di Paolo Petracca, 29/12/2014
La rivoluzione nelle modalità di consumo dell’energia deve collocarsi accanto al completamento della rivoluzione nella produzione
Torniamo ad occuparci del binomio “economia ed energia”, l’occasione ci è data dall’attenta lettura del rapporto finale dell’Indagine conoscitiva sulla strategia energetica nazionale promossa dalla X^ Commissione della Camera dei Deputati e terminata nel luglio scorso. Da tale testo si può desumere “lo stato dell’arte” di questo cruciale settore economico e provare ad individuare alcune prospettive future, con particolare riferimento alla green energy.
L’Italia nella transizione verso una low carbon economy
L’economia italiana, sulla spinta delle politiche dell’Unione europea in tema di clima ed energia, sta attraversando una fase di transizione da un modello ad alta intensità di carbonio ad un modello a bassa intensità di carbonio.
Il settore energetico è inevitabilmente uno dei protagonisti di tale transizione ed è pertanto sottoposto a profonde trasformazioni. Infatti, accanto al calo congiunturale della domanda, innescato dalla profonda crisi economica iniziata nel 2008, ha avuto avvio un processo di cambiamento strutturale del modo di produrre e consumare energia.
In questo contesto dinamico l’energia prodotta da fonti rinnovabili ha aumentato drasticamente la propria rilevanza: la quota di green energy sul consumo interno è quasi triplicata (da poco più del 7% nel 2007 si è passati al circa 18% nel 2013), mentre dal lato della produzione la quota di energia “rinnovabile” è raddoppiata, giungendo a coprire circa un terzo della produzione lorda complessiva.
Nel nostro Paese, dopo oltre un decennio dall’avvio dei processi di liberalizzazione, si riscontra, l’esistenza di un modello in cui circa la metà delle risorse è allocata dagli operatori secondo logiche di mercato e l’altra metà dal decisore pubblico, pur nelle sue variegate modalità di intervento (in primis, Governo e Autorità di regolazione).
Il decisore pubblico continua, di fatto, a gestire l’allocazione di ingenti risorse finanziarie, sia attraverso lo strumento dei trasferimenti sia attraverso le tariffe.
Non c’è quindi da meravigliarsi che gli operatori si rivolgano pressantemente ai centri decisionali pubblici sia per chiedere la copertura di costi effettivi o presunti oppure per godere dei suddetti trasferimenti o ancora, e questo è il caso dei consumatori finali, per porre un limite all’importo complessivo dei prelievi che gravano sulla bolletta.
Si innesca, di conseguenza, una competizione per influenzare tanto la regolazione dei monopoli quanto le voci del bilancio complessivo dei meccanismi parafiscali.
La necessità di uno strumento di programmazione
Un primo terreno di scontro vede contrapposti, da un lato, i consumatori finali e, dall’altro, gli operatori presenti nelle varie fasi della filiera energetica. I primi, in qualità di contribuenti indiretti, chiedono in generale il contenimento del costo dell’energia e quindi, nello specifico, della pressione fiscale e parafiscale; i secondi, invece, invocano misure di contenimento dei rischi a cui il delicato momento di transizione li espone e, con esse, incrementi di spesa.
Un ulteriore fronte di scontro è evidente invece fra gli operatori, in competizione fra loro per massimizzare la quota di trasferimenti a loro indirizzata.
In considerazione dell’importante ammontare di risorse trasferite (per le sole fonti rinnovabili, si stima che nel 2014 verranno riallocati 12,5 miliardi di euro) e dell’impatto che sussidi e tasse hanno sul funzionamento dei mercati, appare quanto mai opportuno che il decisore pubblico, ed in particolar modo il Governo, si doti di uno strumento di programmazione di medio periodo, specifico per il settore energetico. Ciò consentirebbe di evitare, come è stato negli ultimi anni, decisioni prese sulla scorta di situazioni contingenti e dettate da criteri di urgenza, e spesso non coerenti l’una con l’altra.
Continuare la riqualificazione del sistema elettrico italiano
La trasformazione epocale che il sistema energetico sta attraversando sembra portare al superamento di un modello incentrato sulla produzione e lo scambio di energia in quanto tale, ovvero sulla mera disponibilità della materia prima, a favore di un modello in cui l’attenzione è focalizzata sulle tecnologie di produzione e sui servizi energetici.
Dall’enfasi sulla quantità l’attenzione si sposta sulla qualità del contributo energetico. Non conta soltanto quanta energia si produce e si consuma, ma soprattutto come la si produce e come la si consuma.
Relativamente alla produzione, è utile ricordare che l’Italia è tra i Paesi europei che hanno maggiormente investito nella riqualificazione del parco di impianti di generazione elettrica, prima dotandosi di moderni e flessibili cicli combinati a gas, poi dando impulso alla penetrazione delle fonti rinnovabili.
L’ingente sforzo finanziario, sebbene non esente da inefficienze, ha prodotto nell’assetto del settore elettrico italiano un cambiamento che solo alcuni anni fa sarebbe stato impensabile.
Lasciare incompiuta questa rivoluzione rappresenterebbe la più grave contraddizione in cui potrebbe incorrere la politica energetica del Paese.
In vetta alla lista delle priorità va, senza esitazione, posto il completamento della riqualificazione del sistema elettrico italiano, procedendo alla sempre maggiore integrazione delle rinnovabili, al necessario adeguamento delle reti e al supporto di tutte le tecnologie che favoriscono il decentramento della produzione elettrica.
Rivedere gli incentivi e migliorare la qualità del consumo
Il decentramento produttivo e la gestione congiunta di produzione e consumo devono rispondere a logiche di efficienza economica e minimizzazione dell’impatto ambientale, piuttosto che essere il mero frutto di decisioni tese ad eludere la contribuzione ai meccanismi parafiscali.
A tal proposito, potrebbe risultare conveniente riformare i suddetti meccanismi, diversificando la base imponibile. Le attuali aliquote sul consumo dovrebbero essere parametrate per categoria di consumatori contribuenti, che assicurino un gettito stabile, indipendente dalla congiuntura, e che non inducano comportamenti elusivi.
Riguardo, poi, al consumo, la portata del cambiamento può addirittura ritenersi maggiore.
L’utilità che il consumatore trae dall’energia deriva dai servizi energetici a cui essa da accesso. Tuttavia, oggi, tali servizi sono offerti direttamente al consumatore, che in un crescente numero di casi non necessita più di acquistare in proprio l’energia, essendo questa incorporata nel servizio offerto (si pensi ai servizi di riscaldamento e raffrescamento, alla mobilità etc.).
Il principale fattore di competizione nel mercato dei servizi energetici è, evidentemente, la capacità di migliorarne l’efficienza. Nella lista delle priorità, la rivoluzione nelle modalità di consumo dell’energia non può che collocarsi accanto al completamento della rivoluzione nella produzione. Mentre, però, quest’ultima è un fenomeno in gran parte intrinseco alla filiera energetica, la rivoluzione nel consumo investe anche gli altri settori produttivi. La promozione dell’efficienza negli usi finali dell’energia e lo sviluppo di mercati dei servizi energetici richiede, pertanto, il coordinamento della politica energetica con altre componenti della politica industriale del Paese.
Da “Progettare e Dirigere” n.6, 2014