Francia – La deriva iperpresidenzialista

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Il palazzo presidenziale dell'Eliseo.

di Aldo Novellini – 04/11/2015

Eletto per 5, anziché 7 anni il Presidente da garante delle istituzioni si è trasformato in leader di partito. La figura del Primo ministro è divenuta quasi inutile e si è affievolito il ruolo del Presidente come arbitro.

A quasi due decenni dall’ultima grande riforma costituzionale, che ha ridotto a cinque anni il mandato presidenziale in origine previsto di sette, la Quinta repubblica mostra una vera e propria deriva iperpresidenzialista. Per capire quello che sta accadendo, occorre ricordare che si volle allineare la durata del mandato del Presidente a quella del Parlamento per evitare le frequenti coabitazioni tra maggioranze di colore politico diverso. Il settennato presidenziale era sempre intercalato da una scadenza della legislatura e vi erano forti probabilità che dalle urne uscisse una maggioranza alternativa a quella del capo dello Stato. Capitò ben tre volte in dieci anni: nel 1986 e nel 1993, sotto la presidenza di Mitterrand con premier Chirac e Balladur e poi ancora nel 1997 per una legislatura intera con Chirac all’Eliseo e Jospin a Matignon.

Il quinquennato ha in effetti evitato il rischio di maggioranze divergenti, fonte di una certa tensione istituzionale, al prezzo però di un progressivo deterioramento della funzione presidenziale. Eletto per cinque anni, in coincidenza con l’Assemblea nazionale, il Presidente da garante delle istituzioni si è trasformato in leader di partito, in barba al tradizionale impianto gollista nel quale il capo dello Stato manteneva per sé le grandi scelte politiche, lasciando al primo ministro la gestione della quotidianità. In questi ultimi anni abbiamo visto Sarkozy decidere su ogni minimo dettaglio, relegando il premier a mero collaboratore dell’Eliseo e Hollande intervenire in presa diretta su qualsiasi faccenda. La figura del Primo ministro è divenuta quasi inutile mentre si è affievolito il ruolo del Presidente come arbitro dei destini nazionali.
E infatti, sia Hollande sia Sarkozy, a differenza dei loro predecessori, vengono percepiti non come statisti al di sopra delle parti ma come capi della propria maggioranza.
Oltre a questo si registra un difetto, se possibile ancora peggiore. La minor durata del mandato presidenziale ha accelerato i ritmi della politica e, in pratica, il Paese si trova immerso in una campagna elettorale permanente. Trascorso il primo anno, quello in cui avvengono le elezioni, comincia, in particolare per lo schieramento perdente, la corsa per la scadenza successiva che avrà luogo a quattro anni di distanza. Nel frattempo non si parla d’altro e si attizzano rivalità mai viste in passato. Un’unica immane gara per l’Eliseo, questo è diventata, a destra come a sinistra, la politica francese di oggi, senza ulteriori articolazioni politiche e con un dibattito pubblico sempre più asfittico.
Tutto è subordinato alla carica suprema, quella da cui si domina tutto. Un verticismo come mai si era verificato prima, quando l’elezione presidenziale, pur ovviamente venata di ambizione personale (Giscard o Mitterrand in questo non scherzavano di certo), era comunque filtrata da un robusto progetto politico che stava alle spalle del candidato. Oggi vi è solo l’ascesa individuale immersa in un iperpresidenzialismo che diviene urgente correggere prima che faccia ulteriori danni.

Una recente riflessione condotta dal presidente dell’Assemblea nazionale, Claude Bartolone e dallo storico Michel Winock, può forse offrire qualche spunto. La principale proposta è riportare a sette anni il mandato del Presidente rendendo più flessibile il sistema politico che dovrà mettere in conto qualche coabitazione, utile però a rendere meno conflittuali i rapporti tra le forze politiche. Una Francia che, a volte, sarà magari governata da una Grande coalizione alla tedesca: formula che, a ben vedere, rappresenta la miglior soluzione di fronte alle emergenze economiche o sociali che richiedono misure condivise.
Un’altra ipotesi è confermare il quinquennato ma senza un secondo mandato. Si vuole comunque dare maggior rilevanza al Parlamento e allora si pensa di invertire il calendario elettorale. Prima si svolgono le elezioni legislative e poi le presidenziali, cosicché saranno le prime a dare il segno al quinquennio che si apre e il Presidente tornerebbe al ruolo di arbitro più che di leader di maggioranza. A completare il tutto si vorrebbe introdurre una quota di proporzionale, dal quaranta al cinquanta per cento dei seggi in palio, nel rigido sistema maggioritario, migliorando la rappresentatività dell’aula parlamentare. Idee, insomma, su cui aprire un confronto. Magari non se ne farà nulla però è importante smuovere le acque.
Per ora di evidente c’è soltanto la deriva che caratterizza la Quinta repubblica che forse è anche quella di una classe politica poco all’altezza della situazione.