Si è svolto mercoledì 25 maggio presso la sede delle Acli Milanesi in via della Signora 3, un incontro pubblico dal titolo: “Libertà religiosa: no grazie? Il contributo delle confessioni religiose alla promozione dei diritti fondamentali della persona”, organizzato congiuntamente dalle Acli Milanesi e dal Centro Ecumenico Europeo per la Pace.
Il titolo, come ha sottolineato nella sua relazione introduttiva il prof. Alberto Fossati, era volutamente polemico: spesso i ragionamenti sulla libertà religiosa cadono nella sterile chiusura, quasi che gli “altri” avessero diritti più limitati rispetto a “noi” – salvo poi l’imbarazzo nel distinguere con chiarezza questi rispetto a quelli. Viceversa, la libertà religiosa tocca uno dei nodi fondamentali della persona umana, cioè la sua apertura all’assoluto; occorre estrema sensibilità nei confronti dei singoli così come dei gruppi e delle organizzazioni religiose. La libertà religiosa rappresenta infatti un diritto inalienabile della persona umana, e come tale va riconosciuto sia in linea di principio, sia nelle sue specificazioni concrete.
Il dibattito si è quindi articolato attraverso il confronto di tre voci di diversa estrazione: un pastore valdese (Giuseppe Platone), un imam (architetto Mahmmoud Asfa) e un prete cattolico (don Alberto Vitali). Ciò che li accomunava era il richiamo simbolico alle “minoranze religiose” (sempre che tali si possano chiamare): i cristiani di confessione protestante, i musulmani, gli immigrati.
Platone ha fortemente richiamato il principio della laicità, in un’ottica sia ecclesiale (la Chiesa Valdese ha una struttura sinodale; organo decisionale è il Sinodo; i pastori non si configurano come istanza gerarchica, a differenza di quanto avviene nella Chiesa cattolica) sia istituzionale-politica. Le Chiese non devono chiedere favori allo Stato; e d’altra parte è indispensabile che tutte le confessioni siano poste sul medesimo piano, senza corsie preferenziali per alcuni o discriminazioni per altri.
Dal canto suo, Asfa ha posto in risalto alcuni pilastri del pensiero musulmano, a partire dall’affermazione coranica “nella religione non c’è costrizione”. Alcuni tabù vanno sfatati, ad esempio circa l’imposizione del credo o il ruolo delle donne nell’islam; quella dell’islam è al contrario una religione del dialogo, con un forte profilo identitario ma insieme capace di tendere la mano a quanti professano una fede differente. Da ultimo una necessaria sottolineatura del diritto all’espressione della fede religiosa, che deve tradursi nella possibilità di aprire adeguati luoghi di culto anche nella città di Milano.
Vitali ha infine ricordato che oggi la vera antinomia non è tra cristiani e musulmani, ma tra occidentali (Europa e Nord America) e “resto del mondo”. Lo stesso cattolicesimo è profondamente diverso se lo guardiamo con lo sguardo dei residenti di antica generazione piuttosto che delle nuove comunità di provenienza sudamericana, filippina, srilanchese, ecc. La percezione della “laicità dello stato” muta profondamente e questo ci impone di ripensare in radice le nostre categorie, in una società poliedrica e frammentata – una società “dello scarto”, ha detto più volte papa Francesco – come è quella attuale.
A conclusione del ricco confronto l’attenzione è tornata sulla figura della laicità in rapporto all’ordinamento pubblico: evitando gli estremi (negativi) del laicismo e dell’integralismo, come deve comportarsi lo Stato a fronte di una dimensione così sensibile come è quella della libertà religiosa? Ieri sera abbiamo ascoltato alcune voci provenienti da diverse confessioni religiose; è intenzione degli organizzatori tornare in un prossimo futuro sull’argomento, proponendo un secondo seminario e interpellando questa volta in maniera più diretta esperti e responsabili dell’ordinamento pubblico. Lo stesso tema, scandagliando l’altra faccia della medaglia: quali i doveri e nel caso i limiti dello Stato in vista della tutela/promozione della libertà religiosa? La materia è di estrema attualità e merita senz’altro un’ulteriore momento di approfondimento.