Papa Francesco ha indetto un Anno speciale di San Giuseppe

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In questo difficile tempo il Pontefice sceglie di dedicare un anno alla "straordinaria figura, tanto vicina alla condizione umana di ciascuno di noi".

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San Giuseppe col Bambino Guido Reni, 1635

L’8 dicembre, in occasione della pubblicazione della “Patris corde – Con cuore di Padre”, la lettera apostolica per i 150.mo anniversario della dichiarazione di San Giuseppe quale Patrono della Chiesa universale, papa Francesco ha indetto un anno dedicato proprio al Santo. Una scelta con cui il papa vuole rimarcare l’importanza delle persone comuni, soprattutto in questo tempo di pandemia.

Ma cosa intende veramente Francesco con questa scelta? Lo spiega al GdL don Alberto Vitali, incaricato arcivescovile per le Acli

Sono molto contento della proclamazione dell’anno di San Giuseppe, perché uno dei mei santi preferiti. Credo che già dal titolo della lettera Con cuore di padre il papa si prefigga di indicare una riconciliazione tra le diverse facoltà della persona umana, che per certi aspetti giustamente, ma forse in maniera esagerata, in Occidente nell’epoca moderna, abbiamo fin troppo dissociato: l’aspetto culturale, l’aspetto volitivo e quello affettivo, il mondo delle emozioni, grazie anche alla psicoanalisi, li abbiamo separati fra di loro. Questo però poi nella realtà concretamente non avviene: noi pensiamo di essere razionali quando in realtà il più delle volte ci lasciamo dettare le nostre azioni dalle emozioni del momento. Basta vedere quello che succede a livello politico, o nell’ambito commerciale con la preponderanza della pubblicità che è giocata tutta sulle emozioni. Noi abbiamo però la presunzione di saper distinguere questi momenti, siamo convinti di diventare più professionisti nel modo di gestire la nostra vita. Il rischio in realtà è proprio l’opposto: quello di creare delle dissociazioni che se non arrivano a delle vere e proprie forme di scissione psicologica, poco ci manca.

Rischiamo la perdita dell’idea dell’unità della persona. A livello analitico possiamo distinguere i vari momenti, ma poi dobbiamo anche fare sintesi. L’analisi non basta, serve la sintesi per cogliere l’insieme, l’unità della persona e non solo l’unità del corpo individuale ma anche l’unità del corpo sociale. Papa Francesco viene “dai confini del mondo”, da un continente dove al contrario la dimensione emotiva è molto forte sia dal punto di vista del vissuto della gente, che dal punto di vista delle scienze sociali. In Argentina infatti la psicologia è molto più avanzata rispetto all’Italia e all’Europa, e questo probabilmente è un primo segnale forte che il papa vuole dare con la scelta della figura di Giuseppe.  Riuscire a fare sintesi, a ricomporre le diverse dimensioni della persona per non perdere di vista che l’uomo è un tutt’uno e che l’uomo è un progetto, che Dio ha fin dal momento della creazione, che però non vuole realizzare in maniera automatica come se noi fossimo delle marionette. Qui ci sta tutto il tema della nostra libertà per cui Dio crea un incompiuto perché poi si compia serve la persona. Dio non ci crea definitivamente ma dal momento in cui ci crea geta le basi perché ciascuno possa realizzarsi. Ecco l’esempio di Giuseppe che tra tutti è quello più normale dal punto di vista umano. Gesù è un outsider, perché possiede la natura divina ma anche Maria non scherza: è stata concepita senza peccato originale e invece il buon Giuseppe è quello che ci assomiglia di più.

San Giuseppe è l’uomo che accetta il disegno di Dio su di lui, è l’uomo che accoglie Maria, che disubbidisce alle leggi degli uomini non ripudiandola, è il padre di Gesù silenzioso, ma presente, è l’uomo che lavora. E’ un uomo che  in modo discreto e nascosto partecipa della storia della salvezza. Cosa ci insegna oggi Giuseppe, in questo tempo così strano, in cui anche i nostri semplici comportamenti, hanno ripercussioni importanti sulla vita di chi ci è accanto?

Giuseppe non è senza dubbi. Il Vangelo di Matteo ce lo presenta come un uomo con molti dubbi su come comportarsi con Maria, dal momento che scopre che è incinta. Ed è questo che lo fa grande. Non è l’uomo che ha vissuto una fede cieca, foss’anche di quella cecità delle persone talmente semplici che non si fanno problemi, al contrario è un uomo che è capace di mettersi in discussione, di mettere in discussione l’educazione che ha ricevuto, di mettere in discussione la stessa interpretazione della religione, ricordandoci in questo che è molto più facile dirlo che farlo: noi tutti diciamo che siamo delle persone critiche, dei rivoluzionari, ma non è vero. Siamo rivoluzionari e critici rispetto a ciò che non ci piace, ma poi ognuno di noi ha il pacchetto delle proprie certezze che tiene ben stretto. Giuseppe invece è capace proprio di mettersi in discussione perché mette in discussione non solo l’interpretazione canonica della legge di Dio,  ma mette in discussione il proprio onore. Giuseppe è capace di rischiare di perdere la faccia, è capace di mettere l’amore per Maria al di sopra del proprio orgoglio ferito. Quando Giuseppe prende questa decisione infatti non sa ancora che Maria non lo ha tradito. Giuseppe è capace però di mettere il bene dell’altro, in questo caso di Maria, al di sopra del proprio orgoglio. Questo ci dice nel nostro difficile tempo, che non si può pensare solo al proprio bene ma anche e soprattutto al bene degli altri. Vuol dire recuperare quelle relazioni di cui Francesco parla diffusamente proprio nell’enciclica Fratelli tutti, cioè di comprendere la responsabilità reciproca perché siamo dentro una rete di relazioni e siamo tessitori di relazioni in una maniera tale per cui il bene dell’altro è anche il mio bene, anche se non nel mio interesse immediato.

La figura di Giuseppe poi è grande proprio perché è uno che fa e non parla, parla ancora meno di Maria. In realtà nei Vangeli Giuseppe non parla: in un mondo in cui troppi parlano e non fanno, Giuseppe è esattamente l’emblema del contrario: non della persona semplice che fa quel poco che può fare in maniera umile, è l’emblema della persona che è capace di mettersi in discussione e quindi mette in discussione il sistema, perché è capace di mettere in discussione se stesso. Non parla perché non gli serve parlare, agisce e il suo modo di agire in definitiva diventa un discorso molto più forte.