Tragico 2015: anno orribile per la Francia, colpita il 7 gennaio, con la strage a Charlie Hebdo e al supermercato ebraico, e il 13 novembre con l’incredibile sequela di orrore tra stadio, ristoranti e teatro che ha lasciato sul terreno ben 130 morti ed oltre trecento feriti. Un’ondata di violenza che Parigi non aveva mai conosciuto nella sua storia ma che, in fondo, tocca tutti noi nel nostro stesso modo di vivere perché l’Isis vuole colpire alla radice la nostra libertà e la nostra convivenza civile. Ecco allora la feroce volontà di attaccarne i simboli, quelli dello svago e del divertimento, del nostro stare insieme agli altri, della nostra socialità.
La Francia – come sempre nei suoi momenti più tragici – ha reagito bene. Con fermezza e dignità, con un richiamo all’unità nazionale che poi andrebbe letta come un richiamo anche alla massima solidarietà entro l’Unione europea. Il presidente Hollande dopo aver parlato ai francesi appena un paio d’ore dopo le stragi, affermando a chiare lettere che lo Stato sarà spietato nei confronti dei terroristi, ha poi tenuto un secondo discorso davanti al Congresso, ossia l’organo che riunisce in seduta comune i 577 deputati e i 348 senatori.
Molte le misure annunciate dal capo dello Stato. Intanto sul piano operativo saranno rafforzati gli organici delle forze dell’ordine con 5mila nuovi addetti entro il 2016 e bloccato il taglio di 9mila unità dell’esercito. Certo, questo significa rivedere gli equilibri di bilancio ma Hollande ha chiaramente spiegato che il Patto di stabilità non deve piegare il Patto di sicurezza e a questo proposito è già stata allertata la Commissione europea. L’Eliseo punta ad ottenere qualche margine di flessibilità sul deficit pubblico a causa delle maggiori spese legate alla sicurezza.
Sotto il profilo più generale, il Presidente chiede al Parlamento di prorogare lo stato di emergenza, decretato il giorno dopo i massacri, per almeno tre mesi. Nello stesso tempo Hollande vuole giungere ad una riforma costituzionale che precisi meglio i contorni dello stato di emergenza. Attualmente esso si fonda infatti su una legge ordinaria del 1955 ed ha trovato spazio in un solo caso, all’epoca della guerra d’Algeria. La Costituzione disciplina invece le situazioni di emergenza agli articoli 16 e 36, delineando casistiche estreme non riconducibili, per fortuna, all’attuale sfida terroristica. L’art 16 concede poteri eccezionali al Presidente quando sia minacciata l’integrità della Repubblica o l’indipendenza della nazione, mentre l’art. 36 riguarda lo stato di assedio con il passaggio dei poteri ai militari. Pare quindi necessario, come suggerisce Hollande, precisare meglio lo stato di emergenza, come ulteriore casistica da applicarsi in maniera più diretta alle minacce terroristiche. Se ne occuperà il Parlamento ma, come in tutte le riforme costituzionali, si prevedono tempi lunghi, occorrendo un reale consenso tra le forze politiche.
In tema di ordine pubblico sono giunte le novità più concrete. Saranno infatti potenziati gli apparati investigativi, introducendo più penetranti poteri nelle perquisizioni e nelle intercettazioni. Nel mirino anche la propaganda e l’apologia dell’odio religioso, razziale o del terrorismo, con la possibilità di colpirne immediatamente gli autori con modalità assai più incisive di quanto accada adesso. Torna in auge la proposta, da tempo fatta propria dai Repubblicani e dal Fronte nazionale, di togliere la nazionalità francese ai fuoriusciti che vanno a combattere con le milizie Isis. Sussiste, a dire il vero, qualche dubbio di costituzionalità, ma in ogni caso Hollande ha promesso di sollecitare un parere del Consiglio di Stato.
In definitiva il Presidente ha messo in campo un vasto arsenale di misure che hanno raccolto il plauso del Partito socialista e della destra, che non ha mancato però di rimarcare il tempo perso dal governo dopo l’attacco a Charlie Hebdo. Nelle fila della sinistra più radicale emerge invece la preoccupazione che la svolta repressiva rimanga la sola risposta, trascurando invece di agire contro la disgregazione sociale.
Sulla stessa linea di Hollande, l’ex presidente Sarkozy, oggi leader dei Repubblicani, che ha espresso il suo totale appoggio all’Eliseo, segnalando la necessità della massima determinazione sia sulla sicurezza interna, che sulla scena internazionale, dove ci si sta rendendo conto che per battere l’Isis occorre allearsi in qualche modo con Bachar al Assad. Si deve cioè scegliere il minore dei mali, ben sapendo che il peggio adesso è rappresentato dai tagliatori di teste che agiscono a Raqqa e dintorni.
D’altronde basterebbe richiamarsi alla storia per avere ben chiaro come agire. Nella Seconda guerra mondiale il nazismo fu battuto da un’alleanza con l’Urss comunista. Le democrazie occidentali si schierarono con Stalin per fermare Hitler, giustamente considerato il pericolo numero uno dell’umanità. Oggi siamo un po’ nella stessa situazione. Di certo occorre un intervento sotto l’autorità dell’Onu, unica sede realmente legittimata ad intraprendere qualsiasi azione militare. Non è più l’ora delle fughe in avanti, ma di concertare un piano internazionale che sappia poi anche pensare al dopo, a quella fase di ricostruzione politica dello scacchiere mediorientale che è davvero lo snodo imprescindibile.