La Giornata mondiale del rifugiato si celebra dal 2001 il 20 giugno

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Oggi in Italia il decreto Lamorgese punta a adattare l’ordinamento italiano in materia di immigrazione alle norme internazionali, senza tuttavia scalfire l’approccio securitario ed emergenziale che la politica italiana ha riservato da sempre alla questione migratoria

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Istituita dall’ONU nel 2001 per ricordare i 50 anni dalla sottoscrizione della Convenzione di Ginevra è la pietra miliare dell’ordinamento giuridico internazionale, e fondamento dei valori di accoglienza e solidarietà della comunità internazionale. Questo trattato risponde ai bisogni degli stati che, dopo la Seconda Guerra Mondiale, devono affrontare la questione dei profughi, che da questione puramente militare, diventa di natura sociale, politica e umanitaria. In questa sede si va a delineare lo status di rifugiato e vengono riconosciuti i diritti legati a questa condizione. Il rifugiato è quindi una persona costretta a fuggire dal proprio paese, e impossibilitato a tornarvici, per la fondata paura di subire una persecuzione, a livello personale, per motivi legati all’appartenenza religiosa, politica, etnica o per questioni di genere o razziali. La Convenzione di Ginevra, inoltre, sancisce il principio di non refoulement – non respingimento – che prevede il divieto degli stati di respingere o espellere un migrante nello stato da cui sta fuggendo senza dargli la possibilità di richiedere asilo.

Il principio di non refoulement viene recepito anche dal Consiglio d’Europa che lo inserisce nella Carta Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), in nome della quale la Corte Europea ha condannato l’Italia per non aver rispettato tale norma, attuando dei respingimenti in mare che sono quindi stati considerati illegali (sentenza Hirsi Jamaa et al. vs Italia, 2012). Ciononostante, l’Italia, come altri stati europei e l’Unione Europea stessa, ha tentato di aggirare questa norma internazionale attraverso l’esternalizzazione dei confini, stipulando, cioè, accordi bilaterali con gli stati di transito (Turchia, Libia e Mali in particolare) affinché fermino i migranti prima che attraversino il confine europeo in cambio di agevolazioni soprattutto economiche, a questi paesi. Questa strategia, non solo agisce al limite del diritto internazionale, ma espone gli individui alla violenza e all’incertezza. Perché allora l’Unione Europea e gli stati come l’Italia attuano questa politica nonostante leda la dignità e minacci la vita dei migranti? Il pericolo di un’invasione e della corruzione della cultura occidentale è reale?

Ovviamente no. I dati sulla presenza dei rifugiati in Italia parlano di circa 3 individui ogni mille abitanti: persone che hanno ottenuto quindi la protezione dello stato perché subirebbero concretamente sulla propria pelle la discriminazione e rischierebbero la morte se tornassero nel proprio paese. Sono stati sradicati non per propria volontà, e lo stato italiano, seguendo lo spirito originale alla base della comunità internazionale, li accoglie e li protegge. O così dovrebbe essere. Infatti i dati sopracitati riguardano solo coloro che già hanno ottenuto risposta positiva alla richiesta d’asilo. Tuttavia l’iter burocratico per avere questa risposta è molto articolato e può impiegare un ampio lasso di tempo, anche più di due anni, in cui il futuro del richiedente asilo è ancora una volta incerto e imprevedibile. La situazione peggiora nel 2018 con l’adozione dei cosiddetti decreti sicurezza o decreti Salvini, che riducono il numero degli sbarchi chiudendo i porti e criminalizzando le ONG, facendo così aumentare le morti nel Mediterraneo. Con la ratifica di questa legge, nel 2018 e nel 2019 il numero di domande d’asilo è diminuito e delle richieste ricevute solo poco più del 30% sono state accolte, lasciando la restante parte dei migranti in un limbo senza protezione e in attesa dell’esito del ricorso. Questa vulnerabilità è acuita dal fatto che gli stessi decreti Salvini hanno abolito la protezione umanitaria, termine ombrello che permetteva di offrire asilo a tutti quegli individui che non potevano ottenere lo status di rifugiato, ma che comunque necessitavano di protezione. Inoltre, dal 2018 i richiedenti asilo non potevano più accedere al sistema di accoglienza diffuso che i decreti Salvini riservano solo a chi è già titolare di protezione internazionale. Solo con la legge 130 del 2020, il governo Conte bis modifica i Decreti Sicurezza, senza abrogarli in toto, ma tornando ad un sistema di accoglienza diffuso, il Sistema di Accoglienza e Integrazione (SAI). Questa legge, che attua il cosiddetto decreto Lamorgese, punta a adattare l’ordinamento italiano in materia di immigrazione alle norme internazionali, senza tuttavia scalfire l’approccio securitario ed emergenziale che la politica italiana ha riservato da sempre alla questione migratoria.

Purtroppo, la narrazione anti immigrazione plasmata da partiti nazionalisti xenofobi in Italia e nell’Unione Europea ha portato a vedere il rifugiato come una minaccia, uno sfruttatore e, negli ultimi tempi, anche un untore. In virtù della protezione di una supposta cultura e società occidentale considerata monolitica ed omogenea, si tradisce lo spirito umanista non solo fondamento della comunità internazionale, ma anche radice del pensiero e della democrazia occidentale. Eschilo, drammaturgo greco, nel 463 a.C. scrive Le Supplici in cui narra una storia quantomai attuale, di profughe che fuggono da un matrimonio combinato e chiedono asilo a Danao, re degli Argivi. Egli sa che non può prendere questa decisione da solo, poiché implicherebbe una guerra, ed interpella il suo popolo. I versi che riportano la risposta del popolo dovrebbero essere le parole di ciascuno di noi, non solo dei politici ma anche di ogni individuo che si riconosce negli ideali di solidarietà, accoglienza e dignità. Gli Argivi hanno deciso senza esitazione e nel mio vecchio cuore è rifiorita la giovinezza. Fremeva l’aria quando il popolo tutto levò in alto la destra, decretando così: “Vivrete in questa terra liberi, e non sarete preda di nessuno”.