La coscienza europea indifferente al dramma dei migranti e alla dignità umana

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di Alberto Fossati – 30/06/2015

Abbiamo bisogno di tornare ad essere una società che ha memoria, se vogliamo una politica che governi il futuro. Se non c’è memoria, non può esserci identità

L’Europa oggi appare un Continente di pigmei – sia la società politica sia la cosiddetta società civile – che camminano, calpestandoli, sui principi giganti della dignità umana, della libertà individuale, della solidarietà tra le persone, che essa stessa ha creato e che sono la sua ragione di essere.Nel novembre dello scorso anno Papa Francesco, nella sede di Strasburgo del Parlamento Europeo, invitava l’Europa ad «affrontare insieme la questione migratoria. Non si può tollerare che il Mar Mediterraneo diventi un grande cimitero! Sui barconi che giungono quotidianamente sulle coste europee ci sono uomini donne che necessitano di accoglienza e di aiuto. L’assenza di un sostegno reciproco all’interno dell’Unione europea rischia di incentivare soluzioni particolaristiche al problema che non tengono della dignità umana degli immigrati, favorendo il lavoro schiavo e continue tensioni sociali», da qui l’ammonimento: «L’Europa sarà in grado di far fronte alle problematiche connesse all’immigrazione se saprà proporre con chiarezza la propria identità culturale e mettere in atto legislazioni adeguate che sappiano allo stesso tempo tutelare i diritti dei cittadini europei e garantire l’accoglienza dei migranti; se saprà adottare politiche corrette, coraggiose e concrete che aiutino i loro Paesi di origine nello sviluppo socio – politico e nel superamento dei conflitti interni – causa principale di tale fenomeno – invece delle politiche di interesse che aumentano e alimentano tali conflitti. E’ necessario agire sulle cause e non solo sugli effetti.»
L’esortazione conclusiva era al coraggio dell’Europa che affonda la sue radici «non attorno all’economia, ma alla sacralità della persona umana, dei valori inalienabili … E’ giunto il momento di abbandonare l’idea di un’Europa impaurita e piegata su sé stessa per suscitare e promuovere l’idea di un’Europa protagonista, portatrice di scienza, di arte, di musica, di valori umani anche di fede. L’Europa che contempla il cielo e persegue gli ideali; l’Europa che guarda e difende e tutela l’uomo; l’Europa che cammina sulla terra sicura e salda, prezioso punto di riferimento per tutta l’umanità!»
Questa, secondo il Papa, è la missione dell’Europa, che trova il suo fondamento nella centralità della tutela e della promozione della persona umana, come aveva rimarcato con forza Giovanni Paolo II nel suo discorso del 1988 al Parlamento Europeo, nel cui solco, pur con le differenze dovute al diverso contesto storico, si è posto Papa Francesco accolto dagli eurodeputati con una standing ovation (repubblica.it. 25 novembre 2014) e che condivisero con ripetuti e convinti applausi il suo messaggio (corriere.it. 25 novembre 2014, panorama.it 25 novembre 2014).La Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea solennemente approvata dal Parlamento Europeo nel 2000 afferma l’inviolabilità della dignità umana (art. 1), il diritto alla vita di ogni individuo (art. 2), il diritto all’asilo di coloro che possiedo lo status di rifugiato (art. 18).
L’Europa e soprattutto l’Italia ha schierato nel Mediterraneo una flotta militare non per aggredire o difendere con le armi un confine, ma per salvare vite umane che abbandonano il proprio paese per guerra, persecuzione o miseria. Ma la solidarietà europea pare terminare sulla banchina del primo porto italiano di sbarco.
Questa umanità “televisiva” che rimanda di sé l’immagine di una emergenza politica, prima ancora che economica, che in taluni casi (Iraq, Siria, Libia, Somalia) addirittura legittimerebbe l’ingerenza militare per ragioni umanitarie (Card. Scola, Corriere della Sera 26 giugno 2015), ha messo a nudo la contraddizione di un Continente, che applaude all’allargamento dei diritti individuali con la costituzionalizzazione irlandese dei matrimoni gay, ma che al momento di affrontare la crisi di questa migrazione di massa dal sud e dell’est del mondo, dove in gioco è il fondamentale e prioritario diritto alla vita, riscopre il disvalore dei propri particolarismi, denunciati come un male da Papa Francesco: ovviamente applaudito dagli eurodeputati.La coscienza europea appare indifferente al bivacco sulla roccia scabra degli scogli di Ventimiglia. Quella roccia arida, aspra, inospitale, è la metafora dello spirito europeo di oggi.
La Francia del diritto di asilo, anche di terroristi italiani colpevoli di reati di sangue e di omicidio, erge ora la forza della sua grandeur, schierando la gendarmeria a protezione del suo sacro suolo, immemore della sue gravissime responsabilità nel disastro libico.
A Calais con soldi inglesi si sta ergendo un muro per impedire ai clandestini di imbarcarsi per l’Inghilterra, dove il suo Primo Ministro ha annunciato un giro di vite nei confronti dei lavoratori immigrati extra-Ue con riduzione del numero di permessi di lavoro e con un aumento delle tasse per chi assume lavoratori stranieri extra europei. L’intento nelle sue intenzioni è quello di favorire l’assunzione di personale britannico, riducendo quindi la disoccupazione tra i cittadini di Sua Maestà (TGCom24, 10 giugno 2015).
Per un Paese che ha posseduto un “impero-mondo” si tratta di un’ammissione di debolezza davvero sconcertante.

