Molto spesso si è portati a considerare gli eventi più che i processi storici, il che è anche comprensibile in un mondo che va veloce e che ha bisogno di simboli. Ma a volte è bene prendere spunto dai simboli per capire i processi, per evidenziarne i tratti e le ricorrenze. La caduta del Muro di Berlino del 9 novembre 1989 non fu un fulmine a ciel sereno. Quando, già verso la fine degli anni ’60 del secolo scorso, si cominciò a premere per costruire un foro di consultazione e cooperazione sull’Europa che superasse le distanze tra i blocchi, su iniziativa dell’URSS e i Paesi dell’Europa orientale, principali promotori di questo processo, i focus principali curiosamente erano il principio di inviolabilità delle frontiere e la sicurezza militare da una parte e la cooperazione economica e scientifica dall’altra. La Conferenza di Helsinki (1973-1975) che portò al processo di avvio della CSCE (Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa, oggi OSCE) fu però considerata un successo occidentale poiché si riuscì ad inserire un terzo “basket”, quello allora definito dei “contatti umani”. Dei diritti umani, diremmo oggi.
Fu quel richiamo, il richiamo dei diritti umani e della libertà che fece cadere il 2 maggio 1989, il giorno dopo il festeggiamento della più tipica celebrazione dei regimi del socialismo reale, la cortina di ferro tra Ungheria e Austria. Centinaia di migliaia di persone, soprattutto tedeschi orientali, per tutta la primavera e l’estate continuarono a passare da Est ad Ovest. Poi, il 9 novembre, fu solo il sigillo.
Per chi come me in quell’anno si avvicinava al mondo adulto, furono mesi, anni di continui incoraggiamenti a prendere responsabilità, a costruire un mondo migliore. Per me quello fu l’anno di inizio dell’impegno politico, a scuola, seguito da altri anni ricchi di promesse: Tangentopoli e la fine della Prima Repubblica, i processi di Mafia.
Ma quelle promesse di futuro, fatte di diritti umani per tutti, di dividendi della pace, si ripiegarono su se stesse. Il nostro mondo, uscito trionfante dalla sfida alla chiusura nei confronti dell’altro e del diverso, non trovò di meglio da fare che enfatizzare solo la dimensione privatistica.
E così arrivarono i partiti azienda infarciti di conflitti di interesse ma attenti a soddisfare anche i piccoli interessi degli elettori e la guerra in Jugoslavia per spartirsi un Paese la cui vera risorsa era la diversità.
In pochi anni il vento è cambiato ed oggi pare che il principio dell’inviolabilità delle frontiere, vera e propria bandiera del totalitarismo di stampo sovietico, sia tornato a farla da padrone. Negli USA, dove il muro con il Messico ha già ucciso un numero superiore a 20 volte le vittime del Muro di Berlino, nell’Europa Orientale, dove i diritti umani hanno perso di fronte all’egoismo, nel Mediterraneo, dove la follia leghista nega la libertà a chi è perseguitato o è costretto ad emigrare perché vittima di politiche economiche ed ambientali che condannano le loro terre a diventare lande desolate.
Poco da festeggiare quindi oggi, per chi propugna la difesa dei confini, perché a Berlino quel giorno era proprio quell’idea ad essere sconfitta. Ma poco da festeggiare anche per chi credeva e continua a credere in un mondo più giusto e più umano appunto, perché la Storia da allora ha preso un’altra piega. Per noi il 9 novembre deve diventare la giornata in cui ricordare che gli obiettivi non si raggiungono neanche quando si tagliano traguardi simbolici: i muri degli squilibri economici, ambientali e dei diritti umani sono ancora ben saldi e contro di essi dovremo concentrare le nostre energie