di Paolo Colombo – 26/10/2015
Domenica 25 ottobre si è concluso il Sinodo dei vescovi aperto il 4 ottobre su: “La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo”
Molte cose si potrebbero dire all’indomani della conclusione del Sinodo ordinario dei vescovi dedicato al tema della famiglia. In queste settimane si sono peraltro inseguite non poche illazioni circa il confronto tra “conservatori” e “riformisti”, senza escludere lettere più o meno segrete inviate al papa con lo scopo di condizionare gli stessi lavori sinodali. A fronte di tutto ciò resta una considerazione di metodo, che papa Francesco ha ben messo in luce nel discorso finale: «Nel cammino di questo Sinodo le opinioni diverse che si sono espresse liberamente – e purtroppo talvolta con metodi non del tutto benevoli – hanno certamente arricchito e animato il dialogo, offrendo un’immagine viva di una Chiesa che non usa ”moduli preconfezionati”, ma che attinge dalla fonte inesauribile della sua fede acqua viva per dissetare i cuori inariditi». E’ forse questa la sintesi più chiara delle impegnative settimane di lavori sinodali: c’è stata discussione aperta, reale, a volte condotta ricorrendo a forme poco benevole (e dunque, si potrebbe aggiungere, poco cristiane, se è vero che la benevolenza è un quasi-sinonimo di carità…) ma in ogni caso vera perché frutto delle convinzioni di ciascuno degli oltre 250 partecipanti in rappresentanza della Chiesa universale.Giustamente è stata messa in luce (vedi Luigi Accattoli sul Corsera di domenica 25 ottobre) l’analogia con il Concilio Vaticano II: anche lì la discussione fu reale, non ovattata in schemi preconfezionati; ci furono scontri anche accesi, sempre però nella profonda coscienza della propria responsabilità in rapporto Chiesa e al mondo. Pure al Concilio i testi finali furono in buona misura frutto di compromesso, non già da intendersi “al ribasso”, ma come frutto del desiderio di dare spazio alle varie posizioni in gioco e alle sfumature circa i differenti problemi posti sul tappeto.
Del resto, indicendo il Sinodo ormai oltre due anni fa, questa è stata l’esplicita volontà di papa Francesco: dar voce a un confronto vero. Troppo spesso nella Chiesa si era abituati a dialoghi un po’ scontati, di altissimo livello certo ma tali da non generare autentico discernimento. Documenti votati all’unanimità o quasi: ma quando tutti sono d’accordo è forte il rischio che si tratti di affermazioni pressoché ovvie, per quanto autorevoli o impegnative esse siano.
Al recente sinodo, una proposizione è stata votata con lo scarto di un solo voto (si tenga conto che l’approvazione chiedeva la maggioranza qualificata dei 2/3 dei voti). Va aggiunto che non si trattava di una proposizione “quasi rivoluzionaria”, ma di un passaggio in cui si prendeva atto della forte complessità dei casi familiari, con il conseguente affidamento della loro cura al discernimento pastorale dei rispettivi vescovi.
Troppo poco per un Sinodo sulla famiglia? O, al contrario, troppo per chi partiva da una precomprensione legata a principi universali e incontrovertibili? Tali domande trovano nuovamente luce nelle parole pronunciate dal papa nel discorso di chiusura del Sinodo: «In realtà, le culture sono molto diverse tra loro e ogni principio generale ha bisogno di essere inculturato, se vuole essere osservato e applicato (…). L’esperienza del Sinodo ci ha fatto anche capire meglio che i veri difensori della dottrina non sono quelli che difendono la lettera ma lo spirito; non le idee ma l’uomo; non le formule ma la gratuità dell’amore di Dio e del suo perdono».
Papa Francesco conosce benissimo le posizioni dottrinali della Chiesa cattolica e intende riproporle ai cristiani di oggi con l’intatta fedeltà di ogni “custode della fede” (come deve essere ogni vescovo e a maggior ragione ogni vescovo di Roma, come tale pastore della Chiesa universale), senza però trasformare tali posizioni in maglie rigide che, quasi secondo il dettame dei farisei dell’epoca di Gesù, finiscono per mortificare la libertà delle persone. Non è un caso che una delle parole preferite da papa Francesco sia misericordia: pur senza mai disgiungersi dalla giustizia, la misericordia ci ricorda infatti con la massima evidenza che la parola del Vangelo è sempre parola per l’umanità e mai solo parola di accusa dell’umanità, tanto meno dell’umanità sofferente, ferita o malata.
Non sappiamo quali saranno le future indicazioni che papa Francesco darà alla Chiesa: ora infatti l’intero materiale elaborato dai padri sinodali “ritorna” al papa in vista di un possibile futuro documento. In ogni caso nella Chiesa si sta davvero vivendo un metodo di confronto nuovo, più libero, meno incanalato in schemi preconcetti. Ed è un bene per tutti, nonché la premessa affinché il cammino della Chiesa si confronti con le grandi domande del presente «senza cadere nella facile ripetizione di ciò che è indiscutibile o già detto». Papa Francesco sta indicando la via; a tutti – dai vescovi fino all’ultimo cristiano – il compito di incarnare nella vita di ogni giorno il senso di tali richiami.