di Paolo Petracca, 06/12/2013
Riproponiamo l’articolo del presidente Petracca pubblicato in occasione del 95° compleanno di Madiba che ricorda l’eroe della lotta contro l’apartheid
Il suo volto sorridente, il suo incedere lento, la sua figura statuaria sono diventate un icona di chi, in un cammino lunghissimo, si è forgiato alla pazienza e alla temperanza, ha perdonato i suoi nemici ed i suoi aguzzini e liberando se stesso ha liberato un popolo intero, non solo la sua parte ma tutti: neri e bianchi.
Nonviolenza è la politica con cui Mandela e la sua nazione arcobaleno hanno stupito il mondo, a partire dal 1994 quando Madiba, come lo chiamava familiarmente la sua gente, divenne pacificamente il primo presidente nero sudafricano, quando chiese che il commovente inno del Paese fosse “Dio benedica l’Africa” nelle quattro lingue principali (di origine europea e dell’emisfero australe) parlate a Johannesburg, quando volle che la bandiera del nuovo Sudafrica fosse la fusione dei due vessilli delle parti in conflitto (peraltro con una policromia unica e molto aggraziata), quando istituì, su suggerimento dell’arcivescovo Desmond Tutu, il tribunale per la pace e la riconciliazione: dove vittime e carnefici dovevano pubblicamente “confessarsi” e, se possibile, riappacificarsi, in una catarsi di verità, che probabilmente ha evitato una guerra civile.
Mandela, un “pericoloso terrorista” che ha subito 27 anni di carcere, ha ricevuto il premio Nobel per la Pace e ha governato con grande moderazione e per scelta solo per cinque anni: quelli sufficienti per “iniziare il lavoro, e lasciare poi il campo libero ad un presidente più giovane, più in forte, più competente e preparato”.
Il campo libero… il campo da rugby, sport bianco per eccellenza in Sudafrica, sport amato profondamente da Madiba: indimenticabile rimarrà l’immagine di Mandela che stringe le mani ai trenta giocatori della finale del campionato mondiale del 1995 ad Ellis Park indossando la maglia di Francois Pienarr, capitano degli Springboks: chi non avesse visto Invictus, non perda l’occasione di farlo, magari con i propri figli o nipoti al fianco, una perfetta perché vera occasione pedagogica.
Mandela, mito di un continente, un’altra istantanea, ancora sullo sport: finale della Coppa d’Africa di calcio 1996, anch’essa ospitata in Sudafrica, anch’essa vinta, come nei mondiali ovali, dalla squadra di casa, i giocatori tunisini scendono in campo ciascuno con un pallone in mano ed in mondo visione chiedono un autografo a Mandela…
Mandela che ha corso il rischio di diventare (e di essere ridotto) a un’immagine pop era in realtà un uomo dalla profonda ricerca spirituale, che si è manifestata con semplicità, un avvocato che ha usato la retorica del cuore con grande efficacia, perché tradiva un’autentica sincerità dei sentimenti, delle emozioni ed una limpida capacità di ragionamento, perché Mandela è il “capitano della sua anima”, come recitano i versi di Henley che lo avevano sorretto nel terribile isolamento di Robben Island.
Mandela come Biko sa che la “consapevolezza nera” è il primo passo verso la comune umanità. Mandela come Biko ha ispirato musicisti e artisti di tutto il mondo che hanno cantato e rappresentato le loro storie perché l’arte coglie ciò che muove e nobilita il cammino delle donne e degli uomini.
Arrivederci a Mandela dunque perché possa ancora esserci compagno di strada nei sentieri che conducono alla libertà, alla pace e alla nonviolenza, percorsi che in larga parte coincidono.