
La pandemia prima e la conseguente pressione dell’opinione pubblica, le “prescrizioni di AgeNAS (Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali) ed infine il PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza che definisce la destinazione delle risorse in arrivo dall’Europa per la ripresa post Covid) hanno di fatto costretto Regione Lombardia a “rivedere”, correggere, riscrivere la L.r. n. 33/2009 che raccoglie tutte le Norme sul servizio sanitario, sociosanitario e sociale regionale lombardo come modificata dalla L.r. 23/2015 meglio nota come Legge Maroni.
A dire il vero, già nel 2019 con la Delibera di Giunta n. XI, Regione Lombardia riconosceva l’Integrazione Ospedale Territorio quale “un fondamentale obiettivo strategico dell’odierno sistema sociosanitario sia dal lato della domanda che dal lato dell’offerta”.
Nella stessa Delibera la Regione, rilanciando i PreSST (Presidi Socio Sanitari Territoriali: luoghi che avrebbero dovuto integrare le attività e le prestazioni di carattere sanitario, sociosanitario e sociale) richiamava uno studio di valutazione sull’impatto della Case della Salute, condotto dall’assessorato alla Salute dell’Emilia Romagna, in cui si dava atto che con l’introduzione delle Case della Salute si erano osservate :
- una riduzione significativa e costante dell’accesso al Pronto Soccorso
- l’effetto altrettanto significativo sull’ospedalizzazione per condizioni sensibili al trattamento ambulatoriale e sugli episodi di cura trattati in assistenza domiciliare
- la riduzione in media del 21,1% (con picchi fino al 60%) gli accessi al Pronto Soccorso per cause che non richiedono un intervento urgente, i cosiddetti ‘codici bianchi”.
Quindi Regione Lombardia, consapevole dell’inadeguatezza delle sinergie fra Ospedale e Territorio per garantire e tutelare la salute dei cittadini lombardi, aveva individuato il modello “Casa della Salute quale modello a cui ispirarsi per adeguare il Sistema Socio Sanitario lombardo,”.
Il già citato PNRR approvato nello scorso aprile, fra i diversi interventi in campo sanitario, prevede la realizzazione entro il 2026 di 1.288 Case della Comunità, che sostanzialmente si rifanno alle Case della Salute.
Conseguentemente la riforma della legge sanitaria Lombarda avrebbe dovuto orientarsi ed introdurre quei correttivi che possono raggiungere quegli “Obiettivi di Integrazione Ospedale Territorio” richiamati con la Delibera XI/2019.
Così in effetti non è stato poiché il modello proposto ripropone unicamente la funzione dei poliambulatori senza nessun tipo di integrazione tra le prestazioni di carattere sanitario, sociosanitario e sociale.
Perché una buona pratica riconosciuta non la si vuole prendere in considerazione? Perché si mistifica il modello proposto assimilandolo ai “poliambulatori” sapendo benissimo che le Case della Salute e/o della Comunità sono ben altro?
Allora sorge il sospetto che “il Gattopardo” dalla Sicilia sia risalito in Lombardia: si cambia tutto per non cambiare niente!
Un’altra sibillina domanda emerge: ma, chi compie le scelte in materia di salute, la “Politica” oppure “un Sistema” sanitario lombardo?
Ma cosa sono le Case della Salute o dovrebbero essere le Case della Comunità? Edifici sparsi sui territori dove collocare Medici ed Infermieri che “non ci sono”, riconosciuta l’endemica carenza di questi Operatori Sanitari? Con quali criteri: numero, collocazione territoriale, dimensioni, cosa devono svolgere, quali funzioni con quale strumentazione e Personale, …..?
Cosa dovrebbero essere in realtà le Case della Salute ?
Sicuramente luoghi in cui venga accolta la persona portatrice di un Diritto alla Salute che esprime il suo bisogno: essere “Preso in Carico” quando necessario per essere curato, accompagnato nel prevenire il degenerare delle patologie, spesso plurime e ovviamente connesse all’età e stili di vita. Che possa farlo in luoghi organizzati e più accessibili alla propria residenza o territorio, riconoscibili; senza fare “la trottola” in poliambulatori sparsi sui territori. Dove a prendersi in carico il Cittadino/Paziente ci siano Medici di Medicina Generale che lavorano in “Gruppo”, che si scambino pareri e condividano la “gestione del Paziente”. Dove al fianco del MMG o Pediatra di Libera Scelta ci sia una “Specialistica” di prima fascia che insieme definiscano il Piano di Assistenza Individualizzata. Dove l’ambito sociale della persona, che concorre nel definire la “qualità della vita”, sia accompagnato dai Servizi Sociali Locali. In sostanza un luogo/spazio che “contenga” la Persona ed i suoi bisogni per “vivere bene” e sentirsi accolta nella Comunità.
Ovviamente la realizzazione di questi luoghi non può far dimenticare e risolvere le molteplici carenze che sono state generate nel tempo: una rete Ospedaliera che deve essere ripensata, la carenza di Medici ed Infermieri, le specialità dei Medici laureati sostanzialmente congelate, i Pronto Soccorso che devono accogliere di tutto e di più diventando a loro volta sviliti nella loro funzione, le lunghe attese per le necessarie visite “Specialistiche” che spingono il Cittadino nelle braccia del privato, lo sradicamento dei Dipartimenti di Prevenzione che la pandemia ha tragicamente fatto emergere, ecc. Ecc.
La mancanza di un chiaro assetto organizzativo emerge in modo plastico anche dalle illustrazioni in calce che ripropongono l’assetto organizzativo territoriale presentato con la riforma della legge sanitaria Lombarda. Diversamente dalle Case della Salute e/o Comunità, il “Punto Unico di Accesso” NON è il più vicino possibile al luogo di vita del Cittadino, NON è chiaro dove recarsi ed individuare CHI prende in carico il Paziente e dove recarsi per le visite specialistiche, qual è il rapporto con il Medico di Medicina Generale e dove trovarlo. Il Distretto, un Soggetto anonimo, sarebbe un “non-luogo”, indefinito dove recarsi, per niente riconoscibile ed in grado di “essere accogliente”!
Complicatissimo affrontare il tema della “riorganizzazione” del Sistema Sanitario Lombardo, soprattutto con gli Utenti/Cittadini che da sempre sono andati sulla fiducia scoprendo gli enormi limiti che la pandemia ha contribuito a far emergere. La domanda è: come procedere per avviare una “Partecipazione popolare” nel conoscere l’esistente e come “funziona” per giungere a formulare quali sono le necessità dei Cittadini e delle Comunità al fine di riconoscere a tutti ed ognuno il Diritto alla Salute sancito dall’art.32 della Costituzione italiana?
Proviamo ad incamminarci sui sentieri che ci permettano di condividere le “Buone Pratiche” già esistenti che riguardano ad esempio le Case della Salute in altre Regioni per capire cosa sono, come realmente funzionano, come possono evolvere in Case della Comunità, come coinvolgono i Cittadini dei territori in cui sono ubicate; capire se e come sono replicabili in altri territori.
Ogni cittadino può trasformarsi sostanzialmente da “oggetto” di cure a “Soggetto Responsabile” della Salute propria e delle Comunità in cui vive, partecipe nel rigenerare i contesti dove si determinano le condizioni per una Buona Salute.
In questo, i Circoli Acli possono svolgere un ruolo di accompagnamento e condivisione, diventare promotori, catalizzatori e “amplificatori” di nuove strade possibili e percorribili con tutte le Persone di buona volontà.
A cura di Mario Mazza