Rigoletto e Il Trionfo del Tempo e del Disinganno alla Scala

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L’ennesimo trionfo di Leo Nucci nell’opera di Verdi e uno splendido allestimento in forma scenica dell’oratorio di Händel. (Foto Brescia-Amisano).

Intenso gennaio al Teatro alla Scala, con sette recite di Rigoletto di Verdi intrecciatesi verso fine mese con l’interessante proposta de Il Trionfo del Tempo e del Disinganno di Händel.

oratorio2Iniziamo da quest’ultimo spettacolo, sottolineando l’apparente bizzarria di aver voluto dare volto scenico ad un oratorio formalmente e musicalmente ben lontano da quelli inglesi di soggetto biblico della piena maturità, più adatti ad essere drammatizzati. Quello in questione fu composto appena il poco più che ventenne Händel giunse a Roma, dove a inizio Settecento, trovò una città papalina che aveva proibito spettacoli operistici e rappresentazioni teatrali pubbliche di ogni genere, ritenendole moralmente poco edificanti, eppure permetteva l’esecuzione di oratori che, proprio per il messaggio morale del quale si facevano portatori, avevano ragion d’essere, soprattutto per compiacere gli alti prelati romani, che erano mecenati, collezionisti d’arte e amanti del bello, musica compresa. Il libretto del Trionfo del Tempo e del Disinganno è infatti di un cardinale, Benedetto Pamphilij, e fu musicato da Händel mettendo a frutto l’arte del contrappunto che il “Caro Sassone” aveva maturato nella sua terra natia, la Germania, fondendola con la melodia morbida ed elegante propria ai moduli compostivi dello stile italiano di Alessandro Scarlatti e Arcangelo Corelli appresi nel corso del viaggio nel nostro Paese; uno stile improntato sulla raffinata trasparenza del gusto arcadico che reagiva agli eccessi del barocco ispirandosi ai princìpi del razionalismo cartesiano.

oratorio1Il soggetto è una intrigante dialettica di natura allegorica. Si narra della Bellezza, che ha giurato fedeltà al Piacere, ma che per questo viene rimproverata da Tempo e Disinganno. Solo dopo lunghi ripensamenti, la Bellezza si pente di aver seguito quelli che definisce gli “specchi del vero” e abbandona l’illusorio Piacere. Per dare sostanza visiva a una materia di filosofia morale più che drammatica, Jürgen Flimm e Gudrun Hartmann, autori del bellissimo spettacolo visto alla Scala, proveniente dall’Opernhaus di Zurigo e dalla Staatsoper di Berlino, hanno avuto una geniale pensata. La diatriba moral-dialettica tra amor sacro e amor profano si svolge in una elegante brasserie art déco, La Coupole, ritrovo eccellente del bel mondo parigino della metà degli anni Venti, ancor oggi esistente in Boulevard Montparnasse.
Le scene sono magnifiche e in mezzo ad ospiti eleganti, défilé di moda e distinti camerieri si sviluppa una trama che così acquista una seppur fragile ma pertinente valenza teatrale. E non può che apparire quasi scontata la scelta finale, quando Bellezza, struccatasi e spogliatasi delle sue vesti di gran dama, indossa gli umili panni penitenti di una suora, invocando la protezione angelica per la sua conversione, che avviene a tarda notte, quando il locale è ormai chiuso, gli ospiti sono andati via e i camerieri riassestano i tavoli dopo una delle tante serate di divertimento e piacere.

oratorio3A tanta efficacia visiva si affianca la felice esecuzione musicale affidata a un esperto filologo di musica barocca come Diego Fasolis, al quale la Scala ha affidato l’interessante compito di creare un ensemble con strumenti originali scegliendo gli strumentisti all’interno della propria compagine orchestrale, per poi educarli alla prassi esecutiva dello stile antico attraverso il meticoloso lavoro svolto con il maestro Fasolis. Il primo risultato è stato encomiabile, così come valido il contributo del quartetto di solisti, tutti stilisticamente ineccepibili, anche se vocalisti non portentosi. Fra tutti è emersa la calda voce contraltile di Sara Mingardo (Disinganno), affiancata dai meno convincenti Martina Janková (Bellezza), soprano poco celestiale nell’intonare la magnifica aria finale «Tu del Ciel ministro eletto», dal garbato tenore Leonardo Cortellazzi (Tempo) e dalla nulla più che corretta Lucia Cirillo, mezzosoprano che nei panni di Piacere è alle prese con l’aria più riconoscibile dell’opera, «Lascia la spina, cogli la rosa», che ha la medesima melodia già composta da Händel per Almira, divenuta poi immortalmente celebre quando riutilizzata per Rinaldo.

