L’avvio del dibattito (si fa per dire) al Senato sulla riforma della legge sulla cittadinanza ha messo in evidenza ancora una volta come nel complesso la classe dirigente manchi di un qualsiasi progetto Paese, non solo condiviso, ma anche di parte.
La Lega (alla cui posizione si è accodato il Movimento 5 Stelle) contesta la riforma in nome della necessità di pensare “prima agli italiani”, come se non si stesse parlando di come si diventa italiani. Fratelli d’Italia (sic!) ha annunciato che in caso di approvazione promuoverà referendum popolare per l’abrogazione della riforma che nel frattempo avrà attribuito la cittadinanza a nuovi italiani. In quanto a coerenza tra la finalità solidaristica “Fratelli” del partito e sua azione politica forse qualche perplessità è lecita.
Forza Italia (quale Italia?) ha dichiarato la sua contrarietà alla riforma perché il Paese avrebbe altre urgenze (sia consentito di osservare che questa obiezione non è mai stata sollevata dallo stesso partito quando il Parlamento era assorbito dai lavori per l’approvazione delle cosiddette leggi ad personam a tutela del proprio leader). La motivazione è strumentale ed evita di esprimersi nel merito. La maggioranza di governo e le sinistre hanno sostenuto la necessità di disciplinarne il fenomeno ormai consolidato e strutturale dei minori figli di immigrati nati e cresciuti in Italia, al pari di quanto già da tempo accade in altri paesi europei e non. E tuttavia continuano a sottovalutare i timori che il fenomeno migratorio ha suscitato e suscita tra e nella gente, e non se ne fanno carico. Con il risultato che questi timori vengono raccolti e alimentati dalle destre che ne traggono benefici elettorali (in realtà, non solo in Italia, ma anche nel Regno Unito con la Brexit antistranieri e con il Trump dei muri al confine con il Messico).
Prima di esaminare i contenuti della riforma e di illustrare la disciplina estera, non si può non considerare che l’attuale classe dirigente politica non è capace di elaborare riforme istituzionali condivise: dalla cittadinanza, che è uno degli elementi costitutivi dello Stato, perché regolamenta il patto sociale della convivenza civile, alla legge elettorale, che disciplina l’istituto della rappresentanza politica e quindi di una delle forme di esercizio della sovranità, alla riforma della Costituzione, che regola il rapporto tra la società e lo Stato e poteri dello Stato, è stato un susseguirsi ininterrotto di fallimenti e veti contrapposti.
Un’opposizione strumentale
Sul tema della cittadinanza si sta giocando una battaglia strumentale sull’immigrazione. Sarebbe però errato non tenere conto dei timori che questo fenomeno suscita nell’opinione pubblica. Timori che vanno affrontati per non fare diventare le regole della cittadinanza il terreno di un’impropria lotta tra accoglienza e suo rifiuto, come lo slogan “prima gli italiani” manifesta con assoluta chiarezza.
Sulla legge elettorale i partiti hanno giocato una partita finita al momento senza vincitori e vinti, per determinare le regole più confacenti al proprio interesse, piuttosto che per delineare un campo di gioco idoneo al buon funzionamento della democrazia.
La bocciatura del referendum sulla riforma costituzionale – peraltro una riforma a dir poco discutibile per la sua scarsa qualità – ha avuto come movente principale il giudizio sul leader del Pd e capo del governo e in minima parte il suo merito. L’uso improprio del referendum costituzionale per legittimare con il voto popolare una leadership ha diviso il Paese, approfondendo il solco che già divide l’appartenenza ad un’unica comunità nazionale.
La mancanza di un “progetto Paese” si riflette negativamente sulle regole fondamentali della convivenza e della politica: non è per caso che si affidi ad un Giudice, la Corte costituzionale, il compito di dirimere i conflitti attraverso le sentenze che di fatto riscrivano il sistema elettorale, o meglio di due sistemi elettorali per la Camera dei deputati e per il Senato.
