Un’occasione per il lavoro di domani

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È difficile oggi immaginare lo scenario lavorativo post coronavirus, ma ci si sta presentando l’occasione per plasmare un mondo del lavoro più equo, inclusivo, riconoscente, capace di valorizzare quelli che ora considera i suoi anelli deboli, siano essi donne, giovani o immigrati

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Si dice che il Coronavirus segnerà uno spartiacque nel mondo del lavoro, che ci permetterà di distinguere una fase precedente l’emergenza, ed un periodo ad essa successiva. Il tempo della quarantena sta ridefinendo il ruolo e il valore – tanto economico quanto sociale – che il lavoro svolge nella nostra vita, ne sta cambiando contenuto, rapporto e modalità di svolgimento, facilitando processi trasformativi già in atto, e portando al contempo a galla falle e contraddizioni del nostro sistema. Non sappiamo ancora quali saranno i tratti che assumerà il lavoro nell’epoca post Coronavirus, ma possiamo ragionevolmente credere che sarà diverso da quello che abbiamo conosciuto negli ultimi anni. Ma quel è lo stato di salute del mercato del lavoro italiano alle soglie dell’esplosione dell’emergenza sanitaria?

I dati rilasciati da Istat relativi all’occupazione nei primi due mesi nell’anno corrente tratteggiano un Paese ancora affaticato dalla crisi finanziaria del 2008. Solo nel primo mese del 2020 il mercato del lavoro italiano registra 40 mila occupati in meno rispetto a dicembre 2019. A pagare il prezzo più caro della stagnazione sono gli anelli più fragili del sistema lavorativo: donne, giovani di età compresa tra i 15 e i 34 anni, lavoratori temporanei e autonomi.

Parimenti, continua a crescere il numero degli inattivi, dimostrando come non sia ancora pervenuto l’effetto del reddito di cittadinanza, che avrebbe per l’appunto dovuto incidere positivamente su questa coorte. Stiamo inoltre assistendo ad un’importante diminuzione della forza lavoro per effetto dell’invecchiamento della popolazione, che registra una perdita di 90 mila unità rispetto al gennaio 2019.

L’emergenza sanitaria in corso sta accendendo i riflettori anche su altre categorie di lavoratori lasciate nell’ombra, ma fondamentali per il funzionamento della nostra economia. Persone spesso invisibili per la legge, il cui contributo silenzioso assume un valore sociale ed economico fondamentale in tempi ordinari, e ancora più in tempi straordinari come quello che stiamo vivendo.

Si tratta del lavoro domestico e di cura, che in Italia arruola una schiera di oltre 2 milioni di lavoratori, prevalentemente donne di origine straniera, che supportano le famiglie nella gestione dei figli, si prendono cura di anziani non autosufficienti e di congiunti disabili, garantendo loro non solo il necessario supporto sanitario, ma soprattutto una qualità di vita che la rende degna di tale nome. Un impegno che non riceve il giusto riconoscimento sociale ed economico, perché intrappolato ancora nelle pieghe di un’attività non considerata produttiva in quanto inerente una dimensione affettiva. Un’attività che fatica a strutturarsi in un mercato del lavoro apposito, quello appunto della cura, unica garanzia per i suoi addetti di godere di adeguate tutele previdenziali e assicurative.

Altrettanto precaria è la situazione degli immigrati in attesa del permesso di soggiorno, spesso ammassati in centri di accoglienza o in baraccopoli, o dei senza fissa dimora. Per soddisfare la crescente richiesta di mano d’opera in ambito agricolo, con la stagione estiva alle porte, si è soliti attingere ad un bacino di lavoratori stranieri, che assicurano frutta e verdura sulle nostre tavole, pur non potendosene permettere per sé. Mentre il Portogallo ha deciso di concedere a immigrati e richiedenti asilo con permesso di soggiorno pendente, gli stessi diritti dei residenti fino al 1 luglio (garantendo così loro assistenza sanitaria e servizi pubblici), in Italia è stato stilato un documento, ratificato da decine di associazioni tra cui le Acli, per portare l’attenzione pubblica anche su quelle persone più esposte al contagio in virtù della loro  fragilità esistenziale.

È difficile oggi immaginare lo scenario lavorativo post coronavirus, ma ci si sta presentando l’occasione per plasmare un mondo del lavoro più equo, inclusivo, riconoscente, capace di valorizzare quelli che ora considera i suoi anelli deboli, siano essi donne, giovani o immigrati. Sta a noi coglierla e indirizzarla a favore del bene comune.