Io, lavoratrice domestica migrante

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Mi chiamo Elizabeth e vengo dalle Filippine. Sono sposata e ho due figli di venticinque e ventotto anni, che sono la testimonianza del mio essere una lavoratrice multiculturale, in quanto mia figlia è stata concepita in Arabia Saudita, mentre il secondo figlio è milanese di nascita.

Ho lavorato in Arabia Saudita per dieci anni in una famiglia di sette persone: il marito, la moglie e cinque figli (tre maschi e due femmine).

Era la vigilia del Capodanno e avevo 25 anni, quando sono arrivata in Jeddah, in Arabia Saudita. Era ancora un deserto ed era molto diverso dalle Filippine. Appena ho messo piede in aeroporto sentivo già i profumi forti delle spezie e per me erano stranissimi. Lì avevo un contratto di due anni, ma solo al pensiero mi sembrava un’eternità.

Facevo tutto in quella casa. Ero la tata di tutti i membri della famiglia, dal padre all’ultimo dei figli.

Cominciavo a lavorare presto la mattina preparando i vestiti per sei persone. Quando il marito/capo famiglio ha ricoperto un ruolo importante all’interno del Ministero della Sanità, anche la mia responsabilità è aumentata. Quando sono i nati gli ultimi due figli della coppia, ho iniziato da subito ad accudirli. Dormivano con me, li portavo dal medico quando si ammalavano, gli compravo i vestiti. Facevo tutto per loro, mancava solo che li avessi partoriti! Gli preparavo la colazione, li portavo a scuola e li andavo a prendere. Inoltre mi occupavo della pulizia della nostra camera e della stanza della coppia, in quanto la moglie non si fidava che le altre lavoratrici pulissero la sua camera in cui erano sparsi oggetti di valore. La pulizia in Arabia significava che tutte le settimane si fa la pulizia generale.

Cucinavo per i più piccoli, perché a loro non piaceva la cucina del cuoco turco, e dopo pranzo insegnavo loro inglese. Facevo anche i compiti della figlia maggiore che ogni volta tornava a casa da scuola felicissima, perché prendeva dieci e lode per i disegni … che avevo fatto io!

Quando il marito aveva ospiti, organizzavo e preparavo il menù (che veniva puntualmente controllato da lui) e aiutavo il cuoco a cucinare. È così che alla fine della mia esperienza in Arabia, sono diventata brava a cucinare i cibi arabi!

Ricordo solo che il periodo del Ramadan era duro, perché il giorno era scambiato con la notte. Preparavo tanti piatti diversi. Andavo a dormire alle quattro di notte.

Quando il marito partiva per lavoro, sceglievo per lui i vestiti da mettere in valigia. Quando si partiva con la famiglia fuori dall’Arabia, facevo le valigie per tutti. Ero contenta di viaggiare con loro, perché ho potuto praticamente girare il mondo gratis! Tra il 1979 e il 1989 sono stata negli Stati Uniti, Francia, Messico, Spagna, Germania, Svizzera, Austria, Corea del Sud, …

Per questa famiglia ero una persona di fiducia, rispettata, ed ero considerata come una di famiglia. Sono diventata il maggiordomo della casa, dove erano in servizio 11 persone, tra lavoratori e lavoratrici. Per quanto riguarda i diritti dei lavoratori erano però pari a zero: la famiglia si comportava bene con me, ma gli stipendi erano bassi, non avevo diritto alla malattia, alle ferie, al giorno di riposo (il riposo era previsto solo per due ore alla settimana), alla tredicesima e al TFR. Se il datore di lavoro era generoso, allora ricevevo dei regali e qualcosa di più, che tutto sommato, mi permetteva di “compensare” la mancanza di diritti e avevo diritto solo al biglietto di ritorno dopo due anni di servizio.

In generale ero felice, perché per me era una seconda famiglia. Ero affezionata ai figli e loro a me. La coppia provvedeva a me per tutto, anche per i vestiti e i gioielli. Alla fine della mia esperienza, mi hanno anche comprato un terreno nelle Filippine. Secondo loro, questi regali erano poca cosa rispetto a quello che io ho fatto per i loro figli.

Sono stata fortunata ad incontrare una famiglia così generosa, ma nonostante questi regali, penso che la libertà non abbia prezzo. Questa è stata l’unica ragione che mi ha portato a scegliere di andare via dall’Arabia Saudita per trovare quella libertà di scegliere che mi mancava.

Sono dunque arrivata in Italia il 2 settembre 1989 con un visto turistico. Non è stato difficile per me trasferirmi in Italia, perché a Milano vivevano le mie sorelle e i miei fratelli. Finalmente avevo travato la libertà. In primis ho riscoperto la libertà di praticare la mia fede cattolica.

