“Caro Alberto, questa notte ho fatto un sogno. Ah sì? Che tipo di sogno? Un sogno strano? Beh, non tanto strano per me che leggo tanta fantascienza, del genere catastrofico. Una mattina di fine inverno dello scorso anno mi sono svegliato in un mondo che non era più quello di prima. Un virus chiamato Corona, che attaccava i polmoni, dalla Cina aveva cominciato a diffondersi all’inizio in Lombardia e poi in tutte le nazioni della terra. L’unica difesa dal contagio era stare in casa. Le scuole, le fabbriche, persino le chiese vennero chiuse. Gli studenti seguivano le lezioni dal computer di casa, col telelavoro gli adulti facevano lo stesso; anche le funzioni religiose venivano trasmesse in streaming. Anche il calcio sospese le partite. Le uniche attività produttive autorizzate erano il settore agro alimentare, il farmaceutico e i trasporti pubblici. Sulle strade solo i mezzi della protezione civile e delle forze dell’ordine. Con l’autocertificazione si poteva uscire solo per andare a fare la spesa; al supermercato si entrava distanziati uno dall’altro con guanti e mascherine, anche in farmacia si faceva la coda. Per gli anziani i Comuni provvedevano con volontari alla distribuzione a domicilio di cibo e farmaci. Ma il contagio non si fermava. Le sirene delle ambulanze erano la colonna sonora spaventosa di giorni e notti. Il vaccino non esisteva per questo virus sconosciuto, la gente si ammalava, e rimaneva in casa fino alla crisi respiratoria. I pronto soccorso erano presi d’assalto, rianimazioni e terapie intensive scoppiavano. Medici e infermieri ospedalieri facevano miracoli, ma i morti aumentavano paurosamente, soprattutto anziani. Anche nelle case di riposo ospiti e personale, senza dispositivi di protezione, morivano come mosche. La medicina territoriale, indebolita da scelte politiche sbagliate del passato, qui in Lombardia, non poteva fare molto. La gente moriva anche e soprattutto in casa. Era un inferno. Le bare si accatastavano nelle chiese e nei magazzini, le salme venivano cremate in maggioranza. Anche medici, infermieri e sacerdoti, esposti al virus, morivano. E all’interno delle abitazioni erano costretti a vivere insieme genitori e figli 24 ore su 24. Chissà quanti sarebbero state tra un anno le nascite e i divorzi… Sì, perché si pensava che nel 2021 la vita sarebbe ricominciata. Intanto, alle 18 l’appuntamento fisso alla televisione per la tragica conta dei deceduti. E il tempo che prima non bastava mai, adesso, non occupato dalle incombenze consuete, in abbondanza permetteva di pensare al senso delle cose, a come stavamo consumando la vita. E poi, tutti i media a chiedersi perché era successo. Dove aveva sbagliato il mondo a smettere di girare nel verso giusto, per vedersi capitare addosso questo male. In tutta le nazioni della terra quarantene, con scoppi di violenza per la sopravvivenza, generati dalle diseguaglianze economiche e sociali. Il sistema di sviluppo infinito venne messo in discussione e addirittura imputato di essere il responsabile. L’inquinamento ambientale, gli allevamenti intensivi, la deforestazione, gli incendi, la distruzione delle biodiversità, la corsa insensata verso il baratro senza rete di protezione, le guerre infinite, l’indifferenza alla povertà e all’ingiustizia. La mancanza di una classe dirigente all’altezza della situazione. Una sola figura si alzava con gesti e parole al di sopra di tutti: un uomo di Dio di nome Francesco, che in quei giorni bui riusciva a infondere speranza, luce nelle tenebre. Amico mio, caro diario, adesso ti devo dire come penso che andrà a finire, una volta passata la nottata del coronavirus, perché, col vaccino lo sconfiggeremo. Quando tutto ciò sarà finito, diciamo tra un anno esatto, 16 aprile 2021, saremo profondamente cambiati. Molte persone saranno spinte verso le soglie di povertà e si vedranno costrette a concentrarsi sull’essenziale, lasciando perdere il superfluo. Quando tutto sarà finito saremo maggiormente consapevoli che la Natura non è altro da noi, ma che ne facciamo parte integrante; avremo capito che non ci conviene manipolarla e saccheggiarla come stavamo facendo da un paio di secoli, pena la scomparsa del genere umano. Quando sarà finita avremo imparato la confidenza con la morte; non siamo immortali, anche se ci comportavamo come se lo fossimo. Il Corona è stato un salutare memento mori. Insomma, sono convinto che quando tutto ciò sarà finito ne usciremo migliorati. Almeno per un po’ di tempo. Ah, non per sempre? No, caro diario, perchè noi umani, per vivere, abbiamo bisogno di dimenticare: una memoria eccessivamente rivolta al passato con i suoi dolorosi ricordi, non è una buona compagna di viaggio. Capito mi hai? E’ tardi, ora spengo il pc e vado a letto. Lasciami dormire, che domani è un altro giorno, e mi aspetta la prima ora agli studenti della terza C. Tuo Alberto.”
Dal Diario di Alberto Allevi, giorno 16 del mese di aprile dell’anno 2021, Caleppio di Settala, Milano, Lombardia, Italia, Europa, Mondo, Pianeta Terra