Non sorprende, allora, che la riforma sulla cittadinanza diventi strumento per continuare la lotta di divisione del Paese. Eppure, cambiare le regole sulla cittadinanza per affrontare il cambiamento d’epoca, che stiamo vivendo, e di cui parla anche il Papa, non è una condizione di necessità, ma esercizio pieno della politica che vuole governare i fenomeni e non subirli.
Società multietnica, diritti fondamentali e cittadinanza
Nel tempo della globalizzazione uno degli effetti più eclatanti è costituito dal declino della sovranità statale soggetta a profondi processi di corrosione e limitazione da parte di centri di poteri interni ed esterni.
Inevitabilmente anche il concetto tradizionale di cittadinanza legale attributivo dei diritti civili, politici e sociali è andato modificandosi, non tanto in relazione all’esercizio del potere sovrano da parte del popolo (il corpo elettorale), quanto per un ampliamento dei soggetti a cui viene riconosciuto uno status di cittadinanza politica pur non essendo cittadino, come è nel caso delle autonomie locali con le elezioni dei consiglieri comunali stranieri aggiunti con funzioni consultive (in taluni paesi europei, come in Germania, è riconosciuto il diritto ai cittadini comunitari di essere eletti nelle assemblee locali), alle consulte stranieri, alla partecipazione a forum e comitati di associazioni rappresentative delle diverse etnie per la definizione delle politiche sociali di un ente locale, alla possibilità di indire e partecipare a referendum locali sui temi di interesse per la comunità, spesso connessi alla tutela di beni comuni, o infine come il diritto elettorato attivo e passivo dei cittadini dell’Unione per il Parlamento europeo che possono essere eletti in uno dei Paesi aderenti anche se non cittadini del Paese in cui si candidano.
Non connessa alla titolarità e all’esercizio della sovranità propria della cittadinanza legale è la cosiddetta cittadinanza sociale intesa come uno status delle persone, in quanto tali, titolari di diritti civili e sociali fondamentali, che ha trovato e trova la sua esplicazione nello Stato sociale.
L’attualità e le dimensioni del fenomeno migratorio, che reca con sé differenze culturali e religiose anche molto distanti dal modello culturale e politico occidentale, pone il tema della cittadinanza sotto un’ottica del tutto inedita e spesso controversa, perché si tratta di coniugare il rispetto della diversità con il rispetto dei valori fondanti della comunità che ospita[1]. Basti pensare al tema dei simboli religiosi o dei capi d’abbigliamento (il velo delle donne islamiche), al riconoscimento di una giustizia parallela (le corti islamiche e ebraiche nel Regno Unito).
La legislazione italiana attualmente in vigore
La legislazione italiana (legge 5 febbraio 1992, n. 91), che ha come criterio generale quello dello ius sanguinis (è cittadino il figlio/a di padre o di madre cittadino/a italiano/a), in casi particolari ammette il criterio dello ius soli temperato.
E’ cittadino chi è nato nel territorio della Repubblica da genitori ignoti o apolidi, ovvero, se il figlio non segue la cittadinanza dei genitori secondo la legge dello Stato al quale questi appartengono. È altresì considerato cittadino per nascita il figlio di ignoti trovato nel territorio della Repubblica, se non venga provato il possesso di altra cittadinanza. Lo straniero nato in Italia, che vi abbia risieduto legalmente senza interruzioni fino al raggiungimento della maggiore età, diviene cittadino se dichiara di voler acquisire la cittadinanza italiana entro un anno dalla suddetta data.
I contenuti della riforma
Il progetto di legge della riforma è stato approvato lo scorso 13 ottobre 2015 dalla Camera dei deputati è ora al – vivace (!!!) – esame del Senato. In sintesi i punti salienti del progetto sono i seguenti.
La proposta si concentra sulla questione fondamentale della tutela dell’acquisto della cittadinanza da parte dei minori, apportando a tal fine alcune modifiche alla legge vigente sulla cittadinanza.
La novità principale del testo consiste nella previsione di una nuova fattispecie di acquisto della cittadinanza italiana per nascita (c.d. ius soli) e nell’introduzione di una nuova fattispecie di acquisto della cittadinanza in seguito ad un percorso scolastico (c.d. ius culturae).
