Non è questione di forma

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Con il Motu proprio Traditionis custodes Papa Francesco stabilisce regole nuove per le messe in latino

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Foto di Ramon Perucho da Pixabay

Il 16 luglio scorso papa Francesco ha emanato un Motu proprio intitolato Traditionis custodes  (TC) nel quale vengono precisate alcune condizioni per la celebrazione della Messa secondo il rito promulgato da Pio V dopo il Concilio di Trento e modificato da ultimo da Giovanni XXIII nel 1962 alla vigilia del Concilio Vaticano II .

In particolare, il Motu proprio odierno corregge alcuni aspetti di quello intitolato Summorum pontificum  (SP) emanato nel 2007 da Benedetto XVI, che di fatto concedeva ad ogni sacerdote cattolico la possibilità di celebrare con il Messale antico che veniva definito “forma straordinaria” del Rito latino mentre il Messale del 1969 emanato da Paolo VI a seguito del Vaticano II ne è la “forma ordinaria”. L’obiettivo del Pontefice tedesco era quello di arrivare ad un’integrazione se non delle due forme del rito, come pure auspicava, almeno delle persone che tale rito seguivano, in modo da ricondurle all’interno della comunità ecclesiale senza che esse si sentissero spinte verso gli scismatici della Fraternità San Pio X di mons. Lefebvre o addirittura verso i sedevacantisti. Tuttavia, a coloro che volevano costituire comunità permanenti o addirittura parrocchie personali di fedeli alla forma straordinaria , e ai sacerdoti che per costoro celebravano, veniva chiesto esplicitamente di riconoscere la validità di tutti i decreti conciliari ed in particolare la piena legittimità della forma ordinaria, cioè quella seguita in pressoché tutte le parrocchie e le cappelle della cristianità latina.

Questo auspicio di pacificazione si infrangeva immediatamente: non a caso un esponente di primo piano della Fraternità lefebvriana annunziava che da quel momento in poi sarebbe scoppiata “una grande guerra” in tutte le parrocchie del mondo per stabilire la supremazia dell’uno o dell’altro Messale. Una guerra peraltro che non c’è stata, o comunque non nei termini millenaristi che i tradizionalisti più fanatici si attendevano: diciamo che essa ha riguardato alcune realtà e meno altre. In Italia ad esempio l’impatto di SP è stato minimo, l’unica parrocchia personale che è stata costituita, se non andiamo errati, è quella della Trinità dei Pellegrini a Roma, e altrove vi sono dei semplici centri di Messa che comunque sono stati costituiti in accordo con i Vescovi locali (in tutta la Diocesi di Milano, ad esempio, sono quattro, e solo per le celebrazioni festive: non moltissimo, per una delle più grandi Diocesi cattoliche del mondo).

Ma vi sono effettivamente luoghi in cui la celebrazione della Messa secondo il rito antico è stata occasione per una sorda divisione della comunità ecclesiale (come del resto paventava, all’indomani dell’emanazione di SP , anche un prelato per nulla progressista come il card. Camillo Ruini ), soprattutto per il costante tono polemico del confronto che ha messo in discussione non solo la forma liturgica ordinaria – l’irritante attitudine di molti dei sostenitori dell’antico rito di parlarne come la “Messa di sempre”o addirittura la “Messa di Gesù Cristo” implica una chiara svalutazione del significato e della validità stessa del Messale di Paolo VI- ma più in generale il Concilio in quanto tale, il suo impianto teologico e pastorale e,  dal 2013 in poi, la persona stessa del Pontefice, in un crescendo sconcertante in cui persone che avevano sempre sostenuto un’adesione acritica al magistero petrino cercavano ogni scappatoia possibile, sul piano dialettico e teologico, per non obbedire al Successore di Pietro attualmente in carica, al punto tale da arrivare a dare credito alle insinuazioni su di una fantomatica invalidità dell’abdicazione di Benedetto XVI.