In Italia ho trovato subito lavoro. La prima famiglia con cui ho lavorato mi ha licenziato dopo un anno e mezzo perché ero rimasta incinta. Dopo tre mesi dalla nascita di mio figlio ho deciso di portarlo da mia suocera nelle Filippine perché avevo capito che avrei dovuto scegliere tra il lavoro e la famiglia. Io e mio marito pensavamo che la nostra permanenza in Italia fosse solo temporanea e così avevamo deciso di lasciare i nostri due figli da mia suocera. Sono stati momenti difficilissimi per me e spesso le lacrime scendevano senza accorgermene.

So che non si può tornare indietro nel tempo, ma ringrazio Dio se i miei figli hanno percorso una strada giusta. La fiducia reciproca tra me e mio marito, l’attenzione a mantenere viva la comunicazione e una fede forte hanno fatto sì che la nostra sia ancora una famiglia unita.

Il secondo lavoro che ho trovato in Italia era abbastanza buono, perché sono rimasta con loro per vent’anni. Era una coppia che abitava nel quartiere San Babila a Milano. Il marito era malato di Parkinson e aveva un’infermiera di notte. La casa era grande e i primi anni di lavoro sono stati difficili. La signora stava letteralmente sempre dietro a me per seguire ogni lavoro che facevo, che doveva risultare perfetto. Ad esempio quando lavavo i tappeti, dovevo mettere lo scotch, per contrassegnare il posto dei divani, delle sedie e dei piccoli mobili da spostare. La signora misurava le distanze tra i tappeti e le pareti per posizionarli perfettamente al centro delle stanze. La pulizia della biblioteca impiegava un mese, perché pulivo i libri uno ad uno. Quando vi erano degli ospiti, la tavola veniva apparecchiata tre giorni prima. Le distanze tra i piatti e i bicchieri e le altre stoviglie dovevano essere uguali. Tutto doveva essere preciso, perfino le verdure dovevano essere tagliate in maniera uniforme.

Facevo la colf e la badante di giorno per il marito fino alla sua scomparsa. Quando la signora rimase vedova, il mio lavoro aumentò, perché iniziai ad occuparmi della gestione di tutta la casa: stiravo, cucinavo, pulivo, ecc.. Andavo perfino a fare le pulizie nell’appartamento del figlio, durante l’orario di lavoro infatti uscivo dalla casa della signora alle 16:00 e rientravo alle 19:00 per preparare la cena. Tante volte tornavo a casa mia molto tardi.

Ho vissuto vent’anni con la signora e, nonostante la fatica, posso dire di essere cresciuta professionalmente.

Restando con lei fino al suo ultimo respiro, ho capito che la ricchezza materiale non è un metro di misura per la felicità, e non può sostituire l’amore che dai ai propri cari. Tante volte lei mi diceva che la sua vita era vuota anche se era milionaria. La signora era una donna generosa, meravigliosa, ma dura di carattere. E’ scomparsa all’età di cent’anni.

Ritengo che nel nostro lavoro come lavoratrici familiari dobbiamo essere attente prima di accettare le offerte di lavoro per non cadere in inganno. Nello stesso tempo dobbiamo essere oneste e fare ciò che è giusto per vivere una vita cristiana. Ad esempio: questa estate sono andata al mare durante il mese di agosto, accordandomi prima con il datore di lavoro sul compenso per lavorare al servizio di quattro persone. Il giorno dopo, scopro che le persone erano prima cinque e poi sono aumentate a sei. Inoltre vi erano anche due cani. Avevo due appartamenti da pulire. Secondo il contratto nazionale mi spettava un giorno e mezzo di riposo. In realtà dal lunedì al sabato lavoravo dalle 7:30 alle 16:00 e poi dalle 18:00 alle 23:00, mentre la domenica lavoravo dalle 18:00 alle 23:00. La mia domanda è: secondo voi, viste le circostanze, è giusto interrompere l’impegno lavorativo?

Nei miei ventisei anni di lavoro e permanenza a Milano ho avuto tante esperienze di lavoro, sia gradevoli sia sgradevoli. Anche nelle mie esperienza sgradevoli ho sempre guardato il lato positivo ricevendo tanto aiuto dalla mia fede. Sono state esperienze che, comunque, mi hanno fatto crescere come persona, che mi hanno insegnato a valutare ogni offerta di lavoro e ogni situazione in cui mi trovavo, e a difendere i miei diritti non solo come lavoratrice, ma come donna, moglie e madre, imparando che nella vita ci vuole tanto sacrificio e una forte fede!

(Milano 7 settembre 2015)

Elizabeth Lopez