Il viaggio non finisce mai. Solo i viaggiatori finiscono. E anche loro possono prolungarsi in memoria, in ricordo, in narrazione. Quando il viaggiatore si è seduto sulla sabbia della spiaggia e ha detto: “Non c’è altro da vedere”, sapeva che non era vero. Bisogna vedere quel che non si è visto, vedere di nuovo quel che si è già visto, vedere in primavera quel che si è visto in estate, vedere di giorno quel che si è visto di notte, con il sole dove la prima volta pioveva, vedere le messi verdi, il frutto maturo, la pietra che ha cambiato posto, l’ombra che non c’era. Bisogna ritornare sui passi già dati, per ripeterli, e per tracciarvi a fianco nuovi cammini. Bisogna ricominciare il viaggio. Sempre. Il viaggiatore ritorna subito. (José Saramago)
Durante eVento, la manifestazione delle Acli Milanesi tenutasi dal 29 settembre al 1 ottobre, si è svolto tra gli altri momenti di approfondimento, anche quello dedicato ad Acli Colf, dal titolo “Tra Miraggio e realtà – viaggio nella vita e nel lavoro di cura”. L’incontro, diviso in due parti, si proponeva in un primo momento di raccontare, attraverso la metafora del viaggio, i momenti o i giorni precedenti alla partenza di alcune donne, dal loro paese di origine verso l’Italia. Il “miraggio” del titolo si riferisce infatti all’ignoto, allo sconosciuto, alla percezione e alle aspettative che ognuna di esse aveva del nostro paese prima di partire, che poi sono state smentite o confermate all’arrivo.
L’incontro, sotto forma di spettacolo teatrale, mirava a dare voce alle donne che di solito non ce l’hanno, più abituate ad ascoltare gli altri (le persone di sui si prendono cura) che a essere ascoltate; non abituate a raccontare la propria storia e a rivelare la loro “identità precedente”.
Cinque le storie raccontate, intervallate da musica e canzoni e dalla lettura di brani sul tema del viaggio, il tutto curato dall’Associazione Culturale Acli Arte e Spettacolo.
Antonia, la prima a parlare della propria esperienza, ha raccontato delle tre settimane precedenti alla partenza; di come la sorella, in Italia da tempo, mandasse alla famiglia le foto di Venezia, dove abitava; dopo la partenza, molto sofferta a causa del suo bambino lasciato a casa, Antonia è rimasta dal fatto che l’Italia non fosse tutta come Venezia, con le strade coperte d’acqua. “Qui in Italia non è come pensiamo prima di partire”.
La seconda testimonianza è stata di Maria, venuta in Italia per amore, insieme ai suoi figli, seguendo il marito arrivato già molti anni prima. Il suo unico desiderio era quello di avere una famiglia normale, felice e riunita; il sogno non si è avverato, ma non si è mai pentita della sua decisione.
Poi è stata la volta di Fiore, che ha definito la sua storia “da Indiana Jones”. Partita da Sofia, in Bulgaria, con un’amica, avevano deciso di affidarsi a un’agenzia, non essendo a conoscenza di altri modi per raggiungere l’Italia: il viaggio in macchina di notte è molto lungo, e solo dopo ore hanno scoperto che l’autista era stato pagato per accompagnarle solo fino a Lubiana. Dalla Slovenia le due amiche riescono a prendere un autobus, che arriva a Gorizia, allora ancora divisa tra l’Italia e la Slovenia; qui prendono una stanza in albergo, che però lasciano alle due di notte, correndo fino a passare il confine italiano, per non essere viste dalla polizia.
La quarta persona a parlare Bibi, a differenza delle altre, ha dichiarato che il nostro paese non le piace; “l’Italia non è fatta per me” ha detto senza giri di parole. Era arrivata a seguito di un’amica che già viveva qui, ma a tutt’oggi non riesce ad adattarsi e ha confessato di voler cambiare paese, magari trasferendosi in Canada, anche se là fa più freddo!
L’ultima testimonianza è invece ancora “positiva”; la signora, di origine eritrea, ha raccontato che il suo sogno, fin da piccola, è sempre stato di trasferirsi in Italia, avendo studiato la lingua e la cultura a scuola. Ma per questo ha dovuto aspettare, perché al termine della scuola ha dovuto per quattro anni, frequentare l’accademia militare obbligatoria. Alla fine ha comunque coronato il suo sogno.
La seconda parte dell’incontro è stata dedicata poi all’esposizione del lavoro di ricerca “Viaggio nel lavoro di cura – chi sono, cosa fanno e come vivono le badanti che lavorano nelle famiglie italiane”, curata dall’Iref l’istituto di ricerche educative e formative delle Acli. La ricerca, condotta attraverso dei questionari somministrati a tutte le sedi di Acli Colf, fotografa attraverso la lettura dei dati l’evoluzione del lavoro di cura in Italia, dal 2007 al 2016.
Innanzitutto i risultati mostrano come ci sia stato un forte aumento (del 42%) dei lavoratori domestici negli ultimi anni, dei quali l’88% sono donne, e il 75% stranieri; i settori di impiego più diffusi sono invece quelli delle colf e delle assistenti domestiche e badanti.
Il lavoro domestico ha subìto diversi cambiamenti negli anni: considerato all’inizio umiliante, non era valorizzato, era poco riconosciuto socialmente anzi subiva lo sfruttamento da parte del datore di lavoro. Oggi, anche se questi aspetti in una certa misura rimangono, il lavoro di cura è cresciuto di considerazione: motivato anche dalla maggiore preparazione dei lavoratori, della moltiplicazione delle mansioni extra-domestiche, della professionalizzazione delle competenze.
Nella ricerca comunque emergono anche aspetti negativi: la precarizzazione del lavoro (timore di perdere il posto), le relazioni conflittuali che si vengono spesso a instaurare con la famiglia dell’assistito, la solitudine e il sovraccarico lavorativo ed emotivo e le forme di sfruttamento. Inoltre, soprattutto nel caso delle badanti, spesso vengono richieste mansioni para-infermieristiche per le quali non sono qualificate, come la somministrazione di farmaci; è stato inoltre registrato un aumento dei disturbi psicofisici legati al lavoro, come mal di schiena, ansia, insonnia.
