Il 2 settembre del 2010 ci lasciava Lorenzo Cantù

Il 2 settembre del 2010 ci lasciava Lorenzo Cantù email stampa

Guidò l'Associazione milanese dal 1987 al 1996. Per il suo impegno al servizio dei lavoratori ricevette dal Comune e dalla Provincia di Milano l’ Ambrogino d’ oro e la Medaglia di benemerenza civica. 

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In occasione del X anniversario della morte di Lorenzo Cantù, pubblichiamo l’omelia pronunciata al funerale da don Raffaello Ciccone,  che fu responsabile della Pastorale del Lavoro, accompagnatore spirituale delle Acli e suo grande amico.

«Ho voluto scegliere questi tre brani poiché ci richiamano alcuni aspetti della vita di Lorenzo e ci permettono di scoprire la ricchezza della Parola di Dio che viene accolta nella vita quotidiana e maturata, sia pur sempre poveramente. Lorenzo ci ha dato una testimonianza preziosa.

 Prima lettura: Sapienza 3,1-9.

Questo testo, a dire il vero, è riferito alla morte di giovani martiri che hanno offerto la propria vita nel II secolo avanti Cristo: parla di fedeltà a scelte ed a valori. Questi giovani hanno ritenuto che fosse meglio accettare la fatica e la breve sofferenza dell’esistenza, per entrare nella fedeltà di Dio e restare nella sua pace.

“Anche se gli occhi degli uomini subiscono castighi, la loro speranza è piena di immortalità”.

  • Qui si parla del potere che intende imporsi con la paura per allontanare da Dio e si contrappone la fedeltà di chi a Dio è fedele.
  • Chi è fedele a Dio porta veramente un cambiamento nel mondo, garantisce la pace, scopre la verità, fa maturare la giustizia.

Seconda lettura: Lettera si S. Paolo ai Romani 8,31-35. 37- 39.

 “Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?… nessun’altra creatura potrà separarci dall’amore di Dio in Cristo Gesù nostro Signore”. Si suppongono, con questo testo, un itinerario ed una verifica su ciò che nella vita conta davvero: corrisponde ad un bilancio.

Stiamo leggendo una riflessione ad alta voce della coscienza di Paolo. Egli dice che bisogna avere il coraggio di valutare, nella vita, la presenza di Gesù come un concreto e altissimo dono di amore, e nell’amore di Gesù riscopriamo la presenza misericordiosa del Padre, la sua potenza e la sua debolezza, la sua volontà di ricostruire tutto il mondo nell’amore unico prezioso del Figlio e la sua richiesta di aiuto a ciascuno di noi perché sappiamo collaborare a salvare. Ritroviamo la vocazione di Isaia che corrisponde ad una domanda che Dio gli fa nella visione del tempio: “”Poi io udii la voce del Signore che diceva: «Chi manderò e chi andrà per noi?». E io risposi: «Eccomi, manda me!». Egli disse: «Va’ e riferisci a questo popolo» (Isaia 6,8-9)”.

Vangelo: Matteo 5,1-12: le beatitudini.

 Le beatitudini non sono un testo per la gente o per le folle, ma un testo per i discepoli i quali si siedono attorno Gesù e ascoltano mentre Gesù parla a loro e “vede le folle”. È un testo da interiorizzare per poterlo vivere ogni giorno nel mondo, “nella folla”, ma sapendo che si comincia dalla povertà: la povertà di fronte a Dio, la semplicità di cuore, la nonviolenza, il coraggio perciò della giustizia, l’amore per la pace. Il messaggio è offerto da chi questi valori li sta vivendo: un messaggio orale che Gesù confida per indicare la sua vita, il suo stile, le sue scelte.

Le beatitudini segnalano un orizzonte, non sono mai sufficientemente rispettate, ma aprono sempre al nuovo, al più, al diverso. Le beatitudini si aprono sul futuro e ogni giorno è tempo di ascolto, tempo di maturazione, tempo di interiorizzare per vivere poi, scendendo al piano, tra la gente, ciò che Gesù ci ha suggerito. Ogni giorno esigono di essere ripensate, nel tentativo di reinterpretarle, anche qui poveramente, ma nel presente, consapevoli però che non saremo “strappati dall’amore di Dio in Cristo”.

Che cosa siamo venuti a cercare?

