L’etimologia della parola economia va ricercata all’interno della cultura greca, infatti ben due sono le componenti che unite formano il termine, “oikos” e “nomos”, rispettivamente “casa” e “norma”, letteralmente gestione della casa. A ben pensarci quindi la derivazione di questo principio sta alla base, nel regolare la gestione delle risorse disponibili, le risorse della Casa, la nostra, soddisfacendo il bene della collettività, della Famiglia. Le nostre orecchie si stanno abituando oggi più che mai ad ascoltare il suono della parola ed è giusto quindi davvero capirne in significato e gli strumenti, per far nostro e diventare partecipi del cambiamento che tanto richiediamo: questo non può essere unicamente imputato come colpe o meriti alle Istituzioni, anzi deve partire da una corretta gestione dei beni, da una corretta amministrazione, dove chi ha tanto deve saper donare e chi ha poco deve avere la capacità di ricevere.
Entrando nel vivo della nostra riflessione, ci proponiamo di chiarire alcuni aspetti, primo tra tutti il contesto, dove parlare di economia oggi significa avere presente un quadro macroeconomico assai grande, che esula dalla mera condizione nazionale la quale diventa tutto e nulla, tutto perché parte, nulla, per il medesimo motivo: ci si ritrova di fronte alla millantata economia globale, dove le singole nazioni diventano parte di essa creando una rete a maglie assai stretta, per relazioni, forniture e sistemi. Economia globale, o mondiale, significa insieme di tutte le attività produttive al mondo, quelle attività che svolte vanno a creare valore aggiunto: perché se ne parla oggi? Riuscire a comprendere queste dinamiche risulta spesso complesso, parlare di multinazionali, mercati globali, borse, determina confusione; come si può intendere questo meccanismo? Quali le criticità?
Ebbene questa profonda crisi ci costringe a rivedere il sistema produttivo mondiale, dove le materie prime sono prodotte in Cina, la mano d’opera in Corea, l’amministrazione in Europa, il commercio in America (fino a poco tempo fa, per voler ironizzare): rompere un solo anello della catena significa distruggere un sistema dove se tutto fila alla perfezione, il valore è decuplicato, ma se solo un anello crolla, il sistema cade in frammenti, ed è il motivo per il quale oggi si richiedono a gran voce misure straordinarie.
Appare quindi chiaro che il successo economico non parte dalla finanza, ma dalla produzione, dal valore delle cose, ed è ora chiaro il perché vengono richiesti aiuti principalmente sul sistema produttivo, quindi dei consumi; la parola d’ordine oggi è una: liquidità, che viene veicolata dalle banche. Queste (per semplicità di caso faremo riferimento alle dinamiche interne alle banche nazionali, accennando unicamente al ruolo della BCE, considerandone una sua precedente trattazione) hanno differenti modi di immettere liquidità, quindi incentivare consumi, investimenti e produzione, tra questi le operazioni su iniziativa delle controparti, la riserva obbligatoria e le operazioni di mercato aperto; per attualità tematica si conviene che discutere di queste ultime risulta essenziale, infatti le così dette OMA sono definite come “transazioni effettuate dalle banche centrali nel mercato interbancario con lo scopo di regolare la quantità di moneta in circolazione”: queste spesso consistono in acquisto e vendita di titoli di stato da parte della Banca Centrale il che si può facilmente tradurre come “io vendo titoli di debito, tu Banca Centrali acquisti; io istituto bancario ho moneta, quindi posso concedere credito alle imprese, in generale immettere denaro nel sistema”. Tutto questo oggi prende il nome di Eurobond, ovvero uno strumento simile a quello sopra descritto che consiste in titoli di debito europeo: una nuova regola per la quale non sono più i singoli stati a fare debito, ma è l’Europa tutta che si fa garante nell’immissione di liquidità non solo caricandosi del debito, ma diventando garante del rischio.
Nonostante questa proposta si stia muovendo sempre più verso il fronte dei No, appare indiscutibilmente chiaro che non bastano più le classiche politiche economiche e monetarie (Quantitative Easing, rapporto Deficit/Pil e molte altre): ci voglio strumenti non convenzionali. Che cosa sta facendo quindi l’Italia? Fabbriche chiuse, negozi chiusi, il pericolo del costo del debito che si fa sempre più minaccioso sulle generazioni future, prospettive di Pil in decrescita del 3,4% (il che si traduce in recessione, fonte Goldman Sachs)… e noi?
L’economia italiana, proprio perché ha un tessuto fatto da piccole imprese che si muovono in un contesto globale (esponendosi quindi a rischio di liquidità, rischio di crisi sulle forniture quindi la produzione, in ultimo rischio di avviamento di procedure fallimentari), ha messo sul piatto tutta una serie di norme sulla quotidianità: con il decreto cura Italia il Governo dispone 25 miliardi di Euro in risorse per la sanità, la cassa integrazione, misure sul congedo parentale, bonus lavoratori autonomi (ed altri), mentre sul fronte delle imprese 350 miliardi di Euro in liquidità e credito: in una situazione di profonda oscurità è necessario armarsi di lenti per vedere, discernere le informazioni e formare un proprio pensiero critico arrivando a comprendere che se da un punto di vista tutte le scelte che oggi vengono prese partono da una prospettiva monetaria, dall’altro bisogna saper guardare ad esso con un forte senso di accuratezza personale, dove il peso del “debito morale” non deve ricadere sulle istituzioni, o meglio non siamo noi a doverlo far ricader su di esse, bensì su noi tutti; guardiamoci allo specchio e chiediamoci “io cosa sto facendo? Sto svolgendo il mio ruolo? Sto imparando a capire le difficoltà nell’amministrare una situazione simile da parte delle Istituzioni tutte?” Ecco quindi che ridiviene umano l’uomo che attacca, torna ad occuparsi di economia così come la intendevano i Greci, nella gestione della Casa, della Nostra Casa comune.