Bianchi: “pensare politicamente è il primo modo di pensare”

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Caro Giovanni, dunque ci hai lasciati, dopo una malattia breve e intensa, intensa come è stata tutta la tua esistenza. Permettimi questo ricordo in cui continuo a darti del tu, così come è stato nel corso di tanti anni di frequentazione amica.

Molti sarebbero gli aspetti da commentare di una vita come la tua, segnata da importanti responsabilità associative e politiche: presidente regionale e poi nazionale delle ACLI in anni importanti in cui, per fare solo un esempio, hai saputo ricucire i rapporti con la gerarchia ecclesiastica, dopo anni di distanza e freddezza seguiti alle svolte del ’68 e alla cosiddetta “scelta socialista”; e poi l’impegno parlamentare, fino alla presidenza del nascente Partito Popolare. E come tacere “Mir Sada”, la marcia verso Sarajevo insieme a Lorenzo Cantù e decine di giovani aclisti, decisi a testimoniare in prima persona l’urgenza di un mondo in cui la pace potesse trionfare sulle logiche della guerra?

L’uomo pubblico, ma prima ancora gli affetti, la famiglia, i legami personali. Il grande dolore per la morte di tua figlia Sara – e non dimentichiamo che a volte i dolori si somatizzano; questo però lo lasciamo valutare al Padreterno, prima ancora che ai medici… L’affetto per la famiglia, ma non solo; penso ai tanti ragazzi che hai accompagnato con il “doposcuola” che si svolgeva in casa tua, con la collaborazione di tua moglie Silvia; penso all’avviamento alla politica di tanti giovani attraverso lo strumento dei “Circoli Dossetti”, che prima ancora di strutturarsi in iniziative aperte a tutti erano l’occasione per incontrare sempre a casa tua molti giovani e discutere con loro di politica, di amministrazione, di “cosa pubblica”: in una parola un maestro con i suoi allievi, non per indirizzare verso carriere sicure, ma per formare coscienze più responsabili.

Vengo quindi a un aspetto, più marginale ma non per questo meno importante, che mi ha coinvolto in prima persona: la tua collaborazione all’interno della redazione dei “Quaderni per il Dialogo e la Pace”. Permettimi a questo riguardo di esprimerti un sincero ringraziamento a nome del Centro Ecumenico Europeo per la Pace: la tua opera è stata fondamentale, sia nell’impostazione dei fascicoli che nella stesura di articoli. Del resto, scrivere non ti era difficile: scrivevi come parlavi (ed eri un oratore eccellente), le idee ti fluivano naturali e si fondevano con i molti stimoli cui in continuazione attingevi in virtù delle tue letture. E sapevi stimolare tutto il gruppo di redazione: le idee, quando sono buone, sono contagiose, e la tua esperienza insieme alla tua cultura erano uno dei motori grazie ai quali i Quaderni prendevano forma.

E con ciò torno all’inizio: associazione e politica per te non sono mai stati una professione, tanto meno un mestiere (e di “mestieranti della politica” ce ne sono davvero molti in circolazione), ma anzitutto l’ascolto di una vocazione, quella cioè di far crescere nelle persone una sensibilità alla politica intesa in un senso al medesimo tempo alto e popolare. Più volte ti ho sentito ripetere: pensare politicamente è il primo modo di fare politica. Pensare politicamente significa saper riflettere, giudicare, e quindi utilizzare strumenti in vista del buon andamento della cosa pubblica. Tanto più in un mondo orientato all’individualismo, tutto ciò risulta quanto mai essenziale.

E d’altra parte riflettere e giudicare in chiave politica non si improvvisa: occorre preparazione. Un’altra citazione, sempre tua ma questa volta ripresa dal cardinale Martini: “la preparazione richiesta ai politici è quella meno determinabile e precisa; e non di rado se ne vedono le conseguenze”. Nelle parole del card. Martini c’era dell’ironia, è evidente; nel tuo caso però le conseguenze si vedevano in positivo. Un professore ha il suo campo di specializzazione, mentre il campo di specializzazione di un politico è la comprensione del mondo, dell’economia, della società. Ergo: bisogna leggere di tutto, non in modo rapsodico e superficiale, ma con l’impegno di chi si sente in obbligo di comprendere davvero come vanno le cose. E piuttosto: come dovrebbero e potrebbero andare, nella direzione cioè di un mondo più giusto, perché non basta comprendere la società, occorre anche – questo il compito della politica – contribuire a cambiarla.

bocco_mSe però concludessi qui, mancherebbe ancora qualcosa. Non un ultimo aspetto, ma quello senza il quale tutto cadrebbe, perlomeno in prospettiva cristiana: la spiritualità. Da non confondersi con la devozione, come hai ben sottolineato nel tuo ultimo libro scritto a quattro mani con tua figlia Sara e dedicato alla Madonna del Bocco. Una spiritualità seria, alimentata alle fonti della fede e dall’assiduo confronto con i maestri cristiani della nostra epoca – Giuseppe Lazzati e il cardinal Martini in primis. Una spiritualità che non si aggiunge alla vita quasi come un ciondolo, ma che la segna in profondità e la caratterizza in tutti gli aspetti.

E quindi lasciami concludere: grazie Giovanni per la tua testimonianza di vita. Ora sei nell’Eterno, noi rimaniamo nel tempo. Ti ricorderemo e continueremo a riascoltare i tuoi insegnamenti; tu, più vicino al Mistero di quanto non lo siamo noi, non mancare di guidarci e di ispirarci.

Un testimone luminoso e coerente al servizio della democrazia, della chiesa e del movimento operaio
Giovanni Bianchi: un compagno, un leader, un maestro e un grande amico
Il ringraziamento che le Acli tributano a Giovanni Bianchi nel giorno dei suoi funerali
In memoria di Giovanni Bianchi
Centro Ecumenico Europeo per la Pace