Martedì 1 novembre cade la Ricorrenza di Ognissanti. Pubblichiamo il Vangelo del giorno Matteo 5, 1-12a con il commento della teologa Teresa Ciccolini.
Lettura del Vangelo secondo Matteo 5, 1-12a
In quel tempo. Vedendo le folle, il Signore Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati. Beati i miti, perché avranno in eredità la terra. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli».
Il Commento
L’insegnamento (”e insegnava loro”) fondamentale di Gesù è una dichiarazione di felicità.
Questo fa subito pensare che la pienezza del senso della vita è la chiamata ad essere felici: il Signore non desidera dei volti tristi e un cammino da forzati dell’esistenza, ma della gente pienamente appagata, nel suo desiderio profondo di bene e di amore.
Non sono le uniche “beatitudini” del Vangelo e della Scrittura, ma qui Gesù propone, per così dire, la sintesi dell’essere felici, che consiste in una serie di atteggiamenti che sono i suoi. Infatti non si tratta di un elenco di categorie, ma di una sfaccettatura di modi di essere concretamente nella vita e nella relazione con gli altri e quindi con Dio.
In un certo senso, non si può “vedere” Dio, se non pratichiamo questo rovesciamento di prospettiva nell’importanza riservata agli altri, che deve diventare primaria e se non cambiamo il ruolo che abitualmente diamo alle priorità delle nostre scelte. Prevale infatti la cultura tutt’al più dell’io-con piuttosto che quella del noi.
Per questo è indispensabile non soffermarci solo ed esclusivamente su questi enunciati che pur suonano come uno squillo di speranza e di gioioso rovesciamento delle parti, ma proseguire nell’ascolto successivo delle parole di Gesù che costituiscono tutto il cosiddetto Discorso della montagna (capp. 5-7).
Gesù parla attraverso paradossi che, a volte, sembrano eccessivi, per farci capire come nell’ottica di Dio vale soltanto l’amore con cui ci si pone nella vita e nel rapporto con gli altri.
Perché il senso della vita e del nostro agire sta nell’approfondire in ogni circostanza dell’esistenza quella scelta di amore che dovrebbe essere alla base della nostra fede e dell’incontro con Gesù, che gli fa dire: “Siate perfetti come il padre vostro”.
Dove la “perfezione” non consiste nella bravura e nell’eccellenza, ma nella totale accoglienza nel nostro cuore e nel nostro pensiero del modo di essere di Gesù.