Conoscere per costruire legalità

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Il 30 novembre scorso si è tenuto in villa Sioli un interessante incontro sul tema della legalità promosso dal circolo Acli di Senago e dall’Associazione Rinnovamento Democratico.

Relatori del convegno sono stati Giuseppe Gennari (magistrato a Milano dal 1999 e giudice delle indagini preliminari nelle principali inchieste di ‘ndragheta condotte a Milano. Autore del libro “Le fondamenta della città” ed. Mondadori) e Angela Fioroni (segretaria Legautonomie Lombardia).

Le premesse e anche le conclusioni a cui si è arrivati in questo convegno si possono riassumere in questa frase del Giudice Gennari che è stata tra l’altro ben motivata nella sua relazione:

“Solo con un’assunzione di responsabilità collettiva potremo estirpare un male che rischia di minare la nostra società: sarebbe un errore pensare che la soluzione di questo problema possa essere delegata a giudici, pubblici ministeri e poliziotti. Un’efficace azione repressiva è, sì, fondamentale, ma non sufficiente, perché oggi siamo in fondo al precipizio. Sino a quando non vincerà l’idea che il rispetto della legalità, il bene della collettività, la protezione delle generazioni future valgono più degli interessi personali nulla potrà veramente cambiare”.

Paradossalmente oggi c’è una scarsa consapevolezza sociale della presenza mafiosa, nonostante se ne parli molto. La causa sta nella scarsa conoscenza di come la mafia nel corso degli anni ha cambiato i propri connotati, soprattutto in Lombardia.

Nel nostro immaginario collettivo siamo rimasti agli anni 1980/90 quando il fenomeno mafioso si manifestava attraverso reati eclatanti come sequestri di persona, traffico di eroina, uccisioni ecc. Questi reati così evidenti oggi sono calati ma è invece aumentata la capacità della mafia di infiltrarsi in maniera capillare, silenziosa e “invisibile” nella realtà economica e nelle relazioni con l’ambiente sociale. Questa sua “invisibilità” è oggi una delle ragioni per cui non c’è adeguata consapevolezza civica della forte diffusione del fenomeno mafioso anche in una realtà che si pensava immune come quella lombarda.

Il giudice Gennari ha spiegato come la mafia di tipo calabrese, di carattere strettamente familiare, abbia cambiato negli ultimi decenni il proprio settore di interesse dedicandosi all’impresa economica (spesso di piccole dimensioni) caratterizzata da prestazione di servizi a bassa specializzazione. Come chiaramente scritto nella recensione del suo libro “è una realtà solo parzialmente conosciuta attraverso le pagine di cronaca nera dei giornali, ma che invece ormai permea ampi settori dell’economia (si pensi al monopolio del movimento terra e al recupero crediti, all’acquisizione di importanti imprese impegnate nella realizzazione di opere pubbliche e al controllo dei venditori ambulanti di panini ecc.) e coinvolge un lunghissimo elenco di insospettabile gente “comune” (commercialisti, bancari, medici, impiegati, avvocati, carabinieri, poliziotti). Perché oggi sempre più spesso la ‘ndrangheta veste in giacca e cravatta e si nasconde dietro il volto di uomini d’affari apparentemente irreprensibili. Non commettendo specifici reati ma moltiplicando le capacità di guadagno grazie ad aziende che si sono lasciate sedurre dalla prospettiva di facili introiti, all’omertà di tanti imprenditori compiacenti e delle impaurite vittime di usura e, come emerso di recente, agli stretti rapporti con alcuni politici che cercano o accettano voti dalle famiglie mafiose concedendo in cambio favori”.

Siamo in presenza quindi di un fenomeno mafioso “capace” di relazionarsi nell’ambiente sociale, incluse relazioni con il contesto istituzionale e politico, tramite convenienze e scambio di favori reciproci.

Questa è la realtà mafiosa in Lombardia: un circuito chiuso che non può essere interrotto solo dall’attività giudiziaria ma che esige anche quella assunzione di responsabilità collettiva di cui parlavamo all’inizio.

Angela Fioroni, segretaria di Legautonomie, nel suo intervento ha chiaramente affermato che in sostanza questo modello mafioso penetra nei gangli della società perchè in qualche modo risponde ad una cultura clientelare diffusa tra tutti i cittadini. Ambedue i relatori hanno sottolineato come la mafia oggi vive di consenso sociale. Quanto forte è, ad esempio, l’ostracismo sociale verso l’evasione che è un fenomeno collaterale della mafia ?

In Lombardia si è per decenni negata la presenza mafiosa attraverso quelle che Angela Fioroni ha chiamato “armi di distrazioni di massa”: si è parlato di immigrati, stranieri, rom, sicurezza ecc. di fatto eludendo e/o negando la penetrazione delle modalità mafiose nella vita economica e sociale.

Oggi è quindi necessaria una battaglia culturale che deve coinvolgere tutti i cittadini.

C’è un concetto istituzionale fondamentale senza il quale non vi sono relazioni sociali democratiche: le regole vanno rispettate, non si eludono né si evadono.

Si possono cambiare con una battaglia politica chiara e trasparente e questo è anche un sintomo di capacità di progredire. Ma non si evadono.

Questo è fondamentale per riuscire a creare quegli anticorpi sociali assolutamente necessari per combattere quella che possiamo definire “cultura mafiosa”

Tutti siamo chiamati in causa, ognuno nel suo ruolo, nessuno escluso.