Finalmente è arrivato maggio; è ora di partire per i Balcani!
Ma se è vero che un viaggio inizia quando si decide di partire, allora il mio è iniziato ben prima della primavera, quando questa esperienza mi è stata proposta. Da allora, ho custodito nel cuore il desidero di conoscere quelle terre così vicine all’Italia da essere visibili all’orizzonte nelle giornate serene, a cui la storia ha riservato però un corso diverso dal nostro, e di incontrare la sua gente.
L’itinerario tracciato è ambizioso: in una settimana, avremmo attraversato tre dogane e visitato quattro Stati, l’Albania, il Montenegro, il Kosovo e la Macedonia. A farci da guida, tra i meandri del passato e le prospettive future dei Balcani meridionali, Silvio Ziliotto, amante di quei popoli e cultore della loro vasta produzione artistico-letteraria.
L’itinerario del nostro viaggio nei Balcani
La nostra prima tappa è stata l’Albania, impegnata, il giorno stesso del nostro arrivo, a festeggiare la giornata internazionale del jazz. Per l’occasione, era stato allestito un vecchio treno d’epoca con a bordo musicisti e ballerini che, a ritmo di jazz, avrebbe collegato Tirana a Scutari, la nostra destinazione.
Scutari ci ha accolto con un caldo torrido e il sorriso di Marjan, responsabile dei progetti Ipsia in Albania e nostra guida per due giorni.
Ancora accaldati dai balli, abbiamo visitato il Museo dei crimini della dittatura comunista, che ci ha immediatamente introdotti nella storia recente di questi paesi, spesso ignorata.
Il percorso espositivo è stato concepito come un viaggio simbolico in una galleria con una lunghezza di circa 50 m che, ripercorrendo la distanza attraversata dai detenuti, dalle celle destinate alla carcerazione preventiva conduce fino alle carceri.
Le stanze spoglie e il silenzio surreale dei loculi restituisce in maniera emblematica l’isolamento imposto dalla dittatura comunista – che in Albania ha spadroneggiato dal 1944 fino al 1990 – a danno della popolazione, che solo negli ultimi anni ha potuto riaffacciarsi al mondo alla ricerca di un proprio status.
Il giorno seguente abbiamo finalmente visitato la città di Scutari. Situata nell’Albania nord-occidentale, tra le sponde del Lago di Scutari, vicino ai fiumi Drin, Buna e Kir, nelle vicinanze delle Alpi dinariche, Scutari è considerata la culla della cultura albanese o la Firenze dei Balcani.
Ottimo esempio di convivenza interreligiosa, la città ospita luoghi di culto di differenti confessioni: la Cattedrale ortodossa della natività del Gesù, la Cattedrale Cattolica di Santo Stefano e la Moschea dei Piombi, edificata in stile ottomano sul modello della Moschea Blu di Istanbul.
Come ci hanno a turno ripetuto il Pope, l’Imam e la responsabile del Museo della Cattedrale Cattolica, è il rispetto delle identità di ciascuno a rendere possibile la pacifica convivenza delle diverse comunità, i cui membri si riconoscono anzitutto come figli e figlie dello stesso Dio, e quindi fratelli e sorelle.
Ma Scutari è anche la città dei contrasti: l’ordine e la tranquillità delle colorate vie del centro – affollate di bar e negozietti di souvenir come ogni cittadina turistica che si rispetti – lasciano spazio alla sporcizia e alla povertà degli affollati campi rom, nascosti negli anfratti delle periferie.
Bimbo che gioca tra i cassonetti. Scutari, Albania.
E proprio della condizione delle fasce sociali dei più fragili abbiamo parlato nel pomeriggio presso il centro culturale ARKA, istituito da Ipsia, insieme all’assessore al Welfare della città di Scutari, Filip Vita.
I servizi sociali sono una realtà nuova in Albania, che deve ancora trovare la sua giusta declinazione nel contesto in cui si propone di operare. Una realtà su cui però Ipsia ha deciso di investire, consapevole che la città potrà migliorare solo se si permetterà a ogni suo cittadino l’opportunità di sviluppare al meglio le proprie potenzialità.
