
L’esito delle crisi di governo in due importanti Nazioni europee come la Spagna e l’Austria sta ad indicare come sia in corso una fase di rimescolamento delle carte rispetto a una tradizione consolidata che potrebbe avere delle conseguenze che vanno oltre i confini di questi due Paesi, in un contesto continentale in cui le democrazie parlamentari sono sottoposte a tensioni continue che si manifestano nella difficoltà di dar vita a coalizioni di governo che siano minimamente funzionali nell’adozione delle scelte necessarie per il bene pubblico.
In Spagna il leader socialista Pedro Sanchez è riuscito a ottenere nuovamente l’investitura a presidente del Governo per due voti di scarto alla seconda votazione dando vita, per la prima volta dal ritorno della Spagna alla democrazia nel 1975, ad un Governo di coalizione che comprende il PSOE e la sinistra “radicale” di Unidas Podemos, e che ha avuto bisogno del voto favorevole di una serie di piccoli partiti regionali e dell’astensione dell’Esquerra republicana de Catalunya, uno dei due partiti indipendentisti che governano la Generalitat catalana (l’altro, il Partito Catalano, ha votato contro ) e di Bildu, il partito che raccoglie l’eredità di Herri Batasuna, considerata l’ala politica dei terroristi baschi dell’ETA.
Il nuovo Governo ha un programma ampio ed ambizioso, pur non godendo di una vera maggioranza nel Congresso dei Deputati, la Camera bassa delle Cortes Generales che ha il potere di dare o togliere la fiducia agli Esecutivi, un programma estremamente spostato a sinistra, frutto congiunto del cambiamento dei quadri dirigenti dello PSOE voluto da Sanchez e alla presenza di Ministri di Unidas Podemos, il cartello elettorale che raggruppa pressoché tutte le forze di estrema sinistra (a quanto pare del nuovo Governo farà parte anche un esponente del Partito Comunista, per la prima volta dai tempi della Seconda Repubblica). Contemporaneamente, per avere la decisiva astensione dell’ERC, Sanchez ha dovuto promettere, entro quindici giorni dall’insediamento del Governo, l’apertura di un tavolo politico con il Governo catalano che dovrebbe portare a nuovi accordi fra lo Stato spagnolo e la Regione sud-occidentale. Tali accordi, tuttavia, nell’ottica dei partiti catalanisti (che non rappresentano la maggioranza assoluta dei cittadini catalani, ma governano la Generalitat in forza della legge elettorale vigente) dovrebbe comprendere la possibilità di autodeterminazione della Catalogna, mentre il PSOE e, con qualche capriola verbale, UP sono contrari (fermo restando che un simile passaggio richiederebbe una revisione della Costituzione per la quale l’attuale Governo non ha i numeri).
In effetti, lo scoglio catalano è solo uno di quelli che deve affrontare un Governo che nasce debole e che molti osservatori percepiscono come condannato a vita breve, in un contesto di estrema volatilità dello scenario politico, contrassegnato da quattro scioglimenti anticipati delle Cortes di cui due solo nell’ultimo anno. Peraltro, lo spostamento a sinistra dell’asse governativo e la “liaison dangereuse” con gli indipendentisti catalani e baschi (questi ultimi circonfusi dell’aura sanguinosa di un terrorismo feroce) ha avuto come conseguenza la radicalizzazione del discorso della destra, non solo il Partido Popular , ma anche le due forze politiche da esso fuoriuscite, i liberali di Ciudadanos e soprattutto i nazionalisti filofranchisti di Vox, che nell’attuale Governo vedono un attentato all’unità dello Stato spagnolo (“Espana Una! Grande! Libre!” fu il grido di battaglia della sollevazione nazionalista del 1936). Non a caso, del resto, Sanchez ha concluso il suo discorso di investitura con una citazione forse inopportuna del Presidente della Repubblica spagnola del tempo della Guerra civile, Manuel Azana, cui il leader popolare Pablo Casado ha puntualmente risposto con un saluto al Re Filippo VI. La riproposizione di retoriche vecchie di quasi ottant’ anni non è certo un buon segnale per una democrazia che peraltro da quarant’anni gode di una solidità mai vista precedentemente nella storia spagnola (nessuna Costituzione dello Stato iberico è mai durata più di pochi anni, o addirittura mesi, mentre quella del 1978 continua a reggere ).
