
Ho conosciuto meglio Antonella negli ultimi due anni quando le ACLI milanesi hanno avuto la fortuna di usufruire della sua collaborazione professionale in ambito formativo.
La sua scomparsa mi ha colpito in modo particolare non solo per la grande ingiustizia che porta con sé una morte prematura, ma soprattutto perché lei era una di quelle persone di grande valore che lasciavano il segno, che facevano pensare.
Come tutti, penso, ho imparato tanto da lei ma oggi vorrei soffermarmi su tre brevi pensieri.
Per Antonella la Formazione – come scrive nel libro “Intraprendere nella complessità” (Carrocci Editore giugno 2016) – era appunto “riattraversare la forma passare attraverso l’agire lasciando l’inutile e il desueto e modificandolo in rapporto a quello che ci chiede la realtà.”
Uno degli insegnamenti che mi lascia personalmente è quello di aver compreso che la Formazione, nell’accezione da lei indicata, ha come cardine le persone. Ogni persona è sempre e comunque una risorsa, poiché ognuno ha in sé delle capacità, e il compito dell’agire formativo sta nello scoprirle, nel prenderne coscienza e nel metterle in relazione a quelle delle altre persone.
“Il contenuto diventa formativo quando si lega con l’esperienza delle persone” diceva (op. cit.).
Paradossalmente se si agisce in questo modo lo si sperimenta.
L’altro insegnamento che emergeva da tutto il suo agire era la continua ed incessante necessità di ritrovare il senso e i valori che davano origine alle azioni.
“Occorre sempre di più cercare di legare l’azione concreta al senso e quindi al valore sotteso che ne dà origine. Occorre costruire sull’esistente e non accontentarsi mai “diceva (op. cit).
E nello stesso tempo poneva un richiamo forte a che queste azioni non fossero lontane dalla realtà “Il mondo delle idee disancorato dalla realtà per sua natura complessa rischia di produrre esiti astratti” diceva (op. cit).
Come non sentir riecheggiare in questa citazione il monito di Papa Francesco quando nell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium n. 231 afferma che “ la realtà è superiore all’idea”.
Infine l’insegnamento fondamentale che mi ha sempre particolarmente colpito è stata questa continua esortazione ad un discernimento sapienziale della realtà, ad una responsabilità nell’agire associativo che andava gelosamente coltivata e non lasciata all’improvvisazione, a esercitare il pensiero prima di tutto sulla realtà, a volte profetico, a volte no ma sempre e comunque da condividere con gli altri.
“L’incertezza di questa realtà ci deve indurre a condividere il nostro pensiero e tentare una interpretazione che possa coinvolgere gli altri in una relazione che porti coesione sociale” diceva (op. cit).
Il continuo coltivare il pensiero andando nel profondo di ognuno di noi, solo questo ci può salvare dalla deriva etica che, nostro malgrado, ci attraversa.
Non possiamo sottovalutare il grande rischio in cui incorriamo che tutti sappiamo essere in fondo quello che Hannah Arendt chiamava la “banalità del male “.
“Quel che ora penso veramente è che il male non è mai radicale, ma soltanto estremo, e che non possegga né profondità né una dimensione demoniaca. Esso può invadere e devastare il mondo intero, perché si espande sulla superficie come un fungo. È una sfida al pensiero, come ho scritto, perché il pensiero vuole andare in fondo, tenta di andare alle radici delle cose, e nel momento che s’interessa al male viene frustrato, perché non c’è nulla. Questa è la banalità. Solo il Bene ha profondità, e può essere radicale.”
“ La banalità del male” Hannah Arendt.
Delfina Colombo (Segretaria di Presidenza con delega alla Formazione e alla Vita Cristiana)