
Sono passati ormai 3 mesi dalla sospensione delle attività scolastiche ed educative in presenza. Ci sono stati decreti, siamo passati da una fase di incertezza a una fase 2, c’è stata la riapertura della maggior parte di luoghi di incontro come bar, ristoranti, parrucchieri. E la scuola? E i centri educativi? E i luoghi di socializzazione?
Ho provato a scrivere più volte questo articolo, ma a un certo punto i pensieri si facevano sempre più complicati e finivo per scrivere troppe cose tutte insieme in poco più di una pagina. Così mi sono data del tempo, ma la confusione è rimasta, come anche la sosta delle nostre attività quotidiane dal vivo.
Ciò nonostante ho capito che è necessario raccontare e dare voce alle storie che incontro, soprattutto in questo periodo di isolamento e di distanza sociale fisica, ma che è stata ed è spesso anche emotiva e relazionale.
Per far comprendere meglio, il mio ruolo educativo si svolge all’interno del quartiere di Milano Quarto Oggiaro. Lavoro all’interno dei due centri educativi delle Acli Milanesi, all’interno dei quali realizziamo due progetti di Save the children: il progetto Fuoriclasse, orientato al contrasto della dispersione scolastica e il progetto Punto Luce, orientato al contrasto della povertà educativa.
In entrambi i progetti le attività pomeridiane sono caratterizzate dall’incontro di gruppo, dalla relazione con i coetanei, con noi educatrici e i volontari.
In entrambi i progetti cerchiamo di agganciare minori delle scuole elementari, medie e superiori per coinvolgerli in attività di supporto allo studio e in percorsi laboratoriali orientati alla socializzazione, alla sperimentazione in gruppo, a rapportarsi con gli altri.
All’inizio di questo periodo di blocco attività, infinite sono state le domande che mi sono circolate in testa: come continuare a creare relazione a distanza senza potersi vedere dal vivo? Può davvero esserci relazione? I nostri obiettivi di supporto e vicinanza come potranno realizzarsi?
Tutte le nostre attività si svolgono dal vivo e in gruppo. Sono due costanti del nostro lavoro educativo.
Molto spesso è necessario escludere l’uso di telefoni o dispositivi per rimanere connessi con il qui e ora e stimolare i minori a parlare e rapportarsi con coetanei e adulti di riferimento, lasciando il mondo virtuale in stand-by per qualche ora.
Da ormai 3 mesi però la situazione si è capovolta: la tecnologia è diventata il nostro principale strumento, luogo e metodo per rendere possibile i nostri incontri.
Quella che molto spesso abbiamo dovuto bannare dai momenti di laboratorio, quella che spesso crea distanza tra le persone anziché farle sentire più vicine.
Ma oggi, per tutti noi, la tecnologia è tutto ciò che ci rimane per rimanere gli uni accanto agli altri. Così durante le prime settimane le telefonate sono state il nostro aiuto per stare vicino ai ragazzi e alle loro famiglie, poi ci siamo sperimentati a girare e montare video di saluto, abbiamo cercato link di vari siti interessanti e applicazioni che potessero servire ad affrontare più equipaggiati questa situazione. Anche noi educatrici abbiamo scoperto e
stiamo scoprendo ancora oggi nuovi modi di comunicare, nuovi strumenti per essere vicini ai ragazzi nonostante la distanza e l’impossibilità a vedersi.
Il ruolo che abbiamo e che costruiamo ogni giorno di questa quarantena, che per noi continua lavorando da casa, è un ruolo che conosciamo molto bene, ma che deve essere ridefinito e ri- espresso in modi e tempi diversi.
Una delle principali caratteristiche che ha questo nostro ruolo oggi è quella di essere punto di riferimento per i ragazzi e le famiglie, essere casa di coloro che vivono delle difficoltà sempre e sui quali in questa situazione ricadono maggiormente gli svantaggi.
Chi faceva fatica ieri dal punto di vista economico, ma anche dal punto di vista relazionale oggi vive un incubo quotidiano che rimane nascosto dentro le mura di casa. Durante una delle ultime supervisioni con la nostra psicologa è emersa una lettura della situazione tramite una parola che proviene proprio dalla Cina. La parola “crisi” in cinese è composta da due caratteri che significano pericolo e opportunità.
Incredibile vero? La crisi in cui siamo può essere vissuta con due modalità così opposte, ma al tempo stesso complementari. Il pericolo di ammalarsi, di restare soli, di non poter salutare i propri cari, di essere isolati dagli altri per molto altro tempo può abbatterci e farci sentire impotenti. Però può anche stimolarci a pensare che questa situazione è un’opportunità unica e irripetibile, ma soprattutto che fa parte della nostra vita pur essendo una realtà diversa da quella che abbiamo vissuto.
Ed è qui che i nostri progetti entrano in gioco, in quanto per loro natura sono prima di tutto un’opportunità per i nostri beneficiari. Opportunità che varia e che dipende da come viene colta e vissuta. Per loro oggi opportunità significa avere qualcuno che possa aiutarli supportandoli ad affrontare la quotidianità di questo momento e la didattica a distanza.
In qualche modo è necessario ricordarci che il tempo che stiamo vivendo non è tempo perso, non si tratta di una parentesi temporale che non fa parte della nostra vita. Per questo è importante restare presenti in questa situazione, rimanere accanto, magari anche in silenzio.
La complessità che caratterizza questa situazione non è raccontata e soprattutto non è risolvibile con una singola soluzione uguale per tutti. Ci sono famiglie, docenti, educatori che partono da situazioni diverse e che sono ora in situazioni infinitamente diversificate e non risolvibili con una sola risposta. Emerge il bisogno di sentirsi, di ritrovarsi, di rivedersi (con le dovute disposizioni).
E oggi ancora non sappiamo cosa faremo con le nostre attività. O meglio, noi sappiamo che continueremo a pensare, riflettere, sperimentare modalità. Con la consapevolezza che sarà tutto sempre più complesso, che un dopo quando ci sarà, non sarà come quello che c’era prima e forse dovremo rielaborare i nostri obiettivi, le nostre modalità e i nostri strumenti.
Non ci rimane che aspettare il prossimo decreto, sperando che riguardi proprio l’area educativa, intesa nel senso più ampio del termine. Ed esserci. Non ci rimane che esserci. Continuando a supportare i nostri beneficiari, le famiglie e la scuola e tutti le figure che ruotano intorno ai minori che si sono affidati a noi e che continuano a farlo.