L’indomani abbiamo ripreso il nostro viaggio, per raggiungere il Montenegro. La natura rigogliosa e lussureggiante che scorreva dai finestrini del pullman ci ha svelato l’origine del nome di questa giovane nazione, legata appunto al manto nero dei boschi di conifere.
Ottenuta l’indipendenza dalla Serbia nel 2006, grazie a un voto referendario, il Montenegro è ora il feudo di un Presidente–dittatore, Milo Djukanović, incriminato dai tribunali italiani per traffico di droga, contrabbando di sigarette e armi.
Prima sosta montenegrina è stata Kotor, antico gioiellino patrimonio dell’Unesco, appoggiato su un piccolo altipiano affacciato sul Mar Adriatico. Le caratteristiche geo-morfologiche di Kotor, uno dei migliori porti naturali del Mar Mediterraneo, insieme alla sua facile difendibilità, ne hanno fatto un importante punto strategico illirico e greco prima, romano e bizantino poi. Tra il XV e il XVIII secolo Kotor appartenne alla Repubblica di Venezia, come testimonia la sua architettura dei palazzi in stile barocco. Fu poi un’inespugnabile base navale dell’Impero austro-ungarico prima di essere inglobata, nel 1918, nella neonata Jugoslavia.
Prima del pernottamento in uno dei tre parchi naturali della regione, quello di Lovcen, abbiamo visitato l’antica capitale del Montenegro, Cetinje. Tra il XIX e il XX secolo, la città è stata uno dei centri propulsori della politica internazionale del Vecchio Continente, ospitando ben 12 ambasciate. Cetinje ha inoltre dato i natali alla regina Elena, moglie di re Vittorio Emanuele III e grande filantropa. Oggi il tempo sembra essersi fermato a Cetinje: le vie del centro, di un suntuoso decadentismo, raccontano l’antico splendore passato, che il presente non riesce però a onorare. Come ci ha racconto Ivana, una ragazza montenegrina che ha lavorato in a Expo 2015 e che abbiamo conosciuta la sera stessa, Cetinje non è in grado di offrire possibilità di lavoro e di svago ai suoi giovani, che quindi sono costretti – loro malgrado – a costruirsi un futuro altrove.
Ormai a metà del nostro viaggio nei Balcani meridionali, ci siamo diretti verso il Kosovo, costeggiando le profonde gole delle montagne montenegrine, attraversate da impetuosi fiumi cristallini.
Regione più povera dell’Europa – come già della Jugoslavia di cui faceva parte -, il Kosovo è un piccolo Stato auto-proclamatosi indipendente dalla Serbia nel 2008, che continua però a considerarlo una sua provincia autonoma.
Alla complessa e intricata situazione politica si aggiungono gli strascichi della lacerazione del tessuto sociale prodotta dal conflitto che ha martoriato il paese sul finire del secolo. L’odio e il rancore sono ancora così vivi da impedire ancora oggi il dialogo tra le diverse comunità etniche e religiose che spesso abitano la stessa città, come ci hanno spiegato i ragazzi di Ipsia impegnati in loco.
Strumento privilegiato dai volontari per integrazione è lo sport e il gioco, che diventa per i ragazzi del posto un luogo di incontro, conoscenza e scoperta reciproca. Il lavoro da fare per ricostruire la pace è ancora molto, ma l’entusiasmo di chi si adopera a tal fine non manca di certo, e fa ben sperare.
Lo stesso entusiasmo dei volontari di Ipsia lo ritroviamo negli occhi dei responsabili della cooperativa agricola di Mamusha, che abbiamo avuto la fortuna di incontrare il giorno seguente. Mamusha è un piccolo villaggio turco di 300 abitanti nelle campagne alla periferia di Prizren. Qui Ipsia ha messo a punto un progetto che ora cammina sulle sue gambe – perché la cooperazione deve sollecitare l’autonomia dei beneficiari, altrimenti scade nell’assistenzialismo – e dà lavoro a una cinquantina di persone, dedite alla coltivazione e alla lavorazione di cetrioli e peperoni.
