Cosa ci insegna il tempo che stiamo vivendo

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Cosa sto imparando in questi giorni? Quali pensieri coltivo, elaboro, trattengo? Sono capace di cercarmi? Sono capace di avere attenzioni e sguardi d’amore, di fiducia, di speranza? Abbraccio la mia vita e la vita di chi amo e vive con me? Queste sono le uniche domande ammissibili in questo tempo difficile, "qui e ora".

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Foto di kerttu da Pixabay

In questi bei giorni dal cielo terso e dall’aria tiepida che già profuma di primavera, siamo chiusi, costretti, nelle nostre abitazioni.

Incuriositi e attenti restiamo affacciati ad ogni angolo del pianeta attraverso le tante finestre tecnologiche forse per trovare semi di speranza, per stringerci e scacciare la paura, forse per condividere l’ombra della tristezza e il desiderio di attimi d’allegria nella ricerca di un canto corale che rallegri il cuore e accenda fiochi bagliori nelle serate silenziose e buie.

La luce del sole penetra dalle finestre e si vorrebbe uscire, fare una passeggiata, incontrare gli amici, una gita fuori città… Molti si chiedono se e cosa avremo imparato da questi giorni ammorbati, da questo virus che infetta e separa, spegne e terrorizza. Cosa ci verrà consegnato da questo virus che uccide, lacera relazioni e isola le persone.

Credo sia una domanda banale, retorica, anacronistica…si il termine giusto è proprio questo anacronistica.  Siamo spaventati, disorientati, impauriti, preoccupati in questo qui e ora della nostra storia. Nel qui ed ora delle nostre vite. Nell’ hic et nunc travagliato, agitato e tetro che c’incupisce perché ci sottrae speranza, vita, affetti. Un tempo questo dove il suono della morte penetra nel quotidiano e stringe la gola. Tempo del rintanarsi intimorito, quasi a sottrarsi e nascondersi. Il nemico è ovunque, può essere chiunque e allora ci rifugiamo stremati e serrati. Calcolando provviste alimentari e riempitivi di tempi dilatati, giorni tesi, monotoni e forzati. Improvvisando attività ammazza tempo, un qualcosa che mai avresti fatto così ora lo si fa per distrarsi.

E’ un tempo presente pesantemente lungo, tragicamente pesante; non è passato, non c’è ancora la memoria ad accompagnare propositi e insegnamenti. Se lo si fa è per esorcizzare questo hic et nunc, per ammorbidire l’ira degli dei e tenerceli buoni. O forse per poterci battere il petto, noi uomini, rei confessi d’essere colpevoli per aver saccheggiato, inquinato, brutalizzato, devitalizzato madre terra.

Non è un tempo archiviato su cui far riflessioni, partorire buoni sentimenti, spergiurare conversioni e cambiamenti di stili di vita.

E’ tempo presente, lo stiamo attraversando; giorno per giorno con fatica e ansie. Con paura. È tempo di sopravvivenza, impossibile sapere per quanto tempo ancora si dovrà penare, quanti morti seppellire e lacrime asciugare. Saranno ancora molti i giorni e i mesi; il nemico invisibile sarà lui a decidere il tempo.

E allora credo forse che la sola domanda ammissibile in questo hic et nunc sia che cosa ora sto facendo in questo tempo? Cosa sto imparando in questi giorni? Quali pensieri coltivo, elaboro, trattengo? Sono capace di cercarmi? Sono capace di avere attenzioni e sguardi d’amore, di fiducia, di speranza in questo tempo? Abbraccio la mia vita e la vita di chi amo e vive con me, ora in questo tempo difficile?

Sono le piccole grandi cose, nel qui ed ora, che possono preparare in verità e sincerità quello che sarà il tempo futuro, non altro: ciò di cui noi tutti disponiamo è il momento presente, il qui ed ora della nostra esistenza. Non altro. Non abbiamo un altro tempo, un’altra storia, un’altra vita: si gioca tutto nel qui ed ora. Ciò che possiamo aver imparato ad oggi è una verità eterna: siamo di passaggio. Non siamo indistruttibili. Siamo fragili, deboli al punto che un minuscolo virus ci tiene sotto scacco e tutto il mondo è atterrito e impotente. Siamo facili bersagli d’un nemico invisibile e aggressivo. Il tempo di ciascuno di noi non ci attende, esige la nostra presenza, la nostra scelta, la lucida consapevolezza della nostra presenza qui e ora.  Ciò che manca di più oggi, in questo nostro tempo dall’evidenza fragile e incerta, è il coraggio di cercare una risposta, l’audacia e la temerarietà di ricercare quel riscontro che appaga il cuore ferito, impaurito e insoddisfatto. Ci aggrappiamo, per paura di perderlo, a quel poco che abbiamo o siamo. E’ spento il desiderio, perché è morta la speranza o ridotta al lumicino.   Valgono le parole, lapidarie quanto profonde e attuali di Thomas Merton: “Vi sono tanti uomini, anche grandi uomini, i quali pensano che l’unico atteggiamento autentico è quello della franca accettazione della disperazione nei confronti della vita”. Una banale quanto annoiata vita vissuta. Un mediocre ed insensato quanto inutile trascinarsi tra la disperazione, il disincanto e il triste atteggiamento scettico ci accompagna nella fatica del nostro vivere, chiuso in un orizzonte definito e presuntuosamente conosciuto e noto.

Non c’è nulla che immediatamente scaldi il cuore, che faccia appassionare il nostro giorno. Si riduce ogni cosa a istanti consumati velocemente e ripetuti. Eppure, eppure oggi, qui ed ora, il tempo è propizio, è favorevole: è un tempo di grazia per far posto nel nostro cuore a quelle domande che forse da troppo tempo abbiamo eluso. A domande a cui forse abbiamo dato risposte evasive, frettolose, vacue, persino scontate. Al punto d’aver reso il nostro vivere un banale scorrere del tempo, inconsistente nella sua monotona e disperata corsa verso una fine temuta, allontanata e così prevedibile. E’ urgente allora, nell’epoca ritmata da scelte e separazioni, educarci (ed educare) costantemente alla crisi; entrarvi e usare tutto il discernimento di cui siamo capaci fino a cogliere un suono più profondo di là dal rumore della vita normale, delle notizie tragiche di morti e malati, Incoraggiandoci ad andare oltre il frastuono di chiacchiere vane in un tempo da riempire sciupandolo.   E cercare, fino a questuare quel dono di vedere – attraverso le apparenze e al di là di esse – il profondo legame di tutte le cose, in Dio.

Delfina Colombo – Daniele De Vecchi