Sarebbe sufficiente lasciarsi coinvolgere dalle drammatiche immagini dell’incessante esodo dei popoli che quotidianamente e da anni ormai migrano dall’Africa e dal Medio Oriente cercando di approdare nei Paesi dell’Unione europea, per andare oltre l’emergenza e gli aiuti umanitari, con l’urgenza di trovare vie d’uscita condivise alla crisi epocale che ci investe a causa dell’ingiustizia planetaria, fra povertà e guerre, sottosviluppo e desertificazioni.
I viaggi della speranza di Papa Francesco da Lampedusa a Lesbo, con l’appello alla presa di coscienza dell’Europa per una convivenza riconciliata nell’incontro fra etnie, culture e religioni, in una nuova stagione dell’ecumenismo che può lanciare un ponte ideale per unire popoli lontani, devono portare al superamento delle disumane condizioni di vita delle famiglie dei profughi nei campi di accoglienza e all’abbattimento dei muri che già si stanno innalzando.
Dai “Dialoghi di vita buona” della Chiesa di Milano e dal ciclo di incontri all’Università Statale e alla Bicocca su “Migrazioni e confini”, stanno emergendo analisi e proposte articolate e dialettiche sul che fare? per affrontare una “miscela di emergenze” che alimentano i populismi e la xenofobia in una realtà metropolitana investita dal meticciato e dal multiculturalismo.
La sindrome dell’invasione e dell’assedio del popolo dei migranti, degli sfollati, dei rifugiati e dei richiedenti asilo, va fronteggiata con l’accoglienza e l’integrazione, per vincere l’ostilità e l’avversione per “gli altri”, gli stranieri che “minacciano” la sicurezza e il benessere raggiunto dalla popolazione residente.
La chiusura della rotta balcanica dall’Est europeo, con l’approdo in Italia dal Mediterraneo degli immigrati dal Maghreb, dall’Africa sub-sahariana, dall’Eritrea e dalla Somalia, oltre che dal Sudest asiatico, con la Francia che chiude il valico di Ventimiglia, la Gran Bretagna che impedisce la traversata da Calais e l’Austria che innalza la frontiera al Brennero, costringe l’Europa ad uscire dai risorgenti nazionalismi per recuperare la sua anima smarrita.
Nella situazione che si sta creando, Milano e la Città metropolitana, da territori naturali di transito e smistamento dalla Stazione Centrale verso la Germania e i Paesi baltici, rischiano di trasformarsi in luoghi d’approdo e d’emergenza, in attesa del superamento del Trattato di Dublino e della determinazione delle quote di ridistribuzione dei richiedenti asilo nello spazio dell’Unione europea.
Sull’accoglienza temporanea dei profughi a Milano e sul “limite invalicabile” di assorbimento dell’area lombarda, si è aperto il dibattito fra i candidati alla carica di Sindaco della città, con veti incrociati e utopie irrealistiche, che impediscono il confronto leale e democratico fra i cittadini alla ricerca di spazi di condivisione e di ascolto, per superare le tentazioni dell’indifferenza e del rifiuto di ogni soluzione umanitaria di convivenza e solidarietà.
Il viaggio fra gli emergenti populismi europei, alimentati anche dalla vulnerabilità degli Stati a causa della scomparsa dei confini nell’Unione e in attesa del referendum “secessionista” inglese, fa emergere una tendenza alla difesa delle identità nazionali con chiusure anacronistiche e antistoriche.
Per ridurre gli esodi e intervenire sulle cause che determinano le migrazioni epocali fra i Continenti, la Comunità internazionale deve ritrovare le motivazioni che hanno consentito la creazione dell’Onu al termine del devastante conflitto mondiale, con l’obiettivo del superamento degli interessi nazionalistici in una visione di giustizia e di equa distribuzione delle risorse.
Nel Convegno all’Università Cattolica sulle Proposte per una “gestione dei flussi” dei richiedenti asilo nell’Unione europea, si sono valutate le conseguenze delle migrazioni dei popoli dai conflitti etnici e religiosi, dalle oppressioni e dal reclutamento terroristico, per realizzare interventi di partenariato con i Paesi dell’esodo finalizzati alla cooperazione e al superamento dei conflitti.
Si deve promuovere lo sviluppo economico e sociale nei Paesi di provenienza e di transito, costruendo itinerari condivisi di accoglienza e di inclusione in Europa, con l’accesso al mercato del lavoro e il riconoscimento dei diritti di cittadinanza e di protezione internazionale, nella prospettiva dell’Agenda europea sull’immigrazione e del coordinamento delle procedure d’asilo.
Se è difficile se non impossibile fare distinzioni e discriminazioni fra rifugiati, migranti economici, irregolari e “clandestini”, la politica dei rimpatri, delle espulsioni e dei ricollocamenti, va gestita con il rispetto della centralità delle persone, con particolare attenzione alle famiglie con figli che sono approdate in Europa con la speranza di un mondo migliore e di un futuro vivibile.
C’è intanto il dovere di salvare le vite in mare e dell’ospitalità nelle città di arrivo, a Milano in particolare, in condizioni rispettose della dignità dei profughi, con l’assistenza sanitaria e sociale, oltre che con la mediazione linguistica e culturale, in aggancio al volontariato delle Associazioni, con le Acli e Ipsia, per l’accompagnamento nell’emergenza umanitaria.
Da molti anni ormai abbiamo il mondo in casa, ed è quindi inevitabile prendere coscienza della necessità di scendere in campo aperto nella società multietnica e interculturale, con la consapevolezza di una nuova stagione, da vivere fra conflitti e riconciliazioni, incomunicabilità e condivisioni, nella babele delle lingue e delle tradizioni religiose, alla ricerca di una convivenza possibile nella “convivialità delle differenze”.

Non ci sono scorciatoie o vie d’uscita alternative al cambio d’epoca e alla costruzione dell’Unione europea, che deve continuare il suo percorso di riconciliazione dei popoli, sulla scia degli accordi di Schengen per la libera circolazione dei cittadini e l’accoglienza dei popoli in fuga dalle guerre.