Da ormai mezzo secolo, in continuità con l’avvicendarsi dei due millenni, instancabilmente la Chiesa continua a lanciare agli uomini di buona volontà, ai popoli e alle nazioni, i Messaggi annuali delle Giornate mondiali della pace, per invitare tutti a superare le controversie internazionali con le trattative e la “nonviolenza”, attiva e creativa, in alternativa alla corsa agli armamenti, all’uso della forza e ai conflitti.
Per poter contrastare la ”terribile guerra mondiale a pezzi”, le migrazioni forzate e la devastazione dell’ambiente, Papa Francesco rilancia l’appello alla riconciliazione, alla solidarietà e alla coesistenza, nella giustizia e nell’equità, con la richiesta dell’abolizione delle armi nucleari e in favore del disarmo, contro i trafficanti di armi e i signori della guerra.
In un mondo liberato dalla violenza, per uno sviluppo umano integrale, ci deve essere lo spazio per promuovere “la giustizia, la pace e la salvaguardia del creato”, una speranza alla Conferenza ecumenica di Basilea, con il Card. Martini, che aveva coinvolto le Chiese cristiane europee nell’impegno solidale di superamento delle ingiustizie per il bene comune dell’umanità.
Ma intanto la situazione mondiale attuale è diventata veramente drammatica per una globalizzazione mal governata, una crisi economica dilagante e una conflittualità etnica e religiosa imprevista, che generano vittime e profughi, con le persecuzioni delle minoranze nazionali e la minaccia del terrorismo.
C’è dunque l’urgenza di tornare a riflettere sulle scelte del Concilio e della Pacem in terris di Papa Giovanni XXIII per riscoprire i “segni dei tempi” dell’attualità storica, con riferimento anche alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, in relazione “al disordine che regna fra gli esseri umani e fra i popoli”, per ristabilire i rapporti della convivenza verso un “pacifico sviluppo”.
Se si ripercorrono tutti i cinquanta Messaggi per la pace, diffusi all’inizio di ogni nuovo anno, a partire dal 1968 con Paolo VI, si possono rintracciare le strade da percorrere ancora oggi per uscire dal fatalismo e dall’indifferenza delle sorti del mondo, con l’aggancio all’attualità delle situazioni che stiamo vivendo nelle città, in Europa e nella realtà internazionale.
Nel periodo del pontificato di Papa Montini, fino quasi alla soglia degli anni ’80, con il prologo dell’ormai famoso discorso del ‘65 all’Assemblea generale delle Nazioni Unite: “non più gli uni contro gli altri, non più la guerra!”, i Messaggi annuali affermavano che la pace è possibile, perché “dipende da te”.
Si trattava di educarsi per riscoprire le vere armi della pace attraverso la riconciliazione, con la convinzione che “ogni uomo è mio fratello”, e quindi se si vuole realizzare la pace, deve essere difesa la vita, promuovendo i diritti dell’uomo, lavorando per la giustizia, dicendo no alla violenza.
Nonostante i movimenti pacifisti di quegli anni fossero spesso alimentati da spinte ideologiche unilaterali, non si deve affatto sottovalutare l’apporto significativo dei cristiani a sostegno delle lotte di liberazione dei popoli dal sottosviluppo, dal neocolonialismo, dai regimi dittatoriali.
Se la promozione della pace è il traguardo della convivenza sociale, diventa allora un valore e un dovere universale la ricerca di soluzioni alternative alla guerra per risolvere i conflitti internazionali e promuovere lo sviluppo per superare le situazioni di povertà, di sfruttamento e d’ingiustizia, che creano tensioni e instabilità sociali e politiche.
Durante il lungo pontificato di Papa Wojtyla, le Giornate mondiali della pace hanno accompagnato il transito verso il terzo millennio cristiano, con l’esperienza drammatica vissuta nei Paesi dell’altro “polmone” dell’Europa dell’Est, dai regimi dittatoriali a Solidarnosc fino alla caduta del Muro di Berlino.
Partendo dalla verità, “forza della pace”, e dal rispetto delle libertà, della coscienza di ogni uomo e delle minoranze, per vincere con il dialogo la sfida del futuro, bisogna avere un “cuore nuovo”, aperto all’incontro con i poveri e alla solidarietà senza frontiere, per lo sviluppo e la pacifica convivenza.
Si deve essere in pace con Dio e con tutto il creato, camminando insieme ai giovani, da Nord a Sud, da Est a Ovest, con i credenti uniti nella costruzione della Pacem in terris, che è un impegno permanente per il rispetto della libertà religiosa, dei diritti umani e della giustizia.
Se la pace è un dono di Dio affidato agli uomini, si deve avviare il dialogo fra le culture per una civiltà dell’amore, per vincere il male con il bene, per offrire il perdono, per dare ai bambini un futuro.
I Messaggi dell’ultimo decennio di Benedetto XVI e di Papa Francesco, si immergono nella realtà contemporanea, indicando le strade da percorre per vincere l’indifferenza, educare i giovani alla giustizia e alla pace, combattere la povertà, custodire il creato, vivere la fraternità e la nonviolenza.
Se la persona è il cuore della pace e se la “famiglia umana” deve diventare una comunità pacificata, è necessaria l’azione incessante degli “operatori di pace” per affrontare le sfide dei conflitti e dell’accoglienza in una società ormai multietnica e interreligiosa che ci avvolge.
La riscoperta dell’attualità dei Messaggi delle Giornate mondiali della pace è una occasione per avviare un dialogo sulle grandi questioni da affrontare al fine di uscire dalla spirale delle guerre e della violenza, con l’apertura al mondo ormai senza confini e con la solidarietà e l’accoglienza dei migranti nella società interreligiosa e multiculturale che ci avvolge.