di Giovanni Garuti – 30/06/2014
Non è facile ripercorrere e rivivere, fra cronaca e storia, il divenire di una associazione fondata nel ’44, nei giorni della liberazione di Roma dal nazifascismo e della nascita del sindacato unitario, quando ancora la guerra continuava nel nord e in Europa con le lotte di liberazione e l’avanzata delle truppe alleate fino all’armistizio e alla vittoria del ’45.
Si tratta di ripescare dalla documentazione accumulata nel tempo e dalla memoria dell’esperienza anche personale, “le radici e le ali” che hanno consentito alle Acli di proiettarsi e vivere nel nuovo millennio e nel cambio d’epoca della rivoluzione tecnologica e digitale, con la speranza di farcela per continuare ad essere un movimento educativo e sociale di ispirazione cristiana con la formazione, l’azione, i servizi e la promozione sociale.
Nel primo numero del Giornale dei Lavoratori, Achille Grandi affermava che le Associazioni cristiane dei lavoratori italiani volevano continuare una tradizione fra i cattolici per la difesa del patrimonio religioso e l’attuazione dei princìpi sociali insegnati nelle encicliche e nei messaggi del magistero della Chiesa, con le forme di carità, previdenza e cooperazione, di non specifica e riservata competenza degli organismi sindacali.
Uno spazio d’azione da conquistare nel dopoguerra, con il dovere di affratellare i lavoratori a dimostrazione dell’adesione alle giuste aspirazioni di giustizia, amore, pace e bene, nel rispetto della fede religiosa e delle diverse opinioni politiche, dei diritti delle altre classi sociali e nella indipendenza dai partiti.
Con le istruzioni e gli incoraggiamenti alle Acli delle origini, Pio XII aveva evidenziato la “provvidenziale missione” delle “cellule dell’apostolato cristiano moderno” per mantenere vivo lo spirito di responsabilità e solidarietà, far prevalere i princìpi di giustizia, elevare le condizioni di vita dei lavoratori, democratizzare l’economia nel nuovo ordine sociale.
Nelle esortazioni per il ventennale, Paolo VI affermava che le Acli erano un movimento di lavoratori, di massa e democratico, qualificato cristiano, dotato di autonomia e responsabilità, rivolto alla formazione religiosa, morale, tecnica e sociale, ma non estraneo al campo delle forze cattoliche.
Dieci anni prima a Milano, nel ’55, il card. Montini esprimeva la sua simpatia affermando che le Acli potevano raccogliere l’eredità della tradizione cattolica, dai tempi di Leone XIII, avendo alle spalle una generazione e una storia per essere il ponte fra la Chiesa e le masse lavoratrici, con la congiunzione dell’azione di Dio alle forze umane e associando il nome di Cristo al lavoro. “Con le teorie liberiste e marxiste in crisi e in fase di sgretolamento, se le Acli cessassero di esistere alla classe lavoratrice mancherebbe la loro presenza, perché con il Vangelo e le leggi della carità, dell’amore, del progresso e della civiltà sono entrate nel vivo del mondo del lavoro così da esserne indissolubili.”
A Napoli, nel ’45, Di Vittorio aveva già reso omaggio ai lavoratori cattolici che portavano nel movimento sindacale il soffio di spiritualità evangelica, con un sentimento profondo di umanità e di rispetto della persona umana, in sintonia con Achille Grandi per la salvaguardia della fede e della coscienza religiosa.
Le successive vicende politiche e sindacali, dall’uscita delle sinistre dal governo alla rottura dell’unità sindacale, avevano incrinato i rapporti e alimentato forti tensioni, ma poi il tempo è riuscito a sanare le ferite con la ripresa del dialogo. Più complessi sono stati gli anni del Concilio e delle lotte operaie e studentesche, con la fine del collateralismo, l’ipotesi socialista e la deplorazione di Paolo VI, che hanno generato lacerazioni e incomunicabilità nell’area cattolica, per le Acli scese in campo aperto con i lavoratori impegnati nelle lotte per lo Statuto dei lavoratori, le riforme della casa, della sanità e delle pensioni, e con i cittadini in corteo nelle manifestazioni popolari per la pace nel mondo.
Il Concilio e le encicliche di Papa Giovanni e di Paolo VI, dalla Mater et Magistra alla Populorum Progressio, avevano fatto riscoprire la vocazione dei laici all’azione per la giustizia, in collaborazione con gli uomini di buona volontà, a difesa della democrazia e della libertà, in campo sociale, sindacale e politico, con il rischio di sbandate e uscite di strada, ma con l’ancoraggio al bene comune e alla fedeltà alla Chiesa.
Con la celebrazione del 1°maggio a Roma nel ’55 e con la manifestazione internazionale dei lavoratori cristiani europei a Milano nel ’56, le Acli hanno ripreso un cammino mai più interrotto di condivisione e solidarietà per il diritto al lavoro e alla promozione sociale, in sintonia con i princìpi costituzionali della rimozione degli ostacoli che limitano la libertà e l’uguaglianza dei cittadini.
Strada facendo a contatto con una società in rapida evoluzione, il movimento aclista ha aggiornato i suoi “mestieri” per offrire occasioni di autopromozione e di protagonismo dei lavoratori e delle loro famiglie, in relazione anche all’esigenza di una formazione permanente per adeguare le professionalità alle esigenze di un mondo del lavoro che non riesce più a valorizzare i talenti dei giovani, mentre espelle gli anziani ancora senza diritto alla pensione.
I Circoli Acli su base parrocchiale e territoriale, nonostante le difficoltà che si incontrano nell’avvicendamento generazionale, si danno da fare per leggere i bisogni emergenti, accogliere gli immigrati, creare iniziative di imprenditorialità sociale, offrire consulenze e servizi, organizzare incontri culturali, ricreativi e sportivi, affrontare le questioni politiche e di solidarietà internazionale.
C’è ancora una storia da riscoprire e da scrivere con i racconti e le voci degli aclisti e dei fruitori della “missione” delle Acli, per continuare una corsa ad ostacoli sulla strada della testimonianza cristiana nel terzo millennio, in un mondo ormai senza frontiere che ci entra in casa e ci interpella per verificare la credibilità di una vocazione di servizio e di amore per il prossimo.
L’invito a vivere una nuova stagione di iniziative per il diritto al lavoro e per l’accoglienza, si deve saldare con il rilancio della Conferenza ecumenica di Basilea per la pace, la giustizia e la salvaguardia del creato, da custodire con gli Obiettivi del millennio e dell’Esposizione universale di Milano del 2015 per nutrire i popoli della fame, del sottosviluppo e delle migrazioni ormai bibliche.