Il Potere è “Bene comune”

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Alberto Fossati interviene al Congresso delle Acli Milanesi

Nel discorso alle Acli per il loro 70mo anniversario di fondazione il Papa ha esortato a «riattualizzare» le tre fedeltà: ai lavoratori, alla democrazia e alla Chiesa, che si riassumono «in una nuova e sempre attuale fedeltà ai poveri».

L’esortazione invita a perseguire l’obiettivo della giustizia sociale per ridurre, se non eliminare, la cultura dello scarto (Evangelii Gaudium), che oggi domina nei rapporti tra economia e persona, tra potere e libertà.

Libertà e giustizia sociale non possono essere disgiunte, perché è la libertà che ci definisce come persone. La libertà è la persona, non un suo elemento, ma la sua essenza che la fa essere umana.
Qui si pone il tema del contenuto e dei limiti della libertà.
La Rivoluzione francese ci ha insegnato che la mia libertà finisce dove inizia la tua (art. 4, Diritti dell’uomo e del cittadino, 1789).
Il problema è come e dove stabilire questo confine. Se la libertà è l’essenza della persona umana, il confine sta nell’avere la consapevolezza che l’altro sei tu. L’altro può essere diverso, avere idee e fedi diverse, ma è comunque e sempre persona. Il contenuto di questa nostra libertà è il riconoscimento dell’altro in te stesso e che ogni atto che impedisce all’altro, dunque a te stesso, di essere libero, viola di per sé la tua e la sua libertà. Si tratta di un rapporto reciproco, basato sul rispetto dell’altro in quanto te stesso, non perché uguale a te stesso. In questo senso il riconoscimento dell’altro è immedesimazione non mera percezione dell’altro come uguale. L’uguaglianza non elimina la diversità, ma non la rende causa di discriminazione.

L’art. 3 della Costituzione declina una serie di diversità che non possono discriminare le persone che le possiedono. La costituzionalizzazione della diversità, se non è e non può essere causa di discriminazione, fa si che essa sia assunta come valore positivo (art. 22, Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea), che impedisce l’omologazione sociale e culturale, e che indirizza verso una società di persone libere e diverse, ma titolari dei medesimi diritti e doveri, benché eguaglianza di libertà non significa identità di trattamento, purché ciò avvenga nel rispetto del canone di ragionevolezza, così è per talune restrizioni alla libertà di circolazione e di soggiorno degli stranieri (Corte cost. 148/2008), o la tutela delle minoranze riconosciute per l’uso della loro lingua (Corte cost. 28/1982).

Questa concezione della libertà fa comprendere che essa non può essere indifferenza all’altro, o semplice affermazione di un diritto individuale soltanto proprio, estraneo alle ragioni altrui, quasi che la libertà del singolo possa essere ricondotta entro una cornice soggettiva, all’interno della quale ciascuno è soltanto quel che vuole essere. Se così fosse, la sfera dei diritti fondamentali della persona sarebbe ridotta a questione di possesso e non di dono ricevuto e da dare. In questa ottica emerge chiaramente la differenza tra individualismo e personalismo cristiano, dove il personalismo è lo svolgimento della vita come centro di una molteplicità di relazioni che danno vita a rapporti interpersonali, a organismi sociali a loro volti titolari di diritti, perciò il Cristianesimo è una religione pubblica, sociale, perché il bene della vita, oltre ad essere un assoluto non è disponibile, va preservato e promosso come unico scopo del “potere”. Il potere per un cristiano può essere solo democratico, legittimato dal libero consenso del popolo composto da persone libere.

Il potere deve essere libero dalla “tirannia della maggioranza”, nel senso che c’è un limite invalicabile, oltre il quale si invade la sfera irriducibile della libertà e della dignità delle persone (art. 2 Costituzione). Ciò che qualifica il potere democratico è il diritto alla libertà religiosa, vale a dire alla libertà più intima della persona, che attiene al suo rapporto con la trascendenza, sia nei termini positivi del credere, che in quelli negativi del non credere, e dunque perimetra i confini del potere che non può arrivare ad assumere una fede come di Stato. L’anelito dell’uomo alla libertà religiosa non è pertanto l’attestazione di un semplice pluralismo di fede, esso rappresenta il cuore, l’essenza della stessa della persona. Questo diritto definisce altresì la natura laica del potere e dello Stato non indifferenti ed estranei al fenomeno religioso, ma interessati a tutelarlo in quanto dimensione essenziale propria della vita umana (Corte cost., 63/2015). Come cristiani, il potere ci chiama ad una responsabilità alta ed esso non può essere disgiunto da una valutazione morale e da un agire politico morale.

