
Annunciata da settimane, venerdì scorso è stata pubblicata l’Esortazione apostolica Amoris Laetitia a conclusione del Sinodo dei vescovi sul tema della famiglia. Il papa ha suggerito di leggerla con calma, poco per volta, così da poter gustarne appieno i contenuti; “a caldo” è però possibile già darne qualche risonanza e suggerire qualche chiave interpretativa.
Anzitutto bisogna ricordare il contesto, ossia il Sinodo – anzi, il duplice momento sinodale, quello ordinario e quello straordinario. Papa Francesco fin dai primi giorni del suo pontificato ha voluto dare al suo ministero una forte impronta collegiale e ha voluto dedicare una prima assise ufficiale dell’esercizio di tale collegialità al tema della famiglia. Il senso è chiaro: nulla nella Chiesa va deciso in modo verticistico; occorre uno sforzo di confronto ampio affinché le soluzioni individuate possano davvero essere conformi alle domande più vere delle persone e delle comunità di oggi. Anche il tema scelto, quello appunto della famiglia, appare tutt’altro che casuale: parlare della famiglia significa parlare delle relazioni più forti che ciascuno vive, da quella marito-moglie a quella genitori-figli, per estendersi a tutte le ulteriori forme di rapporto che legano in maniera più o meno stabile le persone. Del resto, anche la Chiesa viene spesso paragonata a una famiglia (o anche a una “famiglia di famiglie”), segno di un rimando che affonda le radici nella struttura profonda dell’essere umano.
Una prima chiave di lettura della Amoris Laetitia è forse quella fornita dall’arcivescovo di Vienna card. Schönborn nella conferenza stampa di presentazione. In passato non di rado, in materia di famiglia, siamo stati abituati a dividere le situazioni in “regolari” (le famiglie cosiddette “a posto” da un punto di vista canonico) e “irregolari” (cioè tutte le altre). Occorre invece mutare lo sguardo ripartendo dal messaggio evangelico secondo cui – sono parole dell’apostolo Paolo – “non c’è più né giudeo né greco, né schiavo né libero”: tutti siamo peccatori davanti a Dio, ma redenti in virtù della misericordia del Padre. E’ dunque la categoria della misericordia quella che abbraccia tutte le situazioni; e se Dio è misericordia, la Chiesa deve necessariamente saper accogliere, non escludere. Senza dimenticare, a fronte di eventuali situazioni irregolari, il monito di Gesù: “chi è senza peccato scagli la prima pietra…”
E’ evidente che l’approccio di papa Francesco mette al primo posto la persona umana, con le sue debolezze ma prima ancora con la sua infinita dignità di figlio/a di Dio. E questo vale per tutto l’insieme delle sue relazioni, importanti nella misura in cui fanno crescere tale dignità e non solo/tanto in forza della loro conformità a regole canoniche.
Regole che pure mantengono la loro importanza. Certamente quella scelta dal papa è una “via media” tra il relativismo, che finirebbe per confondere tra loro i criteri ponendo tutto sullo stesso piano, e il rigorismo di chi pretende che la realtà sia o nera o bianca, fingendo di non vedere le molte sfaccettature di grigio esistenti tra i due colori estremi. In questo c’è un velo di autocritica nei confronti dell’approccio con cui la Chiesa era solita affrontare il tema: troppo astratto, fedele a principi e paradigmi in sé pienamente corretti ma tale da smarrire la fedeltà all’umano e all’infinita ricchezza di figure che esso reca con sé.
L’ulteriore chiave di lettura diventa quindi il discernimento. Uno dei temi più dibattuti al Sinodo è stata la possibilità circa la riammissione all’Eucarestia per i divorziati risposati e più in generale per quanti si trovano in situazioni “irregolari”. Il papa non ha dato indicazioni di principio differenti rispetto al passato, né ha voluto o prospettato innovazioni dal punto di vista canonico. Ha invece sottolineato la centralità di un profilo peraltro decisivo per qualsiasi questione relativa alla vita cristiana: il discernimento. Occorre distinguere tra situazione e situazione, in base a un approfondimento che deve aver luogo anzitutto a livello della coscienza (che è il luogo del dialogo tra la persona e Dio) e quindi con coloro che la Chiesa – e in essa il primo luogo il vescovo – prepone a tali cammini. E anche qui assistiamo a uno spostamento d’asse: dal primato della dimensione canonica (con i soli tribunali ecclesiastici abilitati a pronunciarsi in merito) a quello della dimensione pastorale. Anche questo un segnale in piena consonanza con lo stile di papa Francesco