In particolare, acquista la cittadinanza per nascita chi è nato nel territorio della Repubblica da genitori stranieri, di cui almeno uno sia titolare del diritto di soggiorno permanente o in possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo (cd. ius soli).
La cittadinanza si acquista mediante dichiarazione di volontà espressa da un genitore o da chi esercita la responsabilità genitoriale all’ufficiale dello stato civile del comune di residenza del minore, entro il compimento della maggiore età dell’interessato.
Entro due anni dal raggiungimento della maggiore età, l’interessato può:
- rinunciare alla cittadinanza acquisita, purché sia in possesso di altra cittadinanza, ovvero;
- fare richiesta all’ufficiale di stato civile di acquistare la cittadinanza italiana, ove non sia stata espressa dal genitore la dichiarazione di volontà. Nel caso in cui la frequenza riguardi il corso di istruzione primaria, è altresì necessaria la conclusione positiva di tale corso (c.d. ius culturae). In tal caso, la cittadinanza si acquista mediante dichiarazione di volontà espressa da un genitore legalmente residente in Italia, o da chi esercita la responsabilità genitoriale all’ufficiale dello stato civile del comune di residenza del minore, entro il compimento della maggiore età dell’interessato.
- Entro due anni dal raggiungimento della maggiore età, l’interessato può:
- La seconda fattispecie di acquisto della cittadinanza riguarda il minore straniero, che sia nato in Italia o vi abbia fatto ingresso entro il compimento del dodicesimo anno di età, che abbia frequentato regolarmente, ai sensi della normativa vigente, per almeno cinque anni nel territorio nazionale uno o più cicli presso istituti appartenenti al sistema nazionale di istruzione o percorsi di istruzione e formazione professionale triennali o quadriennali idonei al conseguimento di una qualifica professionale.
- rinunciare alla cittadinanza acquisita, purché sia in possesso di altra cittadinanza, ovvero:
- fare richiesta all’ufficiale di stato civile di acquistare la cittadinanza italiana, ove non sia stata espressa dal genitore la dichiarazione di volontà. Tra le ulteriori disposizioni della proposta, si prevede infine l’esonero per le istanze o dichiarazioni concernenti i minori dal pagamento del contributo previsto attualmente dalla legge per le richieste di cittadinanza. Anche nei maggiori paesi Europei lo ius soli è assunto nella forma temperata.[2]
Uno sguardo ai maggiori paesi europei
- E’ prevista una disciplina transitoria per coloro che abbiano maturato i requisiti per l’acquisto dello iure culturae prima dell’entrata in vigore della legge e abbiano già compiuto i 20 anni di età (termine previsto dalla legge per la dichiarazione di acquisto della cittadinanza), possono fare richiesta di acquisto della cittadinanza entro 12 mesi dall’entrata in vigore della legge, purché residenti in Italia da almeno 5 anni; l’acquisto è escluso nel caso in cui l’interessato sia stato destinatario di provvedimenti di diniego della cittadinanza per motivi di sicurezza della Repubblica o di provvedimenti di espulsione per i medesimi motivi. Resta ferma l’applicazione della normativa a coloro che abbiano maturato i requisiti per l’acquisto dello iure soli o iure culturae prima dell’entrata in vigore della legge e non abbiano compiuto i 20 anni di età.
- Oltre a queste ipotesi, che configurano un diritto all’acquisto della cittadinanza, la proposta introduce un ulteriore caso di concessione della cittadinanza (cd. naturalizzazione), che ha carattere discrezionale, per lo straniero che ha fatto ingresso nel territorio nazionale prima del compimento della maggiore età, ivi legalmente residente da almeno sei anni, che ha frequentato regolarmente, ai sensi della normativa vigente, nel medesimo territorio, un ciclo scolastico, con il conseguimento del titolo conclusivo, presso gli istituti scolastici appartenenti al sistema nazionale di istruzione, ovvero un percorso di istruzione e formazione professionale con il conseguimento di una qualifica professionale. Tale fattispecie dovrebbe, in particolare, riguardare il minore straniero che ha fatto ingresso nel territorio italiano tra il dodicesimo ed il diciottesimo anno di età.
