Lorenzo Cantù: memoria di un maestro

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Lorenzo Cantù guidò le Acli Milanesi dal 1987 al 1996.

A nove anni dalla sua scomparsa Lorenzo Cantù non è uscito dal cuore e dalla memoria degli aclisti e di tutti coloro che lo hanno conosciuto: ed è ben giusto, perché in Cantù tutti coloro che lo hanno conosciuto, ed in particolare quelli che hanno lavorato con lui, hanno visto un amico ed un maestro che non si imponeva ma si proponeva con la cordialità ed insieme la discrezione che erano proprie della sua natura.

Rileggendo le brevi note autobiografiche raccolte da Costantino Corbari per il volume “Autonomia e contratti” del 2006, vediamo come l’esperienza di vita di Lorenzo, maturata nel contesto  della “sua” Ronco Briantino (la cittadina del Vimercatese dove era nato e dove ha vissuto tutta la sua vita, ricoprendo anche per alcuni anni la carica di Sindaco), sia poi bruscamente passata nei settori più innovativi dell’impresa metalmeccanica italiana, prima come allievo alla scuola professionale della Magneti Marelli di Sesto San Giovanni, poi per lunghi anni come tecnico qualificato della stessa azienda impegnato in attività di avanguardia come la ricerca sui ricetrasmettitori, i ponti radio, il potenziamento dei canali telefonici. Fra le sue attività professionali che ricordava più volentieri vi fu la ricerca sul potenziamento del segnale fra la Sicilia e la Sardegna, che lo vide distaccato per quattordici mesi ad Erice, e lo studio delle telecamere a circuito chiuso per la metropolitana milanese.

A questa attività professionale Cantù univa, sulla spinta dei suoi maestri religiosi e laici, un’intensa attività sindacale, che lo portò ad essere il primo presidente della Commissione interna della Magneti Marelli di estrazione FIM- CISL, scalzando il lungo predominio della FIOM-CGIL, cosa che, nonostante difficoltà ed incomprensioni, non gli impedì di mantenere un forte legame con le altre centrali sindacali.

All’attività sindacale Cantù seppe unire anche quella politica come Sindaco di Ronco Briantino, un’esperienza su cui mantenne sempre una certa discrezione ma che non fu priva di difficoltà: in ogni caso egli seppe mettere al servizio di tali incarichi la sua dote principale, che era la sua profonda empatia con le persone ed i loro bisogni.

Fu in questa prospettiva che nel 1968 Pierre Carniti, che gli era amico e lo stimava, gli chiese di uscire dalla produzione e di assumere l’incarico di componente della Segreteria territoriale della FIM nel momento in cui i lavoratori entravano in una rinnovata fase di lotta e di impegno per il rinnovamento sociale e politico. Cantù fu dunque in prima linea nell’ “autunno caldo” del 1969 e negli anni difficili che, a partire dalle bombe di piazza Fontana, segnarono la ristrutturazione del sistema produttivo del nostro Paese accanto all’emergere di nuovi bisogni sociali, nuovi costumi, nuove pratiche politiche, mentre il virus terroristico iniziava a serpeggiare.

Credente convinto, egli non mancò di assumersi le sue responsabilità nel momento in cui sottoscrisse l’appello dei “Cattolici per il NO” al referendum, pur essendo componente del primo Consiglio pastorale della Diocesi di Milano, ma la limpidezza della sua posizione era tale che lo stesso cardinale Giovanni Colombo lo difese da chi ne reclamava le dimissioni.

Accentuatesi le difficoltà anche umane nei rapporti interni alla FIM,  Cantù passò ad un incarico nella Segreteria confederale del neo costituito comprensorio Brianza della CISL e, dopo il pensionamento, iniziò  a collaborare con la Pastorale del Lavoro di Milano, allora diretta da don Angelo Sala, assumendo parallelamente la guida del Movimento dei lavoratori dell’Azione Cattolica ambrosiana.

Fu quello anche l’inizio della sua collaborazione con le ACLI milanesi, che lo vollero al loro XXI Congresso provinciale prima consigliere, poi componente della Presidenza ed infine, dopo le dimissioni di Corrado Barbot, l’elezione plebiscitaria a Presidente provinciale l’ 8 giugno 1987. Con questa scelta la dirigenza aclista del tempo puntò ad un maggiore raccordo con la comunità ecclesiale che già si era manifestato nella nomina dell’Incaricato arcivescovile don Gianfranco Bottoni e che ora, con la presidenza di Cantù, i cui legami anche personali con il card. Carlo Maria Martini erano ben noti, assumeva un profilo più solido.

Quello fu il Cantù che abbiamo conosciuto meglio,ed ognuno di noi porta un suo ricordo che lo accompagna e che vale anche come un monito rispetto alle tentazioni di scoraggiamento e di inutilità che si affacciano così  prepotentemente nella mente di chi svolge attività sociale e politica di fronte alle tentazioni dell’egoismo, della violenza e del nazionalismo, con certi travestimenti devozionistiche che avrebbero suscitato la dura riprovazione di un sincero e straordinario credente come Cantù.

Teniamocela cara la sua memoria, e soprattutto il suo esempio.