Ciò è evidente, ad esempio, negli Stati Uniti, dove la sistematica volontà di promuovere all’episcopato soltanto personalità legate ad un’interpretazione riduttiva del Concilio e orientate a quell’attitudine di cultural warriors contro la modernità – che già impensieriva lo stesso Benedetto XVI- ha prodotto una situazione di polarizzazione in cui (lo ha rilevato anche un tradizionalista a tutta prova come lo storico Roberto De Mattei) si è arrivati a identificare completamente la difesa della (pretesa) Tradizione cattolica con battaglie di ordine schiettamente politico, accedendo ad una visione complottista ed apocalittica che finisce per coinvolgere anche la pandemia e la campagna vaccinale- viste come l’occasione per imporre un fantomatico Great Reset- ed identificando nell’ex Presidente degli USA Donald Trump (un personaggio la cui dimensione spirituale e religiosa è assai labile) in una sorta di equivalente secolare dell’aracangelo Michele che guida le schiere celesti contro quelle infernali. In questo senso, è paradigmatica la figura dell’ex Nunzio apostolico Carlo Maria Viganò, diventato – probabilmente perché manipolato da ben individuati settori politici ed economici- il punto di riferimento di tutti i nemici di papa Francesco con le sue epistole dai toni terroristici che, non a caso, dalla semplice contestazione di alcuni atti del Pontefice sono arrivate ormai alla rinnegazione pura e semplice dell’evento conciliare.

Si comprende dunque come nel Motu proprio il Papa affermi che “È sempre più evidente nelle parole e negli atteggiamenti di molti la stretta relazione tra la scelta delle celebrazioni secondo i libri liturgici precedenti al Concilio Vaticano II e il rifiuto della Chiesa e delle sue istituzioni in nome di quella che essi giudicano la ‘vera Chiesa’. Si tratta di un comportamento che contraddice la comunione, alimentando quella spinta alla divisione”. 

Si comprende anche perché egli senta il bisogno di mettere i puntini sulle i, ricordando che l’unica forma liturgica della Chiesa latina è il Messale di Paolo VI (superando così l’artificio delle “due forme”) ; che il supremo liturgo di ogni Diocesi è il Vescovo e l’uso del Messale antico può essere autorizzato soltanto da lui; che non possono dirsi cattolici coloro che rifiutano il Magistero conciliare, che poi è quello di tutti i Pontefici da Giovanni XXIII in poi; che i vari Istituti religiosi che usano esclusivamente il rito antico dovranno essere sottoposti alla giurisdizione ordinaria della Congregazione per i religiosi e non a qualche compiacente ufficio di Curia.

Le reazioni al Motu proprio sono peraltro una dimostrazione clamorosa della verità intrinseca alla scelta compiuta da Francesco: da un lato si protesta per l’atto liberticida, dall’altro si assicura che, sì, effettivamente l’attaccamento al Messale di Pio V è in se stesso un rigetto del Concilio, e gli insulti che si rivolgono oggi al Papa sono gli stessi che gli venivano rivolti precedentemente, a segno di uno smarrimento prima di tutto intellettuale e poi teologico, giacché a questo punto , tagliati fuori dalla Tradizione autentica (quella che ormai ingloba anche il Vaticano II) questi ultratradizionalisti sono diventati magistero a se stessi, compiendo così lo stesso cammino verso lo scisma e l’eresia che essi hanno imputato a Lutero e agli altri riformatori. Come ha ricordato l’autorevole giornalista cattolico inglese Austen Ivereigh: “Affermare che TC spingerà alcuni tradizionalisti ad andarsene dalla Chiesa significa solo che essi sono già scismatici, anche se dicono di non esserlo, a onta dell’incessante retorica antipapale e anti – Vaticano II che esonda dai loro blog e siti web. Inoltre, gli abusi liturgici postconciliari non sono la “causa” di questo scisma, ma il “pretesto”, perché anche il Papa deplora tali abusi, i quali però non giustificano il rifiuto della riforma liturgica ma addirittura del Concilio nel suo complesso”

Più in generale, è abbastanza facile vedere quali siano gli interessi economici e politici dietro l’offensiva tradizionalista – che, ad onta del rumore che solleva, non può in alcun modo definirsi fatto di popolo- e che nascono essenzialmente dalla percezione della potenzialità esplosiva di questo pontificato e dei processi che esso sta aprendo , anche oltre le aspettative di qualcuno che pretendeva che il Papa combattesse le battaglie che aveva in mente lui.

Proprio per questo è necessario che all’interno della comunità ecclesiale cresca la consapevolezza di essere all’altezza delle sfide del momento presente, attingendo dalla Tradizione autentica sia la lex orandi che la lex credendi e cercando di tradurla in atto nella vita quotidiana guidati dal  magistero di papa Francesco e dei suoi predecessori.