- In Francia, la semplice nascita nel territorio nazionale non rileva ai fini dell’attribuzione della cittadinanza se non per i minori figli di apolidi, o di genitori sconosciuti, o che non trasmettano la loro nazionalità. Inoltre, ogni bambino nato in Francia da genitori stranieri acquisisce automaticamente la cittadinanza francese al momento della maggiore età se, a quella data, ha la propria residenza in Francia, o vi ha avuto la propria residenza abituale durante un periodo, continuo o discontinuo, di almeno 5 anni, dall’età di 11 anni in poi. Le autorità pubbliche e gli istituti di insegnamento sono tenuti ad informare le persone interessate sulle disposizioni normative in materia (art. 21 – 7, cod. civ.). L’acquisizione automatica può essere anticipata a 16 anni dallo stesso interessato, con dichiarazione sottoscritta dinanzi all’autorità competente, o può essere reclamata per lui dai suoi genitori a partire dai 13 anni e con il suo consenso, nel qual caso il requisito della residenza abituale per 5 anni decorre dall’età di 8 anni.
- in Germania dal 1° gennaio 2000, acquisiscono automaticamente la cittadinanza tedesca, i figli di stranieri che nascono in Germania, purché almeno uno dei genitori risieda abitualmente e legalmente nel paese da almeno 8 anni e goda del diritto di soggiorno a tempo indeterminato o, se cittadino svizzero, sia in possesso di un permesso di soggiorno rilasciato sulla base dell’Accordo del 21 giugno 1999 tra la Comunità europea e i suoi Stati membri, da una parte, e la Confederazione elvetica, dall’altra, riguardante la libertà di circolazione. Un bambino di genitori ignoti che viene trovato in territorio tedesco è considerato figlio di cittadini tedeschi fino a prova contraria. I bambini nati prima dell’1° luglio 1993 da padre tedesco e madre straniera, possono acquisire la cittadinanza tedesca mediante una dichiarazione da effettuarsi entro il compimento del 23mo anno di età, se il riconoscimento o l’accertamento della paternità sono validi per la legge tedesca e se il minore stesso è residente legalmente e stabilmente in Germania da tre anni. I bambini che divengono cittadini tedeschi in base al principio del luogo di nascita, acquisiscono contemporaneamente anche la nazionalità dei genitori stranieri. Dal compimento della maggiore età hanno 5 anni di tempo per dichiarare in forma scritta la loro volontà di mantenere la nazionalità tedesca o quella del paese di origine dei genitori.
- Nel Regno Unito, qualora, al momento della nascita i genitori non siano cittadini britannici, né siano stabiliti nel Regno Unito, la persona nata nel territorio nazionale ha titolo a chiedere il riconoscimento della cittadinanza nei seguenti casi: a) se uno dei genitori successivamente diventi cittadino britannico o si stabilisca nel Regno Unito, dovendo però il figlio farne espressa richiesta entro il limite dei 18 anni di età; b) se il richiedente abbia vissuto nel Regno Unito per i 10 anni successivi alla nascita non assentandosi per più di 90 giorni; in tal caso non vi sono previsti limiti di tempo per chiedere la cittadinanza; c) se la persona ha la cittadinanza britannica dei Territori d’oltremare, e per almeno 5 anni abbia legalmente risieduto nel Regno Unito senza assentarsi per più di 450 giorni durante il quinquennio o per di più di 90 negli ultimi 12 mesi. In mancanza dei requisiti previsti, la concessione della cittadinanza britannica alla persona nata sul suo nazionale è di competenza discrezionale del Ministro dell’Interno.La cittadinanza non è solo lo status giuridico riconosciuto ad una persona che è legata da un rapporto di appartenenza ad una comunità politica territoriale (lo Stato), essa è anche e soprattutto la formalizzazione di un sentimento di appartenenza e di condivisone culturale, di valori e di ideali che fondano l’identità di quella comunità. Ci sono casi di immigrati che pur facendo nascere i propri figli in Italia, li mandano dopo pochi mesi nel Paese di origine per farli crescere e studiare lì: possiamo dire che sono italiani? Diventare cittadini deve essere una libera e responsabile scelta fondata sulla condivisione dei valori fondanti di una società. Ad esempio, ci sono concezioni differenti sul ruolo della donna e sull’educazione dei figli, sullo stato di diritto, che nascono da profonde diversità culturali e religiose e che non sono collimanti con la cultura e i valori occidentali: occorre che la cittadinanza sia il frutto di un percorso non di omologazione, ma di condivisione e di conoscenza reciproca. E’ del tutto ovvio che la società multiculturale e multietnica produrrà un sistema diverso da quello di una società monoculturale. Le reciproche contaminazioni daranno vita ad un nuovo patto di cittadinanza, che non significa affatto recedere rispetto all’affermazione e all’accettazione di valori fondamentali che sono il nostro dato identitario. Primo fra tutti quello del rispetto della persona e della vita da cui deriva la sua centralità rispetto allo Stato, che non può tutto e che non crea diritti fondamentali, ma li garantisce e li tutela in quanto naturali della persona. Un cammino prudente, da fare senza forzature dogmatiche, mettendo al centro la libertà della persona.
