Lo scorso 28 ottobre è stato presentato in tutta Italia il Dossier statistico 2021 sull’immigrazione redatto dal Centro Studi e Ricerche Idos in collaborazione con il Centro studi Confronti e l’Istituto di studi politici “S. Pio V”. I dati statistici presentati confermano molti trend migratori iniziati in un’epoca precedente la pandemia: un saldo migratorio positivo ma in calo (-0,5% di presenza di stranieri in Italia, anche se +0,6% a Milano), un flusso migratorio composto soprattutto da cittadini UE (30%), in maggioranza donne (51,6%) e la conferma che i migranti hanno minori possibilità e opportunità di accesso alla sanità, all’istruzione, al lavoro, alla vita politica e sociale della comunità. Nel suo intervento Maurizio Ambrosini, esperto di sociologia delle migrazioni e docente presso l’Università Statale di Milano sottolinea però che questi dati non hanno una funzione meramente accademica o burocratica ma fungono da grimaldello per scardinare le narrazioni anti-immigrazione diffuse dai movimenti sovranisti nazionalisti che producono e riproducono la frontiera Noi-Loro, stigmatizzando la persona straniera e la persona migrante. I dati confutano in maniera oggettiva la narrazione dominante. Facciamo un esempio. A fronte di coloro che insinuano che i migranti presenti nel nostro Paese gravino pesantemente sulle casse dello Stato italiano, Gianfranco Valenti, uno dei redattori del dossier, pone l’accento su un dato: il saldo contributivo è in attivo e il rapporto entrate/uscite stimato dagli autori del Dossier sulla base dei dati relativi al 2019 è positivo di circa 4 miliardi di euro (Dossier statistico Immigrazione, pag. 323).
«La confutazione oggettiva delle illazioni pretestuose delle destre va però accompagnata da un cambiamento culturale profondo. Se i movimenti politici xenofobi» spiega il Professor Ambrosini «hanno visto aumentare il proprio consenso significa che il loro messaggio ha trovato terreno fertile nella cultura dominante». Prosegue sostenendo che alcune politiche discriminatorie operate da paesi UE, sono state fatte passare come uno strumento efficace di salvataggio di categorie subalterne, e quindi salutato con favore. L’esempio migliore è quello che riguarda l’uso strumentale dei diritti delle donne per giustificare la criminalizzazione del migrante maschio e la stigmatizzazione della donna migrante nell’ambito del lavoro di cura. Si va così a dipingere una cultura altra arretrata e patriarcale, in un processo di “razzializzazione” del sessismo, che da un lato fa comodo agli interessi del sistema neoliberista europeo, fornendo lavoratori “addomesticati” perché ricattabili, e dall’altro santifica la cultura occidentale come sviluppata e egualitaria.
Il dato principale evidenziato nel dossier è l’aumento delle disparità dovuto alla pandemia: come spiega Rossella Miccio, presidente di Emergency, in una situazione di risorse scarse i primi ad essere lasciati indietro sono le categorie marginalizzate. Le donne, i migranti, le persone senza fissa dimora sono coloro che maggiormente hanno risentito di una politica che semplicemente non li vede. La loro esistenza è esterna alla norma su cui il legislatore si basa per pianificare l’azione e affrontare l’emergenza, dunque i loro bisogni, e di conseguenza le loro istanze, non solo non sono state ascoltate ma proprio non sono state percepite.
In continuità con il discorso di Rossella Miccio, Valentina Cappelletti, segretaria CGIL Lombardia, pone il focus sul fatto che la pandemia non può essere considerata la causa dei problemi ma il mezzo che ha permesso loro di venire a galla. Questi sono, infatti, radicati e strutturali di un sistema socioeconomico che deve essere cambiato con convinzione. Cappelletti afferma che «la pandemia è stata la rappresentazione plastica delle discriminazioni, e un dispositivo di produzione, riproduzione e amplificazione di confini interni, di frontiere tra Noi e gli altri. Quegli stessi confini che quotidianamente esistono – restando invisibili – nel mondo del lavoro e nel welfare, e che i cittadini stranieri devono superare ogni qualvolta entrano in banca, in ospedale o a scuola».
