Di seguito riportiamo alcuni dati sulla attuale situazione delle Liste d’attesa, segnalati dal “Rapporto civico sulla salute 2022” di Cittadinanza Attiva, Corte dei Conti, AGENAS, Sant’Anna di Pisa.
Le Liste d’attesa, che erano già un grosso problema prima della pandemia, sono diventate la criticità più grave per i cittadini, in particolar modo per i più fragili, che non sono riusciti ad accedere alle prestazioni sanitarie.
I lunghi tempi d’attesa riguardano in particolar modo i seguenti casi:
- 53,1% per gli interventi chirurgici e agli esami diagnostici
- 51% per le visite di controllo
- 46,9% per le prime visite specialistiche
- 32,7% per la riabilitazione
- 30,6% per i ricoveri
- 26,5% per attivare le cure domiciliari-ADI
- 24,4% per l’assistenza riabilitativa domiciliare
Con la sospensione delle cure non urgenti (non salva vita) durante la pandemia i tempi per le prestazioni si sono allungati a dismisura, come descritto nei seguenti grafici:
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Questa drammatica situazione è il risultato di 3 anni di emergenza pandemica, che non abbiamo ancora superato, durante la quale il nostro Sistema Sanitario Nazionale universalistico, impoverito da una progressiva riduzione dei finanziamenti e del personale (blocco del turnover ed errata programmazione sui medici da formare), ha dovuto sospendere l’erogazione di molte prestazioni di cure ordinarie e di prevenzione (in particolare screening oncologici e coperture vaccinali), per dare priorità all’urgenza Covid.
Di fronte alle proposte di lunghe attese per una visita o una cura, il cittadino ha due possibilità: affidarsi alla Sanità privata pagando di tasca propria l’intero prezzo della prestazione o rinunciare a curarsi in tempi utili.
Il 54% dei cittadini ha preferito rivolgersi al privato, spendendo circa 37 miliardi nel 2021, mentre 5,6 milioni hanno rinunciato a curarsi. Solo due anni prima erano quasi la metà.
Varie sono le cause di tutto ciò:
- carenza di personale medico negli ospedali, nei Pronto Soccorso e negli ambulatori pubblici;
- 18 mila macchinari per diagnosi, come TAC e risonanze, obsoleti e spesso fuori uso, medici di famiglia, il cui numero si riduce sempre di più, che non sono stati in grado di fare filtro;
- il Covid che ha impedito l’accesso alle strutture ospedaliere e sanitarie, facendo saltare 100 milioni di prestazioni sanitarie e che ancora oggi restano in attesa di essere eseguite.
Nel 57% delle Regioni è segnalata la sospensione o l’interruzione del normale svolgimento degli screening per il tumore alla mammella, alla cervice, al colon retto.
I danni di tale interruzione della medicina preventiva li vedremo tra qualche anno.
La FAVO (Federazione delle Associazioni di Volontariato in Oncologia) ha calcolato che ogni persona affetta da tumore arriva a spendere di tasca propria 1.841 euro l’anno, parte dei quali per gli esami diagnostici.
Per uscire da questa situazione, il ministro della Salute Schillaci ha proposto di alzare l’offerta del privato e aumentare lo stipendio ai medici che accettano di lavorare per più ore di lavoro.
Proposte che sono state drasticamente bocciate dalle Associazioni dei medici pubblici.
Nel frattempo un ordine del giorno di Fratelli d’Italia approvato dal Parlamento, impegna il Governo a valutare l’opportunità di abrogare il tetto di spesa per i privati convenzionati. In una situazione di crisi economica, ciò comporterebbe un maggior finanziamento della Sanità privata a discapito di quella Pubblica.
I medici ospedalieri contestano in particolare modo la proposta di essere pagati di più in cambio di un aumento del loro orario di lavoro. Uno dei loro rappresentanti, Pierino De Silverio, segretario nazionale dell’ANAAO, dichiara:
“Non siamo addetti alla catena di montaggio ma eroghiamo cure. Vogliamo essere retribuiti per il nostro orario di lavoro ordinario e invece si avvantaggiano i liberi professionisti che con la flax tax vedono ridursi le tasse dal 41 al 15%. Un regalo alle cooperative che affittano medici a costi quadruplicati”.
L’unica soluzione per gli ospedalieri è “Assumere personale rendendo dignitoso e sicuro per tutti il lavoro in ospedale”.
Ci vorrebbero scelte economiche coraggiose sia dal Governo che dalla Regione, ma purtroppo, anche nell’ultima Legge di Bilancio non è stato previsto un effettivo finanziamento del Servizio Sanitario Nazionale.