
Dal 1 gennaio 2016 ha preso ufficialmente il via la Métropole du Grand Paris, un “istituto pubblico di cooperazione intercomunale” che raggruppa il Comune di Parigi e i 123 Comuni della cosiddetta “piccola corona” intorno alla capitale francese. E in Italia?
Dal 1 gennaio 2016 ha preso ufficialmente il via la Métropole du Grand Paris, che, nel linguaggio amministrativo francese, è un “istituto pubblico di cooperazione intercomunale” che raggruppa il Comune di Parigi e i 123 Comuni della cosiddetta “piccola corona” intorno alla capitale francese.
Il compito della Metropole è vasto, e comprende la definizione di un progetto metropolitano in cui siano ricompresi un piano climatico ed energetico territoriale, lo schema direttore della distribuzione dell’elettricità, del gas e degli impianti di riscaldamento e condizionamento, la costruzione ed il mantenimento degli impianti sportivi, la programmazione e la gestione dei grandi eventi sportivi e culturali. A partire dal 2017 la Métropole dovrà anche elaborare un Piano metropolitano per l’abitazione.
Fra le competenze riconosciute al nuovo istituto – che le esercita al posto ed in sostituzione dei Comuni aderenti – vi sono gli aiuti finanziari all’edilizia popolare, la garanzia del diritto ad un alloggio decorso, la lotta all’inquinamento atmosferico ed acustico, le azioni di ristrutturazione urbana, le azioni di sviluppo economico, la gestione delle acque…
In tema di risorse, la Métropole dal 2016 al 2020 percepirà al posto dei Comuni preesistenti la totalità della fiscalità professionale, pari a oltre un miliardo di euro di cui 400 milioni verranno trasferiti dal Comune di Parigi, e una parte della dotazione globale di funzionamento dei Comuni (i trasferimenti dello Stato ai Comuni, in sostanza) pari a un miliardo e mezzo di euro di cui più di 500 milioni dal Comune di Parigi. A partire dal 2021 la Métropole percepirà anche l’introito dell’imposta sulle attività imprenditoriali (circa un miliardo di euro). Dal canto suo la Métropole verserà ai Comuni un fondo di compensazione corrispondente alla differenza fra il montante delle risorse e delle funzioni trasferite, che potrà essere maggiorato o ridotto fino al 15% a discrezione degli organi metropolitani. In più, ai Comuni verrà riconosciuta una dotazione di solidarietà fissata sulla base dei criteri di reddito degli abitanti e dei bilanci dei Comuni. Questi trasferimenti verranno fissati nel quadro di un patto finanziario e fiscale adottato dal Consiglio metropolitano con maggioranza qualificata dei due terzi.
Si noti che la Métropole non è una nuovo Ente di rilevanza costituzionale, ma un istituto che nasce da un accordo intercomunale (successivamente sanzionato da una legge della Repubblica), sia pure complesso e di grandi dimensioni, e per questo non ha un governo espresso direttamente dai cittadini, ma è guidata da un Consiglio metropolitano eletto dai consiglieri dei Comuni associati pari a 209 componenti, di cui 62 spettano a Parigi. Da molti anni la capitale è retta da un’amministrazione di sinistra a guida socialista, ma le vittorie delle destre nei Comuni della “corona” alle ultime elezioni hanno permesso l’elezione come primo Presidente della Métropole di Patrick Ollier, Sindaco di Rueil-Malmaison (Comune di 80 mila abitanti del dipartimento dell’Alta Senna) e deputato dei Repubblicani, legatissimo a Nicolas Sarkozy.
In ogni caso, al Consiglio metropolitano si affianca un Consiglio per lo Sviluppo, formato dai partner economici, sociali e culturali, con ruolo consultivo e propositivo in particolare sui temi della partecipazione sociale, l’Assemblea dei Sindaci dei Comuni associati, con funzioni di indirizzo e controllo dell’attività della Métropole e la Commissione consultiva per le questioni energetiche.
E’ quasi umiliante il confronto fra le attribuzioni, le risorse e le ambizioni della Métropole du Grand Paris e quelle delle Città metropolitane italiane, che sono Enti locali di rilevanza costituzionale ormai operanti da più di un anno. Infatti, a fronte dell’accurata architettura di definizione delle competenze e delle risorse decisa dal legislatore francese, la situazione delle Città metropolitane italiane appare ben più modesta e precaria, a causa della totale incertezza sulle risorse e del depauperamento del personale. A ciò si aggiunga anche la modestia delle funzioni sin qui attribuite, che spesso sono state attenuate da parte della successiva legislazione regionale, come in Lombardia, dove la l.r. 32/2015 di fatto restringe notevolmente le competenze della Città metropolitana di Milano.