A Machiavelli che teorizza l’indifferenza dei mezzi rispetto ai fini, dobbiamo preferire Tommaso Moro, che non pensa che morale e politica possano essere disgiunti.

Il potere orientato al benessere della vita è di per sé stesso “Bene comune”, risultato di una politica dei “beni comuni” essenziali per la vita. Diritti che devono essere nella disponibilità delle persone, come il diritto all’ambiente salubre, alla tutela della salute, all’istruzione, al lavoro ed alla sua dignità, all’accesso ai beni fondamentali come il cibo e l’acqua (Laudato si).

Rileva in questa ottica più che il tema della cittadinanza sociale (social citizenship), che può prescindere, come prescinde, dallo stato di cittadino, perché riguarda le condizioni della dignità umana, quanto della cittadinanza legale (legal citizenship), come status che riconduce all’essere titolari della sovranità e dei suoi mezzi di esercizio solo a coloro che sono cittadini.

La cittadinanza legale significa entrare in una comunità e condividerne lo schema dei valori che fondano la sua convivenza; investe, pertanto, le idee di fondo su cui si regge e sviluppa una comunità, la nostra comunità. Nella società multietnica e multi religiosa di oggi i valori fondanti sono comunque quelli costituzionali della intangibilità della persana umana, della sacralità della vita, non disponibile neppure da parte dello Stato (pena di morte), della intangibilità dei diritti inviolabili della persona, del pluralismo culturale, sociale, economico, politico, della laicità del potere, della tolleranza che non significa indifferenza di giudizio e di valore rispetto a culture contrastanti con questi valori.

Nella società complessa e individualizzata, stretta ancora nella morsa della crisi economica che ha cambiato l’agenda dello sviluppo e in parte le relazioni di convivenza, il rapporto tra appartenenza ad una cultura, o ad una classe sociale, e rappresentanza si è rescisso.

Sul piano del rapporto tra potere e società si va affermando l’idea che nella società non vi debbano essere più i corpi intermedi, o, se vi sono, devono essere ridimensionati al ruolo di mere agenzie di servizio. Si va diffondendo la cultura leaderistica non già come una forma della rappresentanza, ma come la forma moderna di rappresentazione del consenso, senza più intermediazioni sociali e politiche, o quantomeno con soggetti politici che fungono da meri razzi vettori per i leader e aspiranti tali (G. De Rita, I rischi del decisionismo senza corpi intermedi, Corsera p. 28 del 22 marzo 2016).

La triplice fedeltà delle Acli impone loro di essere soggetto attivo nel processo democratico, non al servizio di un partito o di un capo, ma per la costruzione di un popolo (Documento programmatico congressuale 2016 delle Acli milanesi), stando nella comunità insieme ad una Chiesa che si desidera essere essa stessa comunità di una religione viva nelle coscienze (A. Riccardi, Una Chiesa capace di intercettare il messaggio del Papa, Corsera p. 33 del 23 marzo 2016) e non solo nella tradizione, lontana dalle due cecità denunciate da Papa Francesco: «il riporre la fiducia più nella sicurezza delle strutture che nella libertà dello Spirito e il ridurre la concretezza dell’Amore che Gesù ci ha rivelato ad una pura astrazione o a sterili intimismi. Solo una Chiesa umile, disinteressata e colma dello Spirito delle beatitudini potrà presentarsi fiduciosa e piena di speranza di fronte al suo Signore» (da La Parola ogni giorno, Dio non ha creato la morte, Quaresima 2016, lunedì 21 marzo, p. 45, Milano Centro ambrosiano, 2016).