In Austria invece le coalizioni sono sempre esistite, ma a cambiare è stato lo scenario politico, dopo il collasso della coalizione fra i popolari ed i cosiddetti liberali della FPO (cosiddetti perché in realtà sospettati a buon diritto di nostalgismo nazionalsocialista) a seguito delle dimissioni del Vicecancelliere e leader del partito di estrema destra Heinz – Chiristian Strache è finito in un’inchiesta per corruzione, resa ancora più clamorosa dall’emergere della videoregistrazione di lui che accetta i soldi di un finto magnate russo per orientare a favore degli interessi moscoviti la politica del Governo di Vienna.
Alle successive elezioni la OVP di Kurz ha ottenuto un successo molto largo, mentre non solo la FPO, ma anche i socialdemocratici della SPO, tradizionale partito di governo, perdevano consensi a favore dei Verdi e dei liberali, per così dire, autentici di NEOS. A quel punto a Kurz e alla OVP rimaneva solo da scegliere il partner a cui legarsi per il patto governativo, ferma restando l’impraticabilità di una nuova coalizione con la FPO, ritornata nel ghetto degli impresentabili. Scartato il ritorno alla Grande (sempre meno) Coalizione con i socialdemocratici, in stato di piena confusione politica, i popolari hanno aperto un canale di dialogo del tutto inedito con i Verdi.
Il partito ambientalista austriaco ha avuto una genesi simile a quella del confratello tedesco, anche se ha messo molto più tempo a raggiungere una massa critica sufficiente per essere considerato come un possibile partner di governo: nato nell’ambito dei movimenti ambientali e di una certa sinistra alternativa, ha progressivamente affinato la sua proposta politica situandosi sul terreno di un saldo europeismo e dell’inserimento della tematica ambientale in un più ampio scenario di evoluzione sociale e politica e di tutela dei diritti della persona. Non a caso, quattro anni fa, quando già l’onda dell’estrema destra montava, fu il candidato dei Verdi alla Presidenza della Repubblica (in Austria vige l’elezione diretta del Capo dello Stato, anche se i suoi poteri sono per certi versi inferiori a quelli , ad esempio, del nostro Presidente) Alexander Van der Bellen ad imporsi al ballottaggio contro il candidato dell’estrema destra Norbert Hofer.
Al termine di una lunga negoziazione il leader popolare Kurz e quello dei Verdi Werner Kogler, nuovo Vicecancelliere, hanno rilasciato una dichiarazione congiunta in cui hanno ricordato che i due partiti, i veri vincitori delle elezioni di ottobre, avevano guadagnato consensi su issues differenti : la riduzione delle tasse e la lotta all’immigrazione clandestina per i popolari, l’imperativo della lotta al cambiamento climatico per i Verdi. Il programma comune di governo cerca di armonizzare le diverse esigenze, e Kogler, dimostrando un piglio da statista, ha ricordato che ormai il problema per lui non è l’elettorato del suo partito ma “il popolo austriaco” nel suo complesso, intendendo con tale espressione anche chi risiede nel territorio della Repubblica alpina senza esserne cittadino. Ha aggiunto che per quanto lo riguarda, le esigenze sociali del suo partito possono essere coniugate con la rimodulazione del sistema fiscale richiesta dai popolari, mentre Kurz , un po’ forzatamente, ha voluto istituire un nesso fra la protezione dei confini e quella dell’ambiente.
Da notare che, fra i portafogli assegnati ai Verdi, vi è quello della Giustizia, a cui è stata designata Alma Zadic, una giurista di origine bosgnacca (cioè musulmana) nata a Tuzla nel 1984 e fuggita con i genitori in Austria a dieci anni per non finire nelle fosse comuni di Karadzic e Mladic .
Due Governi, due diversi esperimenti, due segnali del malessere della democrazia e della necessità di seguire strade non convenzionali per uscirne.