Alla classe politica è sostanzialmente mancata la volontà di intervenire drasticamente contro la marginalizzazione di quelle categorie subalterne che, come sostenuto dai dati, sono indispensabili per il funzionamento del sistema economico che prende la forza lavoro senza dare diritti in cambio e la ottiene con il ricatto. Ricatto istituzionalizzato o da parte dello Stato che vincola il soggiorno a un contratto di lavoro, o del datore di lavoro che sa di essere in una posizione di potere nei confronti del lavoratore senza documenti e la usa per imporre condizioni di lavoro sotto gli standard, già bassi, come denunciano Eloisa Dacquino, Maurizio Bove e Valentina Cappelletti, rappresentanti delle sigle sindacali. Questo impegno insufficiente è evidente se si guardano i dati riferiti allo scorso anno riguardanti i lavoratori stranieri e l’emersione: «un terzo dei posti di lavoro persi tra il 2019 e il 2020 riguarda lavoratori stranieri (Dossier Statistico Immigrazione, p. 120)», dopo un anno dall’inizio della sanatoria, definita «la peggiore delle sanatorie nella storia d’Italia» da Maurizio Bose, solo il 14% delle domande erano state evase, solo il 27% delle domande di permesso di soggiorno esaminate, su scala nazionale. I dati delle grandi città sono ancora più allarmanti: a Milano hanno avuto esito positivo 1262 domande, più 1230 convocazioni effettuate, su oltre 26mila istanze ricevute (Dossier Statistico Immigrazione).
Paolo Naso, docente di Scienza Politica presso l’Università “La Sapienza” di Roma, ha evidenziato alcuni punti nodali che emergono dall’analisi statistica. L’urgenza di uno sguardo globale che indaghi i contesti di partenza dei migranti e i cosiddetti push factor. La necessità di facilitare gli ingressi legali in Italia, evitando l’iper-estensione dell’istituto dell’asilo o della protezione sussidiaria, e conseguentemente riformando quella che nell’introduzione al dossier viene definita da Luca Di Sciullo, presidente di Idos, un “pezzo di antiquariato”, la legge italiana sulla cittadinanza. La necessità di una politica europea sulle migrazioni che non transiga: non sono accettabili muri, né strategie di esternalizzazione dei confini esterni, di moltiplicazione di quelli interni o di delega dei poteri di sicurezza e polizia a agenzie private. Il professor Naso afferma che «il sovranismo nazionalista è un parassita dei sistemi democratici che si nutre del malcontento per fare sentire le categorie marginali incluse in un disegno in cui il nemico è sempre un altro: gli immigrati, i rifugiati, le donne».
In ultimo, la necessità di lungimiranza nell’applicare un modello di integrazione che porti la comunità non italiana a partecipare attivamente alla vita politica e sociale italiana, e che chiami al tavolo delle decisioni chi è stato reso invisibile da decenni di politiche securitarie ed emergenziali. Questo può essere fatto anche coinvolgendo le istituzioni espressioni delle comunità straniere come i centri religiosi e culturali già esistenti.
I relatori concordano su un punto: non si può ritardare una scelta drastica e rivoluzionaria che porti a rompere quello che Luca Di Sciullo definisce “il pendolo del gattopardo”, interrompendo il moto che va dall’immobilismo verso un eterno anelare alla sicurezza, alla supremazia e al mantenimento del privilegio. È necessaria, invece, una spinta collettiva e politica che porti a considerare più utile l’allargamento dei diritti rispetto alla loro limitazione. E, anzi, fino ad arrivare al punto che non sia più necessario che una scelta politica debba essere utile a qualcuno affinché venga presa, ma che, semplicemente, risponda a un’ideale di giustizia e si basi sulla proprietà moltiplicativa di cui godono i diritti. Il beneficio che la società trae dall’allargamento dei diritti è sempre maggiore della somma dei benefici che ricadono sul singolo. Maurizio Bose, rappresentante della CISL, ricorda: «si diceva che dalla pandemia si sarebbe usciti solo uniti mentre a posteriori è evidente che ne siamo usciti solo più lontani». Ma il cambiamento è necessario non perché utile, ma perché irrefrenabile. E i dati lo dimostrano.