A poco più di un anno dalla corsa verso l’Eliseo e con una maggioranza ormai in mille pezzi il presidente francese fa retromarcia e ritira il progetto sulla decadenza della nazionalità per le persone condannate per terrorismo
Per il presidente Hollande è stata davvero una Caporetto. Il ritiro del progetto sulla decadenza della nazionalità per le persone condannate per terrorismo, ufficializzato in conferenza stampa dall’Eliseo, segna senza dubbio il momento più buio di una presidenza, già di suo mai particolarmente brillante. I sondaggi, per quel che valgono, testimoniano impietosi questa discesa dell’indice di gradimento che, forse, rischia persino di mettere in discussione la candidatura alle presidenziali.
Sulla questione della nazionalità la retromarcia è davvero clamorosa, soprattutto se si pensa che era stato proprio lo stesso Hollande, sull’onda dell’emozione degli attentati dello scorso 13 novembre, a proporre questa misura. Una provvedimento che, in verità, apparteneva da sempre all’armamentario della destra e che l’Eliseo proponeva per ottenere il più ampio consenso sulla svolta sull’ordine e la sicurezza. Cinque mesi dopo: il nulla.
Tutto ha iniziato a prendere una brutta piega quando la proposta originaria, che prevedeva la decadenza solo per i binazionali, in modo da non creare degli apolidi (cioè persone prive di nazionalità, cosa non ammessa dalle convenzioni internazionali), è stata inopinatamente ampliata dall’Assemblea nazionale fino a ricomprendere anche coloro che di nazionalità ne hanno una sola. A rischio di incorrere nella creazione di apolidi. Scontato che la sinistra, compresa larga parte del Partito socialista, bocciasse questa nuova versione del progetto. Appoggio totale invece dal Fronte Nazionale, mentre la destra repubblicana dapprima è sembrata appoggiare la linea dell’Eliseo, poi ha iniziato a recalcitrare. Forse perché ha prevalso il calcolo politico, di indebolire ulteriormente il Presidente e il governo, o forse perché tra i repubblicani è ormai di moda differenziarsi su qualsiasi tema a causa della competizione interna per la candidatura all’Eliseo.
Quando è venuto il suo turno, il Senato ha votato un testo che escludeva l’estensione della pena a tutti i cittadini. A questo punto sarebbe stato necessario un accordo tra i due rami del Parlamento. Normalmente in casi analoghi, abbastanza frequenti nell’attività legislativa, si trova un compromesso su un progetto comune ma questa volta tutto è stato vano. Un inedito muro contro muro, quasi inverosimile se si pensa che in ballo vi era un progetto voluto niente meno che dal capo dello Stato. E questo, più di qualsiasi altra cosa, dà la misura di quanto ormai Hollande abbia perso il controllo della propria maggioranza.
Probabilmente l’Eliseo avrebbe fatto meglio (e pare che qualcuno lo scorso autunno lo avesse suggerito) evitare di imbarcarsi in una riforma costituzionale su una materia, sinora disciplinata dalla legislazione ordinaria. Nelle modifiche della Costituzione c’è sempre qualche incognita, sia per i tempi lunghi che esse richiedono, sia perché è indispensabile costruire a monte un consenso trasversale tra le forze politiche. Per molti versi Hollande ha voluto alzare troppo la posta, senza verificare preventivamente se vi fossero le condizioni politiche per portare a casa il risultato voluto.
In ogni caso, più che mai, è mancata la compattezza della sua maggioranza, che di fatto è ormai inesistente e viene tenuta in piedi solo dalle stringenti norme della Quinta repubblica. Inevitabile dunque il ritiro del provvedimento come ultima via di uscita, facendo magari finta che nulla sia successo e provare, dopo questa fragorosa battuta d’arresto, a ricostruire una maggioranza in mille pezzi.
A poco più di un anno dalla corsa verso l’Eliseo, per il Presidente sembra persino arduo superare il primo turno. Per evitare un esito tanto disastroso a Hollande servirebbe davvero un miracolo. Un po’ come quello che nel 2011 gli consentì di vincere le primarie socialiste, perché il favoritissimo Strauss-Kahn si mise fuori gioco da solo.