Iraq verso una nuova escalation di violenza

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di Riccardo Graziano – 08/07/2014

Il nuovo nemico pubblico è Abu Bakr al-Baghdadi che si è autoproclamato “Califfo” di un virtuale “Stato islamico” a cavallo tra Siria e Iraq e che riscuote ampi consensi fra gli integralisti e i fautori della jihad

Da venerdì scorso lo “sceicco invisibile” ha un volto. Con studiata accuratezza mediatica e confessionale, Abu Bakr al-Baghdadi, il leader islamico che si è autoproclamato “Califfo” di un virtuale “Stato islamico” a cavallo tra Siria e Iraq, si è mostrato in un video immediatamente ripreso dai media di tutto il mondo. Le immagini provenivano da una moschea di Mosul, città irachena recentemente conquistata dalle sue truppe, dove al-Baghdadi ha presieduto le celebrazioni nel primo venerdì del mese sacro del ramadan. Abbigliamento e turbante nero, a sottolineare (o millantare) la discendenza diretta dal Profeta, ha incitato i suoi seguaci a proseguire i combattimenti anche in quello che dovrebbe essere il periodo della preghiera e del digiuno, perché a suo dire la jihad, la “guerra santa”, sarebbe il miglior modo di santificare la ricorrenza religiosa.

Il nuovo nemico pubblico numero uno ha dunque un’identità, le sue sembianze riprese nel video circolano ora per tutto il pianeta, sostituendo di fatto le immagini datate finora fornite dai servizi diintelligence americani. Ma il mistero rimane. Innanzitutto sull’attendibilità dell’identificazione di colui che è stato presentato come il “principe dei credenti Abu Bakr al-Baghdadi” da parte dell’ufficio stampa dello stesso “Stato islamico” che nominalmente presiede, ma che nessuno ha riconosciuto, neanche nel mondo arabo. È vero che l’uomo apparso nel filmato è somigliante a quello delle immagini diffuse dagli Usa (che hanno posto sulla sua testa una taglia di dieci milioni di dollari), tuttavia è lecito qualche dubbio, vista la sfuggevolezza del personaggio, anche se la scelta dei tempi e dei modi della “presentazione” in pubblico fanno propendere per la sua veridicità.
Resta comunque l’enigma di un individuo che, apparentemente dal nulla, assurge agli onori della cronaca, conquista territori, attira proseliti e crea preoccupazione e scompiglio non solo nell’Occidente, ma ancor più all’interno dello stesso mondo musulmano.
La scarna biografia a disposizione lo individua come poco più che quarantenne, nativo di Samarra, cittadina irachena in provincia di Baghdad. Le prime notizie su di lui risalgono alla Seconda Guerra del Golfo, quella voluta da Bush figlio contro Saddam: sarebbe stato un imam imprigionato dall’esercito Usa per alcuni mesi, poi rilasciato. In seguito avrebbe aderito alla famigerata al-Qaeda, dalla quale si è ora separato in maniera clamorosa. Gli screzi con l’organizzazione terroristica fondata dal defunto Osama bin Laden erano iniziati nel corso della guerra in Siria, quando al-Baghdadi, nel frattempo divenuto comandante dell’Isil (Stato islamico dell’Iraq e del Levante) aveva rivendicato per sé il comando delle forze jihadiste impegnate contro il dittatore Bashar Assad. L’opposizione delle altre fazioni aveva indotto Ayman al-Zawahiri, successore di bin Laden, a imporgli di limitare la sua azione all’Iraq, raccomandazione disattesa da Baghdadi, entrato addirittura in conflitto armato con gli ex alleati, nonostante l’iniziale condivisione degli obiettivi politici e, soprattutto, la comune appartenenza alla corrente sunnita.
A maggior ragione, il suo furore jihadista si abbatte anche contro i seguaci della confessione sciita, e naturalmente ancor più contro i cristiani. Ecco dunque prendere forma il disegno folle e megalomane di un nuovo califfato destinato a espandersi da Siria e Iraq per tutto il mondo musulmano, fino a insidiare l’Occidente e “conquistare Roma”. Nel frattempo, sono già partite le rituali minacce di attentati terroristici contro gli Stati Uniti. Un atteggiamento spavaldo e carismatico che riscuote ampi consensi fra gli integralisti, tanto che la branca maghrebina di al-Qaeda ha già annunciato la propria adesione al “Califfato”, in pieno contrasto con le indicazioni provenienti dai vertici dell’organizzazione.

