizzano lavoro, la sua tutela e dignità.
Proprio la dignità del lavoro, che è parte del nucleo essenziale della dignità umana, qualifica la nostra Repubblica come fondata sul lavoro.
A questa gamma di diritti fondamentali la Costituzione affianca in parallelo gli inderogabili doveri di solidarietà politica, economica e sociale, il cui adempimento è richiesto a tutti.
Tutela e promozione dei diritti fondamentali e adempimento dei doveri inderogabili si ricompongono nel principio di uguaglianza sostanziale che è rivolto alle persone che rimangono indietro, emarginate, per le quali l’affermazione dell’essere eguale davanti alla legge è vuota, se non vengono rimosse le cause che in concreto rendono una persona diseguale ad un’altra, limitandone la libertà e impedendole il suo pieno sviluppo.
L’altro livello riguarda l’esercizio dei diritti di sovranità, che sono propri solo dei cittadini italiani, espressi in primo luogo dal diritto di voto e di essere eletti.
L’Arcivescovo ipotizza che la base di una società comune a tutti sia la condivisione di valori e ideali che stanno a monte delle differenze culturali e politiche.
Questo è infatti il terreno dei principi e dei valori della Costituzione, ma essi si prestano a letture differenziate, se si perde di vista il carattere democratico e solidarista che caratterizza la nostra Costituzione.
Nell’art. 1 si afferma la natura democratica del potere espressione della volontà del popolo titolare della sovranità, che la esercita nelle forme nei limiti della Costituzione.
La norma esprime la sintesi dei valori di uno stato liberaldemocratico di diritto.
Il potere è legittimato solo dal consenso elettorale, quindi rappresentativo della sua maggioranza, ma il potere democratico presuppone la condivisione di valori comuni di fondo consistenti nella reciproca legittimazione di tutti i soggetti politici, nell’accettazione del risultato determinato dall’applicazione delle regole elettorali, nella pari dignità delle opinioni, delle proposte e dei progetti politici, nella pari opportunità per tutti i soggetti politici di accedere alle informazioni e ai mezzi di informazione. Come si vede, sono valori che riguardano le regole di fondo della convivenza pacifica della comunità e che assumono forma politica attraverso la Costituzione.
Il popolo sovrano non è titolare di un potere assoluto e sciolto da ogni vincolo di legge, per questo la Costituzione stabilisce che la sovranità è esercitata “nelle forme e nei limiti della Costituzione”, quindi nel rispetto delle regole di esercizio che la stessa ha previsto. Con questa espressione la Costituzione ha affermato la natura di stato di diritto della Repubblica, dove il potere è soggetto alle regole della legge.
Il potere sovrano nella sua declinazione democratica non legittima nessuna superiorità rispetto alle norme. In altre parole, essere eletti dal popolo non significa essere oltre o sopra la legge.
Lo stato di diritto liberaldemocratico moderno si regge sul fondamentale principio della separazione dei poteri, affinché nessuno di essi (legislativo, esecutivo, giudiziario), soperchi un altro ed ha per fine l’esigenza primaria di garantire la libertà degli individui, attraverso un sistema di contrappesi e di controlli capaci di evitarne un uso arbitrario del potere: “il potere limiti il potere” (Montesquieu, L’Esprit des lois), e di rendere più efficiente lo Stato costretto ad agire nel rispetto di regole predefinite.
Dunque, il principio mira prima di tutto a garantire i diritti dei cittadini nei confronti del potere ed in secondo luogo, più come un effetto, ad ottenere un miglior funzionamento dello Stato.
Ma possiamo oggi dire che questi valori portanti della nostra convivenza civile sono davvero patrimonio comune di tutti e che, a parte esigue minoranze radicalmente contrarie come la galassia dei gruppi neofascisti, essi siano solidi nella nostra coscienza nazionale?
Sabato 2 marzo circa 200 mila persone hanno sfilato a Milano per dire che prima delle cittadinanze legali vengono le persone quando sono in gioco i beni essenziali della vita.
Questa manifestazione è replicabile in altre parti d’Italia? Il dubbio rimane (P. Petracca, La Repubblica, 3 marzo 2019), perché Milano non è rappresentativa del clima e del sentimento che appare maggioritario oggi in Italia, probabilmente perché Milano è in controtendenza economica e sociale rispetto alla restante parte del paese.
Grillo, padre fondatore dei Cinque Stelle, ha affermato che il problema non sia il razzismo “mediatico” sormontante, ma l’egoismo sociale dilagante; in questa provocazione c’è un fondamento di realtà con cui occorre confrontarsi.
La sua chiosa è politicamente molto intelligente, perché si sottrae alla strettoia del derby razzisti – antirazzisti e offre alla sua parte politica un argomento apparentemente di contestazione polemica, quando in realtà colloca il tema del razzismo dentro il fenomeno più vasto e crescente dell’egoismo sociale, indotto da una crisi economica devastante e dalla rivoluzione del sistema di produzione del mercato del lavoro indotto dall’innovazione tecnologica.
E’ bensì vero che il titolo della manifestazione era “Prima le persone”, ma esso era un’aperta contestazione del clima di intolleranze verso lo straniero alimentato dal retorica e non solo del governo gialloverde.
Grillo non si avvede o non vuole ammetterlo che, al di là di misure anti povertà come il reddito di cittadinanza, condivisibile come misura, discutibile come messa in atto, il suo movimento, la sua politica e l’atteggiamento del governo gialloverde, sono all’insegna dell’invidia sociale, che alimenta l’egoismo sociale che poi genera e diffonde sentimenti anche razzisti.
L’Arcivescovo nel discorso alla città individua tra le cause di questo che è ormai più che un malessere sociale alcune “problematiche emergenti e inevitabili:
- la crisi demografica che sembra condannare la popolazione italiana a un inesorabile e insostenibile invecchiamento;
- la povertà di prospettive per i giovani che scoraggia progetti di futuro e induce molti a trasgressioni pericolose e a penose dipendenze;
- le difficoltà occupazionali nell’età adulta e nell’età giovanile e le problematiche del lavoro;
- la solitudine il più delle volte disabitata degli anziani.”
Questi temi/problemi non trovano risposta diretta nella Costituzione; essa indica una direttrice, che va tradotta in proposte e soluzioni di governo.
Qui le differenze possono essere sostanziali.
Una risposta per così dire sovranista riduce il perimetro della solidarietà e dell’intervento solo agli italiani o principalmente ad essi. In questo senso è la normativa sul reddito di cittadinanza che ha stabilito per gli stranieri regolari limiti di accesso rigorosissimi e temporalmente irragionevoli (come se una misura di contrasto della povertà assoluta possa discriminare gli aventi diritto in ragione della durata decennale della residenza), o la politica dei cosiddetti porti chiusi ai migranti che è arrivata a legittimarne il sequestro di taluni su una nave della Guardia costiera italiana.
La politica sovranista evoca e si alimenta delle paure.
Una risposta alternativa a quella sovranista deve farsi carico del disagio e dell’egoismo sociale (di cui è esempio la raccolta di offerte caritatevoli in primo luogo per i poveri italiani e poi, se ne avanza, anche per gli stranieri, come è accaduto a Venezia), delle paure indotte dalla trasformazione del sistema economico e dal cambiamento strutturale multietnico delle società occidentali europee, ma non può e non deve rinchiudersi nel recinto di un incubo permanente. Solo comprendendo queste paure ha credibilità e presa una politica solidaristica.