Legge di bilancio 2023 Disposizioni in materia pensionistica

Legge di bilancio 2023 Disposizioni in materia pensionistica email stampa

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Foto di Steve Buissinne da Pixabay

Abbiamo chiesto all’amico Giuseppe Argentino, già direttore del nostro Patronato ed esperto in materia previdenziale, di raccontarci le ultime novità sulle pensioni. Di seguito il suo contributo.

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Sulla Gazzetta ufficiale del 29 dicembre 2022 è stata pubblicata la legge 29 dicembre 2022, n.197, altrimenti nota come “Legge di bilancio”.

Prima di entrare nel merito delle disposizioni in materia pensionistica, è bene precisare che la Legge di bilancio è il documento contabile con il quale il Parlamento autorizza il Governo a utilizzare le risorse pubbliche necessarie per le attività politico-amministrative dello Stato. Per consentire al Governo di operare già dal mese di gennaio di un determinato anno, la legge deve essere approvata dal Parlamento entro il 31 dicembre dell’anno precedente: qualora ciò non avvenga il Governo può operare solo in base ad un esercizio provvisorio, che perdurerà fino all’approvazione della legge.

Le norme in tema pensionistico sono contenute in alcuni commi dell’articolo 1 della legge e riguardano diversi argomenti: nel seguito di questo articolo ci si soffermerà solo su alcuni dei provvedimenti ritenuti di particolare rilevanza.

 

  1. Aumenti di perequazione automatica

Come è noto, sul finire di ogni anno, un Decreto interministeriale, visti gli indici dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati pubblicati dall’Istat, dispone la misura di aumento percentuale da applicare alle pensioni in via provvisoria per l’anno successivo, e in via definitiva per l’anno che si va a concludere: la misura definitiva consente poi all’Ente previdenziale di operare il conguaglio in rapporto al dato provvisorio.

Con Decreto del 10 novembre 2022, l’aumento perequativo provvisorio per l’anno 2023 è stato determinato nella misura del 7,3%, mentre l’aumento percentuale definitivo per l’anno 2022 è stato accertato nella misura dell’1,9%, rideterminando in tal modo l’aumento previsto in via provvisoria, originariamente stabilito nell’1,7% dal Decreto del 17 novembre del 2021: va precisato che la rivalutazione si applica sull’importo complessivo delle pensioni di cui una persona è titolare.

Per effetto della normativa all’epoca vigente, lo scorso anno gli aumenti perequativi provvisori dell’1,7%, sono stati applicati nelle seguenti misure:

  1. a) 100% per le fasce pensionistiche di importo fino a quattro volte il trattamento minimo Inps;
  2. b) 90 % per le fasce comprese tra quattro e cinque volte il trattamento minimo Inps;
  3. c) 75% per le fasce di importo superiori a cinque volte il trattamento minimo.

Si consideri che l’importo del trattamento minimo accertato in via definitiva per l’anno 2022, sul quale applicare gli aumenti perequativi per il 2023, ammonta a euro 525,38 su base mensile.

Contrariamente agli anni precedenti, il comma 309 dell’articolo 1 della Legge 197/2022 ha disposto che per gli anni 2023 e 2024, mentre la normativa rimane invariata per i trattamenti pensionistici di importo fino a quattro volte il minimo (euro 2.101,52), per gli importi superiori non si hanno gli aumenti per fasce, ma la rivalutazione del 7,3% è applicata, sugli importi lordi mensili, in misura secca, e ridotta secondo le seguenti misure percentuali:

  • 85% per gli importi compresi tra euro 2.101,52 e 2.626,90 (tra 4 e 5 volte il minimo): aumento del 6,205%;
  • 53% per gli importi compresi tra euro 2.626,90 e 3.152,28 (tra 5 e 6 volte il minimo): aumento del 3,869%;
  • 47% per gli importi compresi tra euro 3.152,28 e 4.203,04 (tra 6 e 8 volte il minimo): aumento del 3,431%;
  • 37% per gli importi compresi tra euro 4.203,04 e 5.253,80 (tra 8 e 10 volte il minimo): aumento del 2,701%;
  • 32% per gli importi superiori a 5.253,80 (10 volte il minimo): aumento del 2,336%.

 

Apparentemente non sembra che vi siano differenze sostanziali tra la normativa precedente e quella disposta recentemente, ma si consideri, per fare un esempio, che una pensione mensile lorda di 3.000 euro, con il nuovo calcolo, perde circa 100 euro al mese, per complessivi 1.300 euro lordi su base annua, rispetto alla somma che sarebbe stata corrisposta in base alla normativa vigente lo scorso anno.

Si aggiunge che con l’art.21, comma 1, del D.L. 9 agosto 2022, n.115, convertito poi in legge 142/2022, il Governo Draghi aveva disposto, al fine di contrastare l’inflazione e sostenere il potere d’acquisto delle pensioni, l’anticipo, in via eccezionale, al 1° novembre 2022 del conguaglio per il calcolo della perequazione delle pensioni.

Per quanto riguarda gli aumenti perequativi da corrispondere in via provvisoria nel 2023, l’Inps, con circolare n.135 del 22 dicembre 2022, ha comunicato che “considerate le nuove disposizioni previste dal disegno di legge di Bilancio 2023 in merito alla rimodulazione della rivalutazione automatica delle pensioni, per evitare la corresponsione di somme potenzialmente indebite, ai titolari di pensione di importo superiore a quattro volte il minimo, la rivalutazione sarà attribuita sulla prima rata utile al momento di approvazione della legge di bilancio.”

Con “Comunicato stampa” del 24 gennaio scorso, l’Inps ha informato che le pensioni di importo superiore a quattro volte il trattamento minimo, calcolate in base all’aumento perequativo previsto dalle nuove disposizioni, saranno poste in pagamento con la rata di marzo 2023, che sarà comprensiva anche degli arretrati di gennaio e febbraio.