- L’attribuzione della cittadinanza per il solo fatto di essere nati in Italia (ius soli non temperato, che la riforma non accoglie) è una scelta che limita la libertà dei singoli e delle famiglie.
- La riforma della cittadinanza con l’espansione dello ius soli nella forma temperata (vale a dire sottoposto alla sussistenza di precise condizioni) accanto allo ius sanguinis solleva allora la questione della condivisione da parte dei nuovi cittadini dei valori della comunità ospitante, perché cittadinanza legale significa entrare in una comunità e condividerne lo schema dei valori che fondano la sua convivenza; investe, pertanto, le idee di fondo su cui si regge e sviluppa una comunità, la nostra comunità.
- La frequentazione della scuola è il mezzo per affermare una società rispettosa della diversità culturale, ma coesa sui valori su cui si fonda la nostra comunità nazionale.
- Il discrimine è proprio tra chi intende integrarsi e condividere quei valori e chi no, perché mai dovrebbe essere cittadino chi non si sente o non vuole far parte di una comunità che ha basi ideali comuni che non vuole fare propri?
- Il riconoscimento della cittadinanza non deve essere un automatismo imposto per legge, ma un’opportunità che va lasciata cogliere in piena libertà e responsabilità da chi ne ha diritto.
- Se non deriva dalla nascita attraverso il legame trasmesso dalla famiglia di genitori già cittadini (jus sanguinis), quale agente di integrazione, perché si presume che essa condivida i valori fondanti della società, l’attribuzione della cittadinanza per il solo fatto della nascita sul suolo di uno Stato (c.d. jus soli puro) costituisce un atto di limitazione della libertà di scelta della persona, perché la obbliga ad uno status giuridico automatico e casuale.
Le ragioni dello ius soli temperato
Lo ius soli temperato favorisce invece l’integrazione di chi vuole diventare cittadino mediante un percorso educativo che gli permette di avere conoscenza della cultura e dei valori della comunità di cui vuole far parte e che sono o che diventano parte del suo patrimonio culturale La riforma in corso di esame per l’approvazione, pur contenendo profili non pienamente soddisfacenti, si muove quindi in una direzione sostanzialmente condivisibile.
Alberto Fossati e Chiara Fossati
[1] Pur nella nostra società multietnica e multi religiosa i valori fondanti della nostra comunità sono comunque quelli costituzionali della intangibilità della persona umana, della sacralità della vita, non disponibile neppure da parte dello Stato, della intangibilità dei diritti inviolabili della persona, del pluralismo culturale, sociale, economico, politico, della laicità del potere, della tolleranza che non significa indifferenza di giudizio e di valore rispetto a culture contrastanti con questi valori.
[2] Fonte Camera dei deputati, XVI legislatura: L’acquisizione della cittadinanza in Francia, Germania, Olanda, Regno Unito e Spagna, n. 15 gennaio 2010.