L’Ungheria, che ha avuto la solidarietà unanime del mondo libero quando era sotto il tallone dell’oppressione sovietica, ha annunciato la creazione di un muro sul confine serbo per contenere gli immigrati provenienti dall’est.
Per il resto siamo agli accordi per la ripartizione obbligatoria o volontaria di una quota di alcune migliaia di immigrati tra tutti i paesi dell’Unione.

L’anno scorso sono arrivati in Europa in 219.000 (pari a mezzo migrante ogni mille europei), (Buccini, Corriere della Sera, 11 giugno 2015).
Nel primo semestre del 2014 gli arrivi irregolari in Italia sono stati 57.624. I rimpatriati 15.726. Nel primo semestre del 2015 gli arrivi sono stati 52.237 ed i rimpatri 6.036 (Caprara, Corriere della Sera, 18 giugno 2015).
Sono numeri importanti, ma non drammatici, che diventano tali e causa di timori sociali per la scarsa capacità di governare il fenomeno, per la strumentalizzazione politica dei partiti populisti, che hanno egemonizzato e polarizzato il dibattito e l’attenzione pubblica su questa emergenza umanitaria, fatta diventare una questione di ordine pubblico, quando essa dovrebbe essere ricondotta ad una grande questione sociale e di politica estera complessiva dell’Unione europea, che stenta a delinearsi per la forza degli interessi e dei particolarismi nazionali e statuali, e per la debolezza della politica.

Nel recente passato la politica dettava l’agenda alla società, in taluni casi la precedeva (si pensi all’idea stessa di Unione concretizzata da statisti europei appena dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, alla riunificazione tedesca dopo il crollo del muro di Berlino), oggi invece la politica è retta dalla tirannia del sondaggio, dei messaggi sui social network, che riducono la profondità di un pensiero – si fa per dire – al numero limitato dei caratteri consentiti dal cinguettio di un social, alla pretesa della democrazia informatica del blog.
Abbiamo bisogno di tornare ad essere una società che ha memoria, se vogliamo una politica che governi il futuro.
Se non c’è memoria, non può esserci identità:
«Ma come potresti tu ricordarmi. Come potrebbe il mare ricordare la conchiglia nella quale una volta mormorava» (Pär Lagerkvist, Tu che esistevi prima dei monti, da “Aftonland”, 1953).

*Docente di diritto pubblico e legislazione sociale all’Università Cattolica di Milano.