Oggi ci troviamo insieme, desiderosi di essere insieme a ricordare Lorenzo, mostrando la nostra amicizia, comprensione, riconoscenza. Ma ci resta una domanda, sotto sotto, alla radice del nostro affetto verso Lorenzo e del nostro essere qui: “Ma che cosa siamo venuti a cercare ?” Oggi si conclude la testimonianza di Lorenzo, e, dobbiamo dirlo, spesso alternativa a ciò che normalmente si dice e si fa. Con questo funerale si conclude la storia umana di Lorenzo. Non ci sono alibi, sorprese possibili, colpi di scena. Siamo venuti per capire, poiché scopriamo fino in fondo quello che Lorenzo è stato alla luce della lettura di questi tre testi. Essi ci vogliono aiutare a capire la testimonianza in ciò che egli ha creduto. È stato un uomo di parte, perché ha fatto la scelta dei valori di Dio, continuamente, fedele a ciò che riteneva giusto. Non ha accettato, perciò, giochi di potere o di interesse. Si è sforzato di fare scelte di fede, cercando ogni volta di individuare la scelta dei poveri.

Negli anni 50, tumultuosi e difficili, ha intravisto che le scelte di Dio passavano attraverso la ricerca della dignità del lavoro di ogni lavoratore e dei suoi diritti minimi riconosciuti, nel rispetto di ogni persona. A quel tempo, nella Chiesa, si aveva il coraggio di dire che la vocazione sindacale andava vissuta come una profonda vocazione cristiana e diventava quindi servizio, attenzione e solidarietà nella rilettura della misericordia di Dio. D’altra parte anche don Milani ricordava ai suoi ragazzi il valore della Politica, del Sindacato e della Scuola.

Nella sua condizione e possibilità, Lorenzo ha scelto l’impegno sindacale, maturato via via, come una grande vocazione cristiana. Faceva il sindacalista e, insieme, lavorava, sviluppando un’operosità che lo appassionava e, nello stesso tempo, lo rendeva orgoglioso,. Si conquistò, passo passo, competenza in scuole professionali che lo allenavano alla ricerca: divenne tecnico elettronico del laboratorio-ricerche.

Sviluppava i suoi compiti sindacali nei tempi liberi, sapendo distinguere tra il tempo del lavoro a cui si dedicava con passione e i tempi dell’ascolto che l’occupavano nella pausa pranzo, magari senza riuscire a mangiare, o nei tempi successivi a fine lavoro, in serata.

Ci teneva a conquistarsi il rispetto della dirigenza e il rispetto dei compagni di lavoro: questo gli permetteva un’azione intelligente, credibile e coerente.
Nel Sindacato visse un tempo di grande maturazione, e sperò in quella unità che stava affiorando faticosamente: così fece parte della prima segreteria unitaria della FLM (Federazione Lavoratori Metalmeccanici) in cui si unirono la Fiom, la Fim e la Uilm e che durò circa un decennio. Uno dei modi di continuare, nel piccolo un sogno di coesione, era quello di richiedere, a quei lavoratori in crisi di lavoro che spesso chiedevano aiuto anche all’Arcivescovo, che ci si incontrasse come RSU (Rappresentanze Sindacali Unitarie). In caso non ci fossero in quell’azienda, chiedevamo agli operai che eleggessero un gruppetto che li rappresentasse, per parlarne insieme. E in questi incontri Lorenzo era preziosissimo.

La fabbrica è stata la sua scuola: vi ha letto il valore di una cultura nuova che lo ha segnato e di questa cultura operaia spesso ha parlato a sacerdoti ed a parrocchie come realtà portatrice di valori. Di un vecchio operaio faceva memoria con affetto e stima profondi. Da apprendista ragazzino, era stato affidato ad un lavoratore esperto perché lo allenasse, insegnando il mestiere: era un padre di famiglia forte, libero, anarchico, non credente. A Lorenzo brillavano gli occhi quando ne parlava. Il lunedì mattina, la prima cosa che questo suo maestro di lavoro richiedeva, era. “Sei andato a messa ieri, e sei andato all’oratorio?”. Gli restò sempre nel cuore la volontà di non giudicare mai le persone dall’ideologia, ma dalla serietà della vita.