 

  1. B) Incremento transitorio dei trattamenti pensionistici pari o inferiori al minimo

Con l’obiettivo di contenere gli attuali aumenti inflazionistici, il comma 310 dispone che sulle pensioni di importo pari o inferiore al minimo sia attribuito, fino a dicembre 2024, in via eccezionale e transitoria, un incremento dell’1,5% per il 2023, che si eleva al 6,4% per i pensionati di età pari o superiore a 75 anni; per l’anno 2024, a prescindere dai limiti di età, l’incremento si eleverà ulteriormente nella misura del 2,7%.

In pratica, poiché l’importo mensile della pensione minima nel 2023 ammonta a euro 563,74, l’importo pensionistico mensile si eleverà a euro 572,20 per le persone di età inferiore a 75 anni, mentre per coloro di età pari o superiore a 75 anni la pensione mensile ammonterà a euro 599,82.

La norma precisa infine che l’incremento non rileva ai fini del superamento dei limiti reddituali per il riconoscimento delle prestazioni collegate al reddito, e che ai fini della rivalutazione delle pensioni per gli anni 2023 e 2024, il trattamento pensionistico complessivo di riferimento è da considerare al netto dell’incremento transitorio.

 C) Quota 103

Il comma 283 e seguenti dell’articolo 1 della Legge 197/2022, dispongono che, in via sperimentale, per il 2023, gli iscritti nelle gestioni previdenziali gestite dall’Inps, possono conseguire il diritto alla pensione anticipata al compimento di almeno 62 anni di età e di 41 anni di anzianità contributiva: questa pensione, comunemente chiamata “quota 103”, viene definita dalla legge “pensione anticipata flessibile”. Se tali requisiti vengono perfezionati entro il 31 dicembre 2023 il diritto può essere esercitato anche successivamente; in ogni caso la legge precisa che la pensione potrà essere corrisposta nella misura massima mensile non superiore a 5 volte il trattamento minimo: in pratica nel corrente anno 2023 tale pensione sarà erogata in misura lorda non superiore a euro 2.818,70; al compimento dell’età pensionabile di vecchiaia, viene corrisposto l’importo più alto eventualmente spettante.

La pensione “quota 103” non è cumulabile, fino alla pensione di vecchiaia, con i redditi da lavoro dipendente o autonomo, ad eccezione di quelli derivanti da lavoro autonomo occasionale, nel limite di 5.000 euro lordi annui.

Per quanto riguarda infine la decorrenza della pensione, la norma dispone quanto segue:

  • per i lavoratori dipendenti del settore privato o per i lavoratori autonomi che abbiano maturato i requisiti entro il 31 dicembre 2022, la prima decorrenza è fissata al 1° aprile 2023, mentre per chi matura i requisiti dal 1°gennaio 2023 in poi la pensione potrà decorrere dopo 3 mesi dalla data di perfezionamento dei requisiti.
  • per i dipendenti pubblici che abbiano maturato i requisiti entro l’anno 2022, la prima decorrenza è fissata al 1°agosto 2023, mentre per coloro che li maturano a partire dal 1°gennaio 2023 il diritto alla decorrenza della pensione si consegue dopo 6 mesi dalla data di perfezionamento dei requisiti; fa eccezione il personale del comparto scuola, per il quale la decorrenza coinciderà con l’inizio dell’anno scolastico successivo alla presentazione della domanda di cessazione dal servizio, che va presentata entro il 28 febbraio 2023.

Il comma 286 consente infine ai lavoratori dipendenti che abbiano maturato i requisiti per “quota 103”, ma che intendano proseguire nel rapporto di lavoro, di rinunciare all’accredito dei contributi previdenziali a proprio carico, esonerando il datore di lavoro da tale incombenza: la somma corrispondente alla contribuzione non versata sarà quindi corrisposta nella busta paga del lavoratore. Un Decreto interministeriale, che sarà emanato entro fine gennaio, detterà disposizioni per dare operatività alla norma.

 Opzione donna

Il comma 292 modifica in maniera sostanziale la cosiddetta “Opzione donna”, che consente alle donne di andare in pensione con almeno 35 anni di contributi, fruendo però del calcolo con il solo metodo contributivo.

In particolare la norma nel confermare che il diritto al trattamento pensionistico si applica alle lavoratrici dipendenti e autonome che entro il 31 dicembre 2022 abbiano maturato un’anzianità contributiva pari o superiore a 35 anni, dispone l’elevazione dell’età anagrafica ad almeno 60 anni, ridotta di un anno per ogni figlio nel limite massimo di 2 anni, purchè si trovino in una delle seguenti condizioni:

  1. assistono da almeno sei mesi, il coniuge o un parente di primo grado convivente con handicap in situazione di gravità ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 104/1992;
  2. assistono un parente o un affine di secondo grado convivente qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto 70 anni di età oppure siano anch’essi affetti da patologie invalidanti, o siano deceduti o mancanti;
  3. presentano una riduzione della capacità lavorativa pari o superiore al 74% accertata dalle commissioni per il riconoscimento dell’invalidità civile;
  4. sono lavoratrici licenziate o dipendenti da imprese per le quali è attivo un tavolo di confronto per la gestione della crisi aziendale: per queste lavoratrici la riduzione massima di due anni del requisito anagrafico di 60 anni si applica a prescindere dal numero di figli.

Si tratta di un evidente inasprimento della normativa, mentre le disposizioni precedentemente in vigore consentivano più ampi margini di accesso al pensionamento alle donne, spesso necessitate a lasciare il lavoro per dedicarsi alla cura di familiari disabili.