Il fenomeno dell’urbanesimo appare irreversibile: “Già da alcuni anni il 50 per cento della popolazione mondiale vive in città e si prevede che la popolazione urbana possa raggiungere il 75 per cento entro il 2050. E questo a dispetto delle previsioni di chi riteneva che la digitalizzazione delle attività avrebbe reso indifferente la localizzazione fisica degli esseri umani” (G. Sala, 2018)[1].
Se la “globalizzazione” del fenomeno urbano non è nuova, invece è nuova la dimensione politica che ha assunto in relazione al processo di trasformazione che sta subendo, sempre per effetto delle conseguenze della globalizzazione, lo Stato nazionale e la sua sovranità, che ha reso lo Stato sempre più interdipendente dagli altri Stati e da organismi internazionali anche non statuali e anche non pubblici (si pensi all’influenza sulla politica di bilancio esercitata dalle agenzie di rating).
Si assiste a un protagonismo politico delle città – ci si riferisce alle grandi città, alle metropoli – che lavorano insieme sui grandi temi dell’ambiente, delle questioni climatiche, delle condizioni di vita delle metropoli, delle migrazioni, e formano una rete globale che si interroga sul futuro e si pone come interprete e attore sul campo delle possibili riposte ai grandi temi[2].
Questa rete globale delle città trascende i limiti territoriali degli Stati e si configura come una sorta di statualità trasversale e transnazionale, ed è un tentativo di governare i grandi temi partendo da un dato di omogeneità che caratterizza il loro essere città; quindi espressione di un dato identificativo che le distingue dai restanti territori non urbani.
A sua volta la rete delle città è però interna alla rete degli Stati nazionali, che sono formalmente ancora gli unici ad essere titolari di poteri sovrani e gli unici sui quali si regge e sviluppa la trama dei rapporti internazionali (ONU, Unione Europea, Nato, ecc.).
Gli Stati nazionali non solo contengono fisicamente le città, ma le regolano, le istituiscono, ne definiscono la forma di governo e i poteri; dunque, gli Stati non sono una variabile indipendente rispetto alle città e, tuttavia, le città sono in grado anche di condizionare le scelte statuali o addirittura di imporle.
Il potere regolativo e redistributivo di risorse dello Stato nei confronti della periferia è particolarmente evidente nel welfare. Le autorità centrali spostano verso le città competenze maggiori a cui non corrispondono in genere risorse trasferite adeguate col risultato che il governo locale viene caricato di aspettative alle quali fatica dar soddisfazione (C. Trigilia, Sviluppo locale, 2005)[3].
Si assiste anche un diverso approccio di Sato e città nel governo delle periferie urbane, che è affrontato dai poteri centrali come questione di ordine pubblico, mentre i governi locali tentano di norma una risposta lungo la direttrice di interventi e di prestazioni di natura sociale, e dunque puntano all’alleggerimento delle tensioni mediante la riduzione o l’eliminazione delle disomogeneità e delle emarginazioni.
Dall’altro lato, non mancano esempio di scelte locali che hanno condizionato gli Stati, come è stato in Italia con le Olimpiadi invernali 2020, fortemente voluto dal sistema locale – regionale di Milano e Cortina con il sostegno delle rispettive Regioni Lombardia e Veneto, nell’indifferenza se non nell’ostilità silente del governo centrale.
In altre occasioni il ruolo statale è stato invece determinante: come è accaduto con Expo 2015 a Milano e, nonostante l’esito negativo dovuto alla malasorte, anche con il tentativo di portate a Milano l’agenzia europea del farmaco. In entrambi i casi si assistito a virtuosi esempi di protagonismo locale in sinergia con l’azione dell Stato.
Altra variabile non indipendente dallo Stato è la forma di governo delle città e di quelle metropolitane in particolare.
La forma politica è un elemento importante dello sviluppo delle città, ma così decisivo.
Le città sono dotate di una forza propria, dall’economia alla demografia, che supera i vincoli e i limiti della forma politica e, spesso, prescinde dall’attribuzione formale delle competenze, esercitando un governo di fatto su molteplici materie anche a loro non esplicitamente assegnate dalla legge.
La grande città produce un potere fattuale che va oltre i suoi confini amministrativi e condiziona con le proprie scelte le politiche sia dei livelli di governo locale di pari grado formale (i comuni) sia dei livelli verso l’alto (città metropolitana, province limitrofe, regione e Stato).
Esemplificativo di questo governo sovraccomunale di fatto, non formalmente riconosciuto dalla legge, è l’aggettivazione di Grande che qualifica il nome proprio della città. Si parla di Grande Milano, di Grande Londra, Grande Parigi, per significare che è il capoluogo che esercita il suo magistero politico – amministrativo su un vasto territorio, pur soggetto ad altri governi locali, ad esso connesso per omogeneità sociale, economica, di comportamenti e stili di vita, per interdipendenza urbana, pur soggetto ad altri governi locali.
La supremazia del grande comune sul territorio esterno ai suoi confini ma ad esso soggetto è la caratteristica del governo metropolitano, tant’è che la difficoltà di istituire un vero governo metropolitano (di cui è prova il pessimo ed inefficace modello vigente oggi in Italia) sta per l’appunto nella resistenza del comune capoluogo a diventare parte di un sistema di governo e non il suo motore egemone.
Essere davvero “governo metropolitano” vuole dire riuscire a ragionare in termini di appartenenza ad un’area omogena con due livelli territoriali: uno metropolitano per il governo complessivo e uno locale per il governo delle comunità comprese nel territorio metropolitano, perciò le Acli milanesi parlano di “Milano grande” (che governa) e non di “Grande Milano” (che egemonizza).
Lo spostamento verso le città della popolazione ne rafforza il ruolo come laboratorio di futuro, e quindi investe direttamente la politica e le scelte che intenderà operare al bivio tra farle diventare giungla dei contrasti e delle diseguaglianze o giardino dell’accoglienza e della convivenza.
[1]. G. Sala, Milano e il secolo delle città, Milano, La nave di Teseo, 2018, pp. 13 e 14.
[2] “Essendo le città una cerniera fra la regione di cui costituisce il centro e il resto del mondo, essa avrà da una parte reti regionali e dall’altra reti a lunga distanza, che ai nostri giorni sono mondiali.” J. Gottmann in (a cura di J. Gottmann e C. Muscarà), La città prossima ventura, Bari, Laterza, 1991, p. 8.
[3] C.Trigilia, Sviluppo locale, Bari, Laterza, 2005, p. 18.