La legge 56/2014 (cosiddetta “legge Delrio”) che ha dettato la disciplina delle Città metropolitane, ha avuto sicuramente il merito di consentire l’attivazione di questo nuovo Ente previsto in Costituzione fin dal 2001 concretizzando finalmente una discussione lunga di trent’anni, ma nello stesso tempo ha determinato una serie di incertezze, una parte delle quali è ascrivibile al generale disorientamento causato da tutte le fasi di passaggio.
Altri due però sono i fattori che hanno pesato e pesano tuttora sul futuro delle Città metropolitane. Il primo è la difficoltà dei Comuni a ragionare spontaneamente in termini sovracomunali: affidando al Sindaco del Comune capoluogo il ruolo di Sindaco metropolitano e ai Sindaci e ai consiglieri comunali del territorio il compito di affiancarlo nel guidare il nuovo Ente, il legislatore ha presupposto un grado di maturità collaborativa che la classe dirigente locale del nostro Paese è ancora molto al di là dal raggiungere. Tornando all’esempio transalpino, in Francia il numero dei Comuni (circa 37.000) è di gran lunga superiore a quelli italiani (attualmente 8003) : ovviamente in ambedue le Nazioni si tratta perlopiù di Comuni di piccoli dimensioni. In Francia tuttavia da molto tempo sia la sinistra che la destra hanno cercato di superare la polverizzazione dell’istituto comunale, sia incoraggiando le fusioni (che restano tuttavia un fenomeno limitato), sia soprattutto attraverso l’istituto delle unioni intercomunali, che presenta il vantaggio della flessibilità e che viene incoraggiato economicamente dallo Stato assumendosi la responsabilità di gestire direttamente non solo progetti e funzioni propri dei Comuni, ma anche funzioni delegate da parte di altri Enti (dipartimenti, regioni, in taluni casi lo Stato stesso).
In Italia non mancano gli incoraggiamenti e gli incentivi economici del legislatore e del Governo a favore delle fusioni e delle Unioni di Comuni, ma, a parte l’evidente ostilità della destra (Lega Nord in testa) alla razionalizzazione del sistema in nome di una visione ristretta dell’autonomia territoriale, ad opporvisi è più in generale una mentalità amministrativa che – con rare eccezioni tipo l’Emilia-Romagna e la Toscana – ha sempre cercato di mantenere ancorata al livello locale la responsabilità delle scelte strategiche, anche in un momento come questo in cui la mutata situazione economica e sociale richiede accentramento, rapidità e flessibilità delle decisioni.
Ma il secondo fattore è direttamente endogeno alla realtà stessa delle Città metropolitane, e deriva in primo luogo dalla difficoltà dei Sindaci dei Comuni capoluogo – che sono anche Sindaci metropolitani – di gestire il doppio ruolo in termini di integrazione e non di distinzione. Ciò è pesato indubbiamente nella vicenda della Città metropolitana di Milano, dove di fatto il Sindaco Pisapia ha agito più da Sindaco di Milano che da Sindaco metropolitano e lo dimostra il diverso trattamento che il Comune di Milano e la Città metropolitana hanno ottenuto dalla Regione nella citata legge 32, come se lo stesso soggetto avesse trattato al tavolo di concertazione con diversa intensità a seconda dell’una o dell’altra delle funzioni rivestite.
Certo, non si può far colpa ai Sindaci eletti prima del 2014 di essersi fatto carico con una certa esitazione di una funzione che è loro stata attribuita di punto in bianco dal legislatore, ma nell’imminenza delle elezioni amministrative milanesi – che eleggeranno un Sindaco consapevole fin dall’inizio del suo ruolo di Sindaco metropolitano è importante dire che se c’è una materia su cui è necessaria una radicale discontinuità fra l’Amministrazione uscente e quella entrante è proprio riguardo alla dimensione metropolitana, ad oggi quasi completamente negletta (beninteso questo vale per il centrosinistra: qualora fosse la destra a prevalere il già debole progetto metropolitano verrebbe quasi sicuramente nullificato).
Più in generale, occorre rimettere mano alla legge Delrio, e già vi sono segnali che indicano un orientamento in tal senso del Governo: in questa prospettiva, tenendo conto della fase di cambiamenti istituzionali in corso, andrebbe forse approfondita la distinzione già introdotta dal testo attuale della legge fra le Città metropolitane con più di tre milioni di abitanti (cioè Milano, Roma e Napoli) e tutte le altre, attribuendo loro un profilo istituzionale più marcato ed autorevole in stretta correlazione con i bisogni del territorio. Ma per far questo occorre che la classe dirigente, sia nazionale sia locale, dia prove di lungimiranza e di comprensione dei processi in corso, maggiore di quella che ha dato fino ad adesso.