Ha amato profondamente la Chiesa e l’ha sentita come una madre preziosa, unica, insostituibile. Amava la sua storia e la sua maturazione, in particolare avvenuta nel Concilio Vaticano II che continuava a rileggere e a citare. Ma non era d’accordo di difenderla a oltranza, soprattutto quando si poneva in scelte che riteneva troppo prudenti o poco libere. Non si faceva giudice di nessuno, ma la volontà di chiarezza lo obbligava a cercare, a capire, a discutere. Anche se con disagio, rivendicava con umiltà il bisogno di essere credenti, che amano la verità e la povertà ogni giorno, liberi e semplici. Lorenzo ha amato la vita nel fascino del rapporto profondo, nell’amicizia, nel gusto delle cose belle, nella speranza continuamente alimentata e quindi nel mondo giovanile di cui parlava spesso e a cui teneva parlare, perché leggeva nel cuore di ciascuno una potenziale ricchezza aperta a tutti, consapevole che ciascuno porta la nostalgia di valori alti e profondi. Tutto questo Lorenzo l’ha vissuto nei posti dove è stato: nel Sindacato, nell’Azione Cattolica, nelle ACLI e nella Pastorale del Lavoro.

Ultimamente, seguendo le indicazioni dell’Arcivescovo sul “culto spirituale”, ci siamo spesso fermati a riflettere sul valore di questo messaggio che coinvolge ogni adulto nella sua dimensione quotidiana. Ne parlavamo e abbiamo scritto insieme, varie volte, su questo progetto che costituisce il pieno messaggio pastorale: esso coinvolge insieme tutti come cristiani battezzati, siano essi sacerdoti, religiosi o laici. E Lorenzo, che teneva fermamente all’impegno della messa quotidiana, ripeteva spesso che il mistero di Cristo lo si vive nella Messa come comunione e mistero, ma esige di essere proposto nel mondo da tutti, come “culto personale che comunica e coinvolge”.

Negli ultimi 15 anni, con don Giulio e i vari collaboratori che si sono succeduti, abbiamo raccolto di Lorenzo il meglio della sua esperienza. E’ stato tra noi, in modo totalmente gratuito, ci ha offerto un tempo parziale verticale, tre giorni alla settimana (che spesso si allargavano), per lavorare insieme, riflettere, decidere. Con una presenza preziosissima, soprattutto nel rapporto con il mondo del lavoro, ci ha richiamato la sensibilità dei lavoratori, la solidarietà, i limiti e il valore di una trattativa, il coraggio di argomentare e l’onestà di saper ascoltare. Era sua una frase che si ripete come un assioma, e probabilmente l’ha egli stesso ricevuta: “Il Sindacato non si alza mai per primo, in una trattativa di lavoro”. E quando aveva per mano una situazione difficile, non l’abbandonava più, fino ai tentativi di soluzione possibile. Erano, certo, tentativi disarmati, quelli che potevano venire da parte dell’Arcivescovo e che passavano attraverso la Pastorale del Lavoro. Eppure, qualche volte, sorprendenti. Costruivano, comunque, solidarietà allargate.

Credo di dover ringraziare, insieme con voi, Lorenzo di questa sua coraggiosa e libera testimonianza che ci riporta a sentirci, tutti, cittadini del mondo e credenti nella speranza di Gesù risorto».

Lorenzo Cantù nacque a Ronco Briantino  il 16 luglio 1927. A 14 anni venne assunto come apprendista alla Magneti Marelli di Sesto San Giovanni. Divenne poi tecnico elettronico del laboratorio ricerche. Nel 1954 fu il  primo presidente CISL di Commissione interna. Dal 1968 al 1981, su invito di P. Carniti, entrò a far parte della Segreteria della FIM CISL di Milano. Protagonista convinto dell’unita sindacale, fece parte della prima segreteria unitaria della FLM con Antonio Pizzinato. Per tre anni fu segretario della CISL, comprensorio Brianza. Dal 1984 iniziò a collaborare con l’Ufficio diocesano per la Pastorale del Lavoro. Nello stesso periodo, il XXI Congresso delle ACLI milanesi lo elesse consigliere provinciale, diventando successivamente Segretario di Presidenza e, nel giugno 1987, Presidente provinciale. Resse la guida delle ACLI milanesi fino al gennaio 1996. Lasciata la presidenza, rientrò a collaborare alla Pastorale del lavoro al fianco di don Raffaello Ciccone, suo fraterno amico, ma non fece mai mancare alle ACLI il suo sostegno ed il suo consiglio. Per la sua indefessa attività al servizio dei lavoratori era stato onorato dal Comune e dalla Provincia di Milano con i loro massimi riconoscimenti: l’ Ambrogino d’ oro e la Medaglia di benemerenza civica. 

Nel settembre del 2017 la sua figura fu ricordata nel convegno: “Lorenzo Cantù, una vita consacrata al lavoro” cui parteciparono tra gli altri Guido Formigoni (storico), Bruno Manghi (sindacalista), Susanna Camusso (segretario generale Cgil) e monsignor Giovanni Giudici, già vescovo di Pavia (QUI una sintesi degli interventi)