Pantera è l’ultimo libro che ho letto prima del lock down. Iniziato e finito lo stesso pomeriggio, perché è così che va letto (ed è così che lo leggerete anche voi se mai doveste farlo). Date le commissioni da svolgere mi ricordo di aver continuato a leggerlo anche mentre camminavo tra la gente. “Chissà cosa stanno pensando questi, nel vedere un ragazzo che gira con un libro davanti agli occhi invece che un telefonino,” mi ero chiesto tutto fiero di me stesso. Purtroppo, nessuno mi fece i complimenti. Probabilmente mi avranno solo preso per un’esibizionista cronico, ma la verità è un’altra. La verità è che, Pantera, quando lo inizi, lo finisci, non c’è molto da fare. Dura poco ed è un vero e proprio “volta pagina” come ci piacerebbe lo fossero tutti.
È uscito nel 2014 per Feltrinelli, scritto da Stefano Benni con le illustrazioni di Luca Ralli, e non è un romanzo come lo intendiamo di solito. Infatti, è composto da due racconti che, come Benni stesso durante la presentazione del libro tenne a specificare, sono “due racconti legati in un modo misterioso che non vi dirò”. Quindi è un romanzo e non una raccolta di due racconti, ma non sapremo mai perché.
Ho deciso di scrivere di questo libro perché non ha riscontrato un grande successo. Nessuno vi dirà mai: “Hai presente Stefano Benni, quello che ha scritto Pantera?”, e quindi ho deciso di farlo anche io. Avete presente Stefano Benni, quello che ha scritto Pantera? Dopo questa gag inutile, possiamo iniziare ad esplorarlo.
Guardando l’unica intervista all’autore sul libro, uscita sul canale YouTube della Feltrinelli, mi ha divertito molto il fatto che continuasse a ripetere quanto non volesse parlare del libro perché: “non voglio rovinarlo”, “non voglio dire tutto”, e in effetti concordo, è un libro così potente e così breve che ogni parola spesa a spiegarne la trama è una parola rubata all’immaginazione del lettore. La narrazione del libro è divisa in due racconti: il primo s’intitola Pantera e l’altro Aixi (da leggere Aiji). Il primo si svolge tutto al buio, in una grande sala da biliardo ricoperta di fumo, anche il colore dei vestiti dei personaggi è nero e la sala è in una specie di “caverna sotterranea”, come l’ha definita lui. Aixi, al contrario, è un racconto fatto di luce, aria fresca, si svolge in riva al mare, con l’odore di alghe e il sole che fa evaporare l’acqua e sedimentare il sale sulla pelle. Come noterete, una differenza abissale (e la parola abissale non è a caso) tra le due ambientazioni.
Secondo me Pantera è una specie di caccia al tesoro: ti senti come davanti a un camino, piegato a raccogliere dalle ceneri i pezzi di un libro enorme che Stefano Benni ha deciso di bruciarti davanti, di cui si sono salvati solo questi due frammenti stupendi, che compongono ora tutto il libro rimasto. Senti che è così potente e c’è così tanto non detto, che fa impressione solo a pensarlo. È solo una storia, ma è una storia lanciata nel fuoco, bruciata, e poi cercata tra le ceneri.
Mi ha divertito immensamente che Benni, parlando del libro, abbia specificato tre volte di seguito che non ci dirà come questi due racconti si leghino tra loro: “Aixi è una specie di continuazione di Pantera ma non vi diciamo il modo”, che tradotto secondo il mio punto di vista è come dire: “Bruciare il tomo originale era parte del gioco ragazzi, ora ognuno scriva ciò che c’è in mezzo, a modo suo.”
A renderlo davvero unico sono due cose. La prima le illustrazioni fantastiche e inquietanti di Luca Ralli. La seconda, ancora più importante, è che la narrazione non segue tutti quegli archi narrativi classici che ormai ci sovrastano: il libro vola in aria e tu lo guardi come fosse un aquilone. Per questo credo davvero non cambierebbe se si decisse di iniziare a leggerlo dalla prima pagina o dall’ultima, perché è così potente in ogni sua immagine, che ti farebbe fluttuare come su un aquilone portato da vento. Secondo me ce ne sono pochi di libri così potenti, e ve lo consiglio. Lo leggi e sai che è completamente illuminato, ma non riesci davvero a capire da dove nasca il bagliore, come se Benni cercasse di nasconderci la luce sotto le sue mani, senza mai permetterci di vedere davvero tutto.