Il fatto è che, mentre al-Zawahiri e il gruppo dirigente di al-Qaeda se ne stavano rintanati in Afghanistan a emettere comunicati inneggianti alla jihad, al-Baghdadi la conduceva sul campo, con successi militari notevoli. Fine stratega, combattente feroce e spietato, il leader integralista è riuscito a sottomettere al suo controllo un territorio che va dalla città siriana di Aleppo fin quasi alle porte di Baghdad, che rischia di cadere nelle sue mani. Un successo tale da legittimare agli occhi di molti musulmani la sua ascesa dallo status di “emiro”, comandante militare e politico, a quello ben più elevato di Califfo, appunto, ovvero successore di Maometto, con un ruolo di guida anche religiosa e spirituale della Comunità dei credenti dell’Islam. Una circostanza che naturalmente fa suonare un forte campanello d’allarme in Occidente, ma che provoca anche dure reazioni e profonde lacerazioni nello stesso mondo islamico, in primis da parte degli sciiti, maggioritari in Iraq e sostenuti dal vicino Iran, faro di riferimento per questa confessione altrimenti minoritaria fra i musulmani.
Così si è arrivati alla quasi paradossale, e fino a poco tempo fa impensabile, alleanza fra Teheran e Washington, all’insegna del motto “il nemico del mio nemico è mio amico”. Gli Stati Uniti, dopo aver passato anni a combattere l’Iran come Stato-canaglia, foraggiando a piene mani i doppiogiochisti sauditi e il subdolo Qatar, a loro volta finanziatori di tutti i gruppi fondamentalisti sunniti, si ritrovano ora a far fronte comune con l’ex nemico, per fronteggiare una minaccia ancora peggiore.
Meglio tardi che mai, verrebbe da dire, ma a difesa della Casa Bianca va ricordato che il dialogo era di fatto impossibile finché in Iran era al potere il “falco” Ahmadinejad, personaggio inaffidabile, sopra le righe e anti-occidentale per vocazione. Oggi che a Teheran governa il moderato Rouhani le prospettive sono diverse, e la minaccia contingente dell’emergente “Califfo” ha portato a una decisa accelerazione del rapporto di collaborazione, pur con le inevitabili diffidenze alimentate dai burrascosi trascorsi.
L’appoggio militare dell’Iran è fondamentale per il traballante governo iracheno e per il suo evanescente esercito, che di fronte all’avanzata dei miliziani dell’Isil si è squagliato praticamente senza combattere, ma ancor più importante è l’aspetto religioso. Parecchi imam sciiti hanno chiamato i fedeli alle armi per difendere i propri luoghi sacri dall’attacco degli jihadisti, e persino alti esponenti dell’islam sunnita hanno preso posizione contro l’aspirante Califfo, mentre gli ulema, i dotti del mondo musulmano, non hanno minimamente avallato le sue pretese. Su al-Baghdadi pesa infatti la colpa di aver massacrato i suoi stessi “confratelli”, non solo nelle faide sul fronte siriano, ma ancor prima sul territorio iracheno, dove la sua formazione ha rivendicato un gran numero di omicidi e attentati ai danni di esponenti delle forze dell’ordine, di fedeli cristiani o di semplici cittadini sciiti e curdi, per troppo tempo sottovalutati dall’Occidente e dallo stesso esecutivo iracheno.

E ora che il bubbone è scoppiato, ci si domanda fin dove potrà arrivare la sua capacità di contagio, già tracimata nel Maghreb, col rischio non remoto di saldarsi con i somali di al-Shabaab e coi Boko Haram della Nigeria.