Con grande piacere, ci fanno assaggiare i loro prodotti. Facciamo fatica a comunicare verbalmente, ma la lingua della gratitudine è universale. Ci salutiamo con l’augurio che le loro speranze di aprirsi al mercato internazionale possano presto trovare riscontro.
Ma il piccolo e non ancora pienamente riconosciuto Kosovo è anche sede di gioielli storico-artistici internazionali. A Dečani , immerso in un folto castagneto, si erge infatti il monastero della Chiesa Ortodossa Serba Visoki Dečani, Patrimonio dell’Unesco. Fondato nel XIV secolo dal re serbo Stefano Dečanski, del quale sono conservate e venerate in loco le spoglie, il monastero contiene il più grande affresco bizantino che si è conservato fino a noi. La sacralità e l’austera sontuosità del sito hanno fatto sì che questo monastero faccia parte del Patrimonio mondiale dell’UNESCO.
Di notevole bellezza è anche Prizren, città delle quattro religioni. Sorvegliata dall’alto da un’antica fortezza serba e capeggiata da ben 36 moschee, Prizren sorge probabilmente sulla città romana di Theranda; nel IX sec. l’area fu sottoposta al dominio bulgaro, successivamente passò nelle mani degli Ottomani fino alla prima guerra balcanica, in seguito alla quale venne annessa al Regno di Serbia.
Il cuore di Prizren è attraversato da un fiume, le cui acque veloci scivolano su un letto di sassi, sotto ponti che incrociano in più parti della città. Con il suo stupefacente mix di architettura ottomana e bizantina, la città è un vero e proprio museo a cielo aperto.
La moschea vista dal ponte ottomano. Prizren, Kosovo.
Ultima tappa del nostro tour balcanico è la Macedonia. La sua capitale, Skopje, dominata da una croce di oltre sessanta metri posti in cima al monte Vodno che la sovrasta e attraversata dal fiume Vardar, ha subito nel tempo la dominazione romana, bizantina e ottomana. Rasa al suolo da un terribile terremoto nel 1963, oggi è una città monumentale dalle anime diverse: l’antico bazar ottomano, il più grande dei Balcani, escluso quello di Istanbul, convive con chiese bizantine riccamente decorate e imponenti moschee.
Skopje è anche la città che ha dato i natali a Madre Teresa di Calcutta, la piccola grande missionaria della carità, di cui abbiamo avuto l’onore di visitare la casa.
La casa di Madre Teresa. Skopje, Macedonia
Non poteva mancare nel nostro viaggio una visita alla cittadella patrimonio dell’Unesco di Ocrida, affacciata su un lago anch’esso patrimonio dell’Unesco in virtù delle specie uniche al mondo che ospita.
Ocrida ospitò antichissimi insediamenti illirici e in seguito greci, per divenire in età medievale uno dei centri culturali, religiosi e artistici più importanti della Penisola Balcanica e dell’Europa slava, tanto da essere conosciuta come la Gerusalemme slava. Insediamento turco dalla fine del XIV secolo fino agli inizi del ‘900, divenne poi parte della Serbia e quindi del Regno di Jugoslavia.
L’importanza di Ocrida risiede anche nel fatto che si ritiene che qui abbia avuto origine l’alfabeto cirillico, probabilmente ad opera di San Clemente di Ocrida, che riformò l’antico alfabeto glagolitico creato dai Santi Cirillo e Metodio.
Lungolago di Ocrida. Ocrida, Macedonia
Prima del rientro a casa abbiamo modo di visitare Tirana, ex protettorato italiano dal 1941 al 1945, e città ancora oggi fortemente influenzata dalla nostra penisola.
Ma viaggi di questa portata non terminano con il volo di ritorno: i volti incontrati continuano a parlare e interrogare; i luoghi visitati chiedono di essere raccontati e testimoniati.
I Balcani sono stati per me inaspettati e sorprendenti. Terra di contrasti e di convivenza, di confini e di prospettive, capaci di entusiasmarti e di lasciarti al contempo con l’amaro in bocca.
A casa, occorre fare ordine nei pensieri, e lasciare che il desiderio iniziale di conoscere queste terre sedimenti, e faccia i suoi frutti.
Cecilia Leccardi