Ha aspettato che iniziasse l’autunno per lasciarci.
Vittorio, che ha visto tante stagioni delle nostre ACLI è tornato alla casa del Padre.
Sentiranno tanto la sua mancanza sua moglie Mariella, i suoi figli Andrea e Paola e le loro famiglie.
Ma la sua mancanza la sentiamo tanto anche noi.
Se n’è andata una delle persone più significative della storia delle ACLI, uno degli aclisti più autentici. Se ne va un collega, un maestro e un amico.
Di vicende dentro le ACLI, quali gioiose e quali amare, Vittorio ne ha viste tante, vivendo i momenti più significativi sempre dentro la prospettiva di superare le divisioni e cercare un’unità che fosse di senso e non di facciata.
Per tanti anni abbiamo condiviso una quotidianità fatta di pensieri, progetti, aneddoti, verbali, revisioni statutarie, regolamenti, congressi e tanti elenchi puntati di cose da fare.
Era un uomo esigente, appassionato, un credente, forse uno dei più grandi fan del magistero di Papa Francesco, che non smetteva quotidianamente di seguire, accogliendo, con gioia e stupore, la sua proposta di una chiesa in uscita, una chiesa dei poveri e per i poveri.
Nei corridoi di via Luini ci si scambiava idee e si ragionava su come le ACLI potessero ancora avere un senso dentro il nostro tempo. Nei momenti di dubbio si affidava al Signore e fermamente credeva che ci fosse una via buona da seguire per fare bene il nostro mestiere.
Ha amato le ACLI in modo appassionato, vivendole come se fossero parte della sua famiglia. Un giorno, sorridendo, mi aveva raccontato di aver deciso la data del suo matrimonio nell’ufficio organizzazione delle ACLI nazionali e che il sacerdote, poco prima del matrimonio, aveva detto a sua moglie “guardi che suo marito è già sposato… con le ACLI!”.
Voleva bene a Mariella, il suo nome era la password del suo computer, che ogni tanto doveva cambiare chiedendoci allora di sostituirla con il nome di uno dei suoi figli o dei nipoti. Non sarà stato un padre semplice per Andrea e Paola, ma certamente ha insegnato loro il rispetto per le persone e il desiderio di vivere una vita buona e giusta, una vita semplice in cui prendersi cura delle ACLI, immaginandole una comunità di persone, ancor prima che un sistema di strutture associative e imprese.
Per anni andavamo a mangiare spesso assieme prima del periodo di pandemia. Bevevamo volentieri un bicchiere di vino mentre a tavola ti raccontava le storie della scuola centrale che aveva frequentato, le vicissitudini dei gruppi di fabbrica, il suo peregrinare per l’Italia insieme ai gruppi dirigenti delle ACLI. Ricordava spesso anche le storie del suo paese sul lago Maggiore e di come suo nonno, fin da bambino, lo avesse incoraggiato all’impegno sociale e sindacale. Passavamo lunghe ore insieme davanti al computer per scrivere appunti e proposte. Nominava i file solo con il nome del destinatario e il giorno e il mese in cui li scriveva, come se il passare degli anni non avesse grande valore, come se ci fosse una storia ininterrotta che interrogava e impegnava ogni giorno a nuove valutazioni e nuove sfide.
Il tempo contava, ma ancor più contavano le persone.
Io ho imparato tante cose da lui, nelle chiacchierate sorridenti, nei confronti quotidiani, nelle discussioni animate e accalorate. Ogni tanto si arrabbiava, ma non ce l’aveva con te, aveva solo bisogno di far sentire il grido delle sue convinzioni. Non serbava rancore e tornava a essere mite e concentrato. Quando ti incrociava nel corridoio, spesso con una pila di fogli tra le mani, ti chiamava dicendo “ascolta!” e poi cominciava a ragionare su come le ACLI potessero vivere le loro sfide dentro il mondo della chiesa e della società civile.
Non eravamo sempre d’accordo, ma cercavamo comprendere le ragioni l’uno dell’altro… E alla fine ci ritrovavamo sempre sulla necessità di impegnarsi per adempiere quel grande compito a cui le ACLI sono sempre chiamate.
E’ strano pensare che non c’è più. E bello pensare che ci sarà sempre vegliando su di noi e su quelle ACLI, forti e fragili, cui ha dedicato la vita.
Ciao Vittorio, buon cammino!