rigoletto3Veniamo al Rigoletto.  Dopo la prima, sui quotidiani la critica ha arricciato il naso, mentre sulla rete, blog e social network, si è scatenato un pandemonio di commenti fra chi si è schierato a favore o contro un evento che alla Scala di Milano ha visto rompere una tradizione, risalente ai tempi di Arturo Toscanini, che non vuole la concessione di bis. La regola si era per la verità già infranta quando Riccardo Muti concesse il bis di «Va, pensiero» in un memorabile Nabucco di Verdi del 1986, poi nel 2007, quando il noto tenore peruviano Juan Diego Flórez ripeté senza batter ciglio i nove do di petto dell’aria di Tonio dalla Fille du régiment di Donizetti, e infine l’estate scorsa con la cavatina di Figaro dal Barbiere di Siviglia di Rossini cantata da Leo Nucci. Ma un bis a sipario chiuso e ad atto terminato era davvero una novità per la Scala.

È avverigoletto1nuto appunto alla prima, ma anche nelle repliche di Rigoletto; il protagonista dell’evento è stato ancora una volta il generoso Leo Nucci, intramontabile protagonista dell’opera verdiana, che ha bissato la celebre invettiva «Sì, vendetta, tremenda vendetta» con tanto di puntatura acuta finale, lanciata con impavida sicurezza da lui e dal giovane soprano americano Nadine Sierra, che all’ultima recita era influenzata e prudentemente non ha voluto che il bis fosse concesso. Eppure, nelle sere precedenti a questa, Nucci e la Sierra hanno sempre ripetuto la “Vendetta” al proscenio, con il sipario rosso della Scala chiuso alle loro spalle. Un effetto circense, uno scivolone da cabaret, così ha tuonato la critica togata. Eppure, se l’opinione di un critico non deve presentarsi come verità rivelata, ma come saggio spunto di riflessione per far meglio riflettere il lettore, ecco che la parabola di un cantante giunto nella fase finale della sua carriera artistica in forma vocale e interpretativa così smaglianti, come nel caso di Nucci, non dovrebbe generare alcun dubbio, giustificando la comprensibile esternazione entusiastica avvenuta alla Scala. Tornando a Nucci, non si può negare di trovarsi dinanzi ad un miracolo di longevità vocale da guinness dei primati: 73 anni di età, oltre cinquecento recite di quest’opera sulle spalle, a fronte di una integrità vocale sorprendente, che fa il paio con la gioia di stare ancora sulla scena e di cogliere, se ancora fosse possibile, mille nuove sfumature per una parte che ha reso il gobbo giullare verdiano un suo indiscusso cavallo di battaglia, ma anche un interprete di riferimento storico, fra quelli capaci di mettersi al servizio della “parola scenica” verdiana con sottile incisività di accento e fraseggio conseguenti a significati di profonda verità espressiva. Il pubblico della Scala ha voluto così rendere omaggio a un veterano che ancora oggi è il più celebre dei baritoni italiani.

La gioia del pubblico ha coinvolto l’intera esecuzione e premiato anche la bella e promettente Gilda di Nadine Sierra, che riascolteremo con piacere, e il baldanzoso Duca di Mantova “piacione” del tenore Vittoririgoletto2o Grigolo (stia solo attento a non espandere troppo i centri, onde evitare di appesantire gli acuti), guidati all’ultima recita del 6 febbraio da Evelino Pidò, giunto in extremis a sostituire l’indisposto Nicola Luisotti. Per un direttore di prestigio internazionale come lui questo è stato, strano a dirsi, il tanto atteso debutto assoluto sul palcoscenico scaligero, dopo una carriera che lo vede costantemente presente nei più importanti teatri del mondo. Con nervi saldissimi e una perfetta conoscenza dell’opera, Pidò ha dimostrato il consueto controllo del palcoscenico mettendo sempre a proprio agio i cantanti, compreso Riccardo Zanellato, impeccabile nei panni di Sparafucile, pure lui giunto in soccorso a sostituire un collega indisposto. Spettacolo di fastosa monumentalità, con scene di Ezio Frigerio e costumi di Franca Squarciapino, di ormai un po’ scontata impostazione tradizionale, ripreso ancora una volta con la regia di Gilbert Deflo.

La Scala, rompendo nuovamente un’etichetta assodata nel tempo, ci ha ricordato come l’Italia resti il Paese dove il canto lirico continua ad accendere entusiasmi e passioni. Ben vengano dunque i bis e la sala gremitissima di pubblico per tutte le recite di questo trionfale Rigoletto, senza dimenticare il successo parimenti significativo riscosso dalla proposta dell’oratorio händeliano.