Da troppo tempo siamo in un clima permanente di campagna elettorale. Il dato elettorale di domenica scorsa indica che il nostro paese sta ritrovando una dialettica politica tra un riformismo Democratico e un polo di destra a traino leghista.
Il leader Salvini è al comando di un partito monolito, radicalizzato e senza un qualificato dibattito democratico interno. Questo stato di cose, gli permette di dettare, da solo la linea politica: contenuti e modo di procedere. Dalla richiesta estiva dei pieni poteri (del Papeete) alla recente citofonata ad una casa privata, a caccia di spacciatori, sono atti che manifestano la volontà di un “delirio d’onnipotenza” che deve impensierire la coscienza di ogni sincero cittadino democratico.
Populismo, sovranismo, xenofobia e a volte tolleranza di atti di razzismo, sono manifestazioni sempre più frequenti in questi ultimi periodi della nostra vita sociale.
Queste manifestazioni spesso sono accompagnate, suffragate e sostenute da messaggi intriganti che scatenano odio e rabbia sia sui mezzi di comunicazione social, sia nella realtà. Insomma con Salvini solo al comando, la Lega è diventata il partito dello scontro più che del confronto politico. Uno scontro basato su slogan accattivanti, con interventi spettacolari, selfie tempestivi e piazze intrattenute su denunce deliranti. È quanto avvenuto nella martellante campagna elettorale che ha condotto in Emilia Romagna e che ha sortito un duplice effetto: ha rinsaldato le sue fila estreme a destra, ma nel contempo, ha mobilitato il popolo democratico, gli astensionisti ed i giovani delle sardine che elettoralmente hanno fatto la differenza.
Salvini ricompatta gli estremi, ma non riesce a vincere, questa è la chiara lezione politica di quanto è avvenuto domenica scorsa. In EmiliaRomagna infatti dove aveva candidato una “invisibile” Borgonzoni ed estremizzato lo scontro elettorale (in una regione del buon governo), Salvini ha perso. In Calabria, dove il centrosinistra era in difficoltà, con una candidata moderata a trazione non leghista, il centrodestra ha vinto.
Già dallo scorso autunno il leader leghista aveva caricato di valore politico nazionale queste due elezioni regionali, esponendosi anche personalmente in EmiliaRomagna e mettendo in secondo piano la figura della candidata, con un lucido tentativo di sferrare una spallata al governo nazionale. Obiettivo fallito.
Tuttavia, Salvini, se vuole governare gli Italiani, dovrà abituarsi a parlare alla maggioranza che non gli chiede soltanto selfie, ma risultati. E non vuole parlare solo di immigrati, ma soprattutto di economia, scuola, lavoro.
Bonaccini, il candidato e presidente uscente dell’EmiliaRomagna, viceversa ha incentrato la campagna elettorale su proposte riformiste volte a migliorare la vita dei cittadini e delle imprese della sua regione. Alla fine, nonostante i rumors da stadio, ha prevalso la ragionevolezza e il buon senso. Ha vinto ancora la ragione Politica su chi urla più forte o crede sull’effetto elettorale delle fake news dei social.
Certamente una grande lezione di stile politico improntato sulla proposta, sul buongoverno, sulla squadra e sul progetto politico ci è venuto dal candidato presidente del centrosinistra, ma dobbiamo riconoscere anche la grande spinta partecipativa del nuovo movimento delle Sardine.
Questi giovani autorganizzati hanno riempito le piazze, si sono autoconvocati alla partecipazione attiva. Hanno aperto gli occhi al popolo degli astenuti e dei non rappresentati. Hanno in qualche modo acceso la lampada della partecipazione democratica che si basa appunto sull’esserci nei processi, sul non stare a guardare passivi gli eventi politici. Hanno ricordato a tutti quanto sia importante essere cittadini attivi e responsabili, ad iniziare dal decidere per le istituzioni attraverso il voto democratico. Conoscere e partecipare per decidere chi votare, fa la qualità della delega democratica.
Oltre al fenomeno Salvini, in questo appuntamento elettorale, sono emersi altri due dati politici: il netto ridimensionamento del movimento 5 Stelle e l’obbligata apertura del Partito Democratico.
I Grillini, nati come movimento populista proprio a Bologna col “vaffanday”, muoiono ora in EmiliaRomagna, per l’incapacità di trasformarsi in un partito popolare con una chiara linea politica. Se da un lato dobbiamo riconoscere la loro capacità di aver canalizzato la protesta popolare post-crisi del 2008 nell’alveo delle istituzioni democratiche, dall’altro, il loro cavalcare la protesta di piazza, (affidandosi alle regole virtuali della tecnologia dei social media e rifiutando di scegliere il campo politico in cui giocare) gli ha ridotti a dei risultati elettorali insignificanfi. È comunque auspicabile una loro tenuta a livello nazionale, i loro “stati generali” di Marzo, siano l’occasione per ritrovare una collocozione riformista e progressista per la difesa dei diritti dei più deboli. Ci auguriamo che sappiano trasformare la loro sensibilità ecologica, sociale e contro i privilegi, in progetti politici concreti e realizzabili.
Da queste elezioni, inizia una nuova fase politica, in cui la Lega rilancia su basi nuove e preoccupanti la destra, mentre intorno al Pd si sta ricostruendo un polo progressista. Contrariamente a certe velleità grilline, la distinzione politica destra- sinistra è più che mai attuale, anche come battaglia per un nuovo tipo di sviluppo ecosostenibile e per una società più umana. Chi vede Trump in America e Salvini in Italia, capisce cos’è la deriva a destra oggi nel mondo e nel nostro paese.
Tuttavia, in questa nuova fase, il Partito Democratico da solo contro tutti, farebbe nascere un bipolarismo zoppo a favore del centrodestra. Al PD attuale è rimasto poco dello spirito dell’Ulivo. In questi dieci anni è diventato un partito autoreferenziale, ripiegato su se stesso, rinchiuso nelle logiche delle correnti e dei capibastone, non riesce più ad interpretare le dinamiche innovative della società. Deve ritornare ad essere un soggetto veramente plurale ed in relazione positiva con i corpi intermedi. Se nei primi anni ‘90 le forze sindacali, dell’associazionismo, del volontariato ed in generale del terzo settore erano per la stragrande maggioranza orientati verso il centrosinistra, oggi non è più così. Questo è un mondo da riconquistare con un rapporto virtuoso da reimpostare, che superi la “ disintermediazione leaderistica” praticata negli ultimi anni.
ll PD deve spalancare il Partito, anzi con tutta la responsabilità storica del momento deve fare un partito veramente nuovo attraverso “assemblee permanenti degli esterni”. Ha bisogno di nuove esperienze d’incontro con i mondi vitali territoriali, provinciali e regionali. Una significativa operazione di aggregazione e valorizzazione di nuove forze vive esterne per ricostituire una larga area plurale aperta al riformismo progressista democratico, nonviolento e antifascista.
È indispensabile che il protagonismo politico sia aperto a tutta la società civile del cambiamento e dell’innovazione nella direzione della coesione sociale, dell’economia civile e circolare di mercato per il raggiungimento dei traguardi fissati dall’agenda 2030: “La prima visione progettuale del terzo millennio nobile, laica e di lungo periodo”, che il nuovo polo progressista deve assumere per le sfide del futuro.
Natalino Stringhini e Francesco Prina di Persona e Comunità