Memoria di un pastore e di un padre

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A dieci anni dalla scomparsa e a venti da quando lasciò la guida della Diocesi (11 luglio 2002), l'Università Cattolica con il centro di ricerca World History e il Dipartimento di Storia, in collaborazione con il Consiglio delle Chiese Cristiane di Milano, ha promosso il convegno «Carlo Maria Martini: un vescovo e la sua città»

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Foto da Chiesadimilano.it

Il cardinale Carlo Maria Martini lasciò la guida della Diocesi di Milano l’11 luglio 2002 e morì nella residenza dei Gesuiti a Gallarate il 31 luglio 2012: questo doppio anniversario non è semplicemente una concessione alla tendenza alla celebrazione degli eventi che talvolta sostituisce la capacità di immaginare e costruire il nuovo, ma indica il permanere della memoria di una persona anche oltre il passare del tempo.
Questo è stato il senso di un convegno di alto livello che si è tenuto il 9 maggio presso l’Aula Pio XI dell’Università Cattolica, che di fatto segna l’inizio delle celebrazioni per questo doppio anniversario, ed in cui qualificate personalità hanno cercato di ricostruire le molte sfaccettature del pensiero e dell’opera pastorale del card. Martini al di là delle molte ricostruzioni interessate e delle letture parziali che si sono succedute in questi anni.
Come ha affermato in apertura il Sindaco Sala, Martini è stato un punto di riferimento per la città, nella quale giunse durante l’ultima fase degli ”anni di piombo” (appena un mese dopo la sua entrata in Diocesi dovette accorrere in Università Statale per benedire il corpo esanime del magistrato Guido Galli, ucciso dalle Brigate rosse) e contribuì a superarla, fino al gesto simbolico della consegna delle armi in Arcivescovado da parte di un gruppo di terroristi. A questo hanno fatto riferimento anche padre Carlo Casalone SJ e lo storico Agostino Giovagnoli nei loro interventi introduttivi, facendo riferimento ad una delle grandi intuizioni del Cardinale, quella dell’ intercessione, ossia del sapersi mettere in mezzo alle ragioni dei contendenti senza confondere aggressore ed aggredito, vittima e colpevole, ma offrendo se stessi, la propria testimonianza, il proprio corpo come pegno di riconciliazione, replicando il gesto di Cristo sulla croce.
In termini più assertivi, l’Arcivescovo di Milano mons. Mario Delpini, che di Martini fu stretto collaboratore soprattutto nel campo della formazione dei nuovi sacerdoti, ha voluto ricordare che se ancora il nome di Martini viene richiamato nel dibattito pubblico, e le sue parole vengono utilizzate come autorevole argomento di discussione, è proprio perché il gesuita, il biblista divenuto Vescovo , si guadagnò sul campo , come esito di una “circolarità in cui entrano in gioco le qualità della persona, la convergenza del consenso, il prestigio del ruolo” , cosicché rapidamente egli divenne, da figura semisconosciuta, nota solo all’interno di un ristretto giro di studiosi, una delle figure centrali nel dibattito pubblico fuori e dentro la Chiesa, laddove la sua aspirazione era quella di “richiamare la Chiesa di Milano e tutta la Chiesa a un riferimento sostanziale alla Parola, giungendo addirittura a sognare una Chiesa tutta sottomessa alla Parola di Dio”. Più in generale Martini fu un pastore che seppe “guardare avanti”, non tanto nel senso di una banale contrapposizione fra progressisti e conservatori (facile schema in cui quest’ultimo ruolo toccherebbe a Giovanni Paolo II e a Benedetto XVI) , quanto piuttosto nella capacità di saper leggere alcun esigenze imprescindibili della Chiesa e della società, a partire dall’importanza del cammino sinodale come metodo, dell’intuizione della Milano multietnica, multireligiosa, multiculturale e per l’attenzione prioritaria riservata alla singola persona, alla capacità di interlocuzione con chiunque volesse aprirsi al confronto.
In ciò, forse, ha proseguito lo storico Andrea Riccardi (che conosceva bene Martini da prima che venisse chiamato alla cattedra di Sant’Ambrogio), c’è stata un’evoluzione della figura umana del cardinale, dallo studioso timido al pastore aperto alla dimensione della città in ogni suo aspetto, passando attraverso l’esperienza del coinvolgimento del lavoro nelle periferie mediato dalla Comunità di Sant’Egidio a Roma (di cui Riccardi è stato fondatore) , portando la sua fondamentale ispirazione biblica – che non lo ha mai abbandonato – nella prassi pastorale della più grande Diocesi d’ Italia, costruendo quel cammino progressivo che dalla dimensione contemplativa della vita e dalla primazia della Parola portò poi alla questione della carità (assistenziale, sociale e politica) capovolgendo uno schema che il clero e il laicato ambrosiani avevano forse più familiare.
Riccardi non ha taciuto poi gli aspetti più delicati dei rapporti di Martini con Giovanni Paolo II (che mai si pentì di averlo mandato a Milano, e rifiutò sempre le dimissioni che il Cardinale offrì prima del compimento dei 75 anni) e con Benedetto XVI, con il quale ebbe sempre un confronto franco e leale prima e dopo la sua ascesa al pontificato fino ai due ultimi incontri – a Roma nel 2011 e a Milano nel 2012, pochi mesi prima della morte di Martini- che in qualche modo furono prodromici alla drammatica scelta del Papa tedesco di rinunciare al suo incarico. Nello stesso tempo, Riccardi ha anche smentito una sovrapponibilità della posizione di Martini a quella del suo confratello gesuita Bergoglio, forse per questioni risalenti alle dinamiche interne alla Compagnia di Gesù negli anni Settanta del secolo scorso ( a margine del convegno tuttavia alcuni hanno manifestato perplessità rispetto a questa ricostruzione).
Interessante anche il rilievo dato alla volontà di Martini, nel periodo immediatamente successivo alla fine dell’Unione Sovietica, di mantenere un legame con il Patriarcato ortodosso di Mosca nel momento in cui alcuni a Roma sembravano propendere per un tentativo di maggiore penetrazione del cattolicesimo in terra russa: l’attività di Martini fu quella di mettere a disposizione aiuti materiali ad una Chiesa e ad una popolazione che necessitavano di tutto, e a tale proposito Riccardi ha ricordato come le ACLI milanesi abbiano svolto un prezioso ruolo di strumento di tale attività caritativa, richiamata anche in altri interventi.
Di taglio teologico l’intervento di mons. Pierangelo Sequeri, il quale con grande finezza ha ricordato che la cifra che contraddistingue la teologia di Martini consiste nell’”aiutare il credente a pensare e tutti a pensare tout court, secondo un canone biblico che è lingua materna dell’umano”.
Fra gli altri interventi quello di don Gianfranco Bottoni, che fu incaricato arcivescovile per le ACLI milanesi ed in seguito responsabile diocesano per l’Ecumenismo, che ha sottolineato la centralità del problema della ricomposizione dell’unità dei credenti nell’agenda di Martini, anche in funzione dell’affrontamento di problemi centrali per tutta l’umanità come la pace, la giustizia e la salvaguardia del Creato, secondo la formula della grande assemblea ecumenica europea del 1989 (poco prima della caduta del Muro di Berlino). Dal canto suo don Virginio Colmegna, presidente della Fondazione Casa della Carità “Angelo Abriani” ha rievocato il suo legame personale con il Cardinale, che gli ha fatto riscoprire la “gioia di essere prete” dopo un periodo difficile, e che gli ha accordato la sua fiducia prima chiamandolo alla guida della Caritas diocesana e poi ad iniziare il progetto della Casa della Carità.
Non mancheranno altre occasioni di incontro sulla figura del Cardinale nel corso di quest’anno, ma si può dire con sicurezza che l’